Diventare invisibili per rendere possibile il governo aperto

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Alla PA il compito di garantirne la democraticità e l’inclusività, di presidiare il rispetto delle regole, dell’imparzialità e i principi della efficienza ed efficacia dell’azione pubblica. Qui le premesse di un governo aperto

21 Marzo 2018

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Marieva Favoino, responsabile URP del Comune di Desio

“Sogno un governo che risulta un facilitatore tanto fluido e senza frizioni da risultare praticamente invisibile”

Questa affermazione di un hacker civico, raccolta durante un percorso di mappatura partecipata di una città, interpella senza dubbio in prima battuta il livello locale di governo della cosa pubblica. Il livello cioè che per sua natura può essere in grado di realizzare l’apparente paradosso per la PA del diventare invisibile per esserci e costruire valore sociale. È questo infatti il livello a cui il cittadino ancora si riferisce quando, nel quotidiano riscontra problemi e intravvede soluzioni.

Cosa riprendere e sviluppare: costruire dentro la PA ruoli e culture di apertura e innovazione
In 18 anni di PA locale sono sopravvissuta a diverse culture: quella dell’adempimento già non stava benissimo nel 2000, si cominciava infatti ad affermare che l’accountability e l’ascolto per il miglioramento continuo avrebbero potuto risolvere molti dei problemi e delle inadeguatezze del sistema.
Vennero creati servizi ‘angeli custodi’ (gli URP) con il compito di passare internamente la cultura della sostenibilità e della rendicontazione sociale nella catena del decidere, attuare e dare conto. Poi arrivò l’era della trasparenza e dopo ancora l’ubriacatura social con megafoni di comunicazione fino ad allora insperati. Infine eccoci qui: online abbiamo imparato la differenza tra l’esserci e lo starci e la difficoltà del costruire e mantenere aperto il dialogo. Oggi, complici anche le modifiche penalizzanti di alcuni algoritmi, iniziamo a capire che possiamo diventare luogo di cittadinanza attiva solo se siamo capaci di creare valore concreto nelle interazioni on e offline.
Abbiamo sottovalutato tutti, per primi i comunicatori pubblici, le implicazioni del 2.0 e delle connessioni che crea.
Abilitare i cittadini significa oggi sempre di più costruire e curare percorsi e relazioni, intercettare competenze, divenire partner tra i partner, agire per facilitare, costruire dentro la PA ruoli e culture di apertura e innovazione. Siamo in un nuovo mondo, solo accelerato dalle tecnologie digitali, dove i tagli al welfare-state e la ‘perma-austerity’come la chiamano gli anglosassoni, se da un lato rischiano di inibire, dall’altro funzionano come catalizzatori del cambiamento [1].
Tutti i gangli della PA sono sfidati su un piano del tutto nuovo: quello del governo aperto che non ha bisogno di attendere paradigmi e sistematizzazioni teoriche e che, semplicemente, accade.
I bisogni sono chiari: semplicità, prossimità, correttezza e completezza delle informazioni e dei dati, versionamento, monitoraggio e scrutinio costante delle scelte pubbliche. Il metodo diventa importante tanto quanto il risultato finale, bisogna essere pronti a documentare le scelte, non temere i dati e prepararsi alle critiche, costruendo concreti racconti dei percorsi decisionali, anche in emergenza.

Cosa desidero per il 2018: una PA che abbia il compito di garantirne la democraticità e l’inclusività
Non abbiamo bisogno di ‘leader eroi’, non sono la risposta. Potrebbe esserlo l’entrata nella PA delle nuove competenze che il turn over, se si è fortunati, porterà con sé, ma è ancora un po’ troppo lontano. Abbiamo quindi bisogno a breve di metodologie piuttosto che di regole che ci accompagnino nei percorsi, ma anche di formazione e di tanta, tantissima contaminazione.
I luoghi e gli strumenti di abilitazione della cittadinanza attiva sono sempre più online. Alla PA il compito di garantirne la democraticità e l’inclusività, di presidiare il rispetto delle regole, dell’imparzialità e i principi della efficienza ed efficacia dell’azione pubblica.
Da tempo si discute della necessità di rendere più efficace la comunicazione in emergenza, di migliorare l’informazione al cittadino e la sua partecipazione attiva alla costruzione di una più consapevole cultura del rischio. Sono nati tavoli e gruppi di lavoro, non ripartiamo da zero. Continuiamo il lavoro avviato con #socialprociv, abbandonando definitivamente la paura di sperimentare e coinvolgere davvero i cittadini e quell’attivismo civico che c’è, si mobilita e mette a disposizione competenze e tempo. Un attivismo che, soprattutto in occasione di un’emergenza, può rappresentare non una minaccia o un intralcio, ma una risorsa formidabile a cui anche le istituzioni e i governi locali, mai come nel caso della gestione (e prevenzione) di un’emergenza, possono e devono fare riferimento.

Progetti di civic hacking come TerremotoCentroItalia, nato in Italia all’indomani del Terremoto del 2016, o come Irmaresponse e Harveyneeds, nati a seguito degli ultimi importanti uragani che hanno colpito gli stati Uniti, non vogliono sostituirsi alle istituzioni o a chi è deputato a gestire l’emergenza.
L’obiettivo di progetti come questi è quello di offrire, attraverso tecnologie digitali accessibili, efficaci e aperte, un sistema capace di raccogliere, organizzare e veicolare informazioni di pubblica utilità e, allo stesso tempo, facilitare la partecipazione attiva dei cittadini, di quanti vogliono rendersi utili, offrendo tempo, competenze, idee, risorse. Un obiettivo che non può che essere il nostro.

Dobbiamo essere in grado di stringere alleanze operative su questo registro con le persone e con le comunità degli hacker civici: sbarcare online nei luoghi dove già producono valore, senza di noi.
Con coraggio e procedendo come chi parte da così lontano che non spera di arrivare, però parte.


[1] University of Birmingham “The 21st Century Public Service Workforce: Eight Lessons from the Literature”

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