Come attuare il modello “Bring your own device” a scuola

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16 Gennaio 2016

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Gabriele Benassi, Servizio Marconi T.S.I USR Emilia-Romagna, docente IC21 Bologna

Il nuovo piano nazionale scuola digitale è un documento ampio, organico, ben leggibile e costruito non sulle parole ma su dati e risorse. Ad un excursus iniziale sull’esistente, propone le nuove azioni partendo dai finanziamenti a disposizione e quantificando con chiarezza i tempi e le strategie. Finanziamenti non infiniti, ma importanti e ben integrati fra le diverse fonti e distribuiti in una logica intelligente dell“abbastanza ma non del tutto”. Può sembrare una assurdità o una forzatura, ma è probabilmente l’unico modo per stimolare le scuole ad una seria progettualità e alla costruzione pianificata di ambienti di apprendimento e di innovazione didattica; ancora, per aiutare le scuole a ragionare in termini di sostenibilità, replicabilità e flessibilità, lasciando definitivamente il modello di tecnologia più pesante confinata a poche classi (non sarà passato inosservato che Lim e classi 2.0 non trovino grande spazio nelle 140 pagine del piano), a favore della connettività, degli atelier e dei carrelli mobili, degli ambienti flessibili, del pensiero computazionale, della robotica, del Byod (Bring Your Own Device).

Proprio l’azione #6 del piano raccoglie l’eredità delle “vecchie” classi 2.0 e le trasforma in ambienti per la didattica digitale integrata, pensandoli appunto nella logica della sostenibilità, replicabili potenzialmente in ogni classe di un istituto, previa la presenza di una adeguata connessione e di dispositivi, non solo della scuola ma personali degli alunni. E’ l’ormai noto Byod, già sperimentato nelle scuole di molti paesi anglosassoni e in Italia pionieristicamente proposto da alcuni docenti ma non ancora assunto a modello di sistema. Si legge testualmente nell’ #azione6 del PNSD: “ La scuola digitale, in collaborazione con le famiglie e gli enti locali, deve aprirsi al cosiddetto BYOD (Bring Your Own Device), ossia a politiche per cui l’utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche sia possibile ed efficientemente integrato”. Il “deve aprirsi” indica una necessità e non una possibilità. Ogni classe di un istituto può avere una base essenziale di dispositivi da integrare con i dispositivi degli alunni. Non importa il rapporto 1 a 1, si può lavorare per piccoli gruppi e utilizzare i dispositivi in base alle necessità didattiche e non viceversa. Alcuni esempi interessanti sono in Emilia Romagna nelle classi 2.0 mixed mobile [1] : in alcune di queste scuole si è cominciato a “spezzare” il kit in più classi in una vera e propria gemmazione, permettendo una integrazione dei dispositivi della scuola con i dispositivi degli alunni, portati in classe sistematicamente o all’occorrenza, diventando ambienti per la didattica digitale integrata. Poter lavorare in classe con strumenti digitali, nella logica di Jonassen del “not to learn from but to learn with” ed estendere questa possibilità a docenti e alunni è una conquista realistica che potrebbe dare una decisiva svolta all’innovazione didattica diversificando gli ambienti di apprendimento e proponendo un approccio sempre più attivo e costruttivista. Tuttavia, come dimostrano le esperienze analoghe all’estero, non è possibile attuare un modello Byod in forma approssimativa; non si improvvisa e deve essere strutturato su una precisa policy di gestione. Ma cosa serve davvero per poter “fare byod” a scuola?

Oltre ad una buona connettività e ad una navigazione protetta e possibilmente con autenticazione degli utenti, oltre agli ambienti cloud per poter lavorare e condividere possibilmente amministrati dall’istituto, oltre ai dispositivi funzionanti con le applicazioni necessarie a disposizione, occorre predisporre gli alunni ad una gestione responsabile dei dispositivi in classe e fuori dalla classe, con il coinvolgimento delle famiglie per l’utilizzo dei dispositivi personali e le attività in digitale attraverso informative specifiche; ancora, formare al cambiamento del paradigma didattico e alla novità dell’ambiente integrato digitale i docenti con opportune e dedicate proposte. Nessuno di questi aspetti è banale e proprio per questo, ad oggi, l’esperienza del Byod in Italia [2] è stata sviluppata in modo sporadico grazie alla passione, alla voglia di innovazione e di sperimentazione di alcuni insegnanti, che spesso hanno dovuto lavorare al di fuori dalle linee di indirizzo proprio del Miur. L’azione #6 del PNSD anche su questo punto indica a chiare lettere il superamento della Direttiva del Ministro del 15.3.2007 sulle linee di indirizzo e sulle indicazioni in materia di utilizzo di “telefoni cellulari” a scuola e ravvisa l’urgenza e la necessità di indicazioni chiare per le scuole ai fini di un utilizzo in sicurezza di modelli Byod: “ a tale scopo, il MIUR, in collaborazione con AGID e il Garante per la Privacy, svilupperà apposite linee guida in aggiornamento delle attuali disposizioni ” .

La promozione di politiche Byod nelle scuole sarà favorita contestualmente dal miglioramento della connettività delle scuole e dalla chiarezza del contesto normativo e delle linee guida da parte del ministero e dalla diffusione di esperienze concrete già in atto. Non siamo alla meta, ma il sentiero è ben tracciato.



[1] La scuola digitale in Emilia Romagna: suggerimenti per l’impiego delle tecnologie in classe, Bondi-Benassi in “Studi e Documenti n.6 Marzo 2013” http://www.istruzioneer.it/wp-content/uploads/2013…

[2] Alcune buone pratiche di Byod: https://sites.google.com/a/g.istruzioneer.it/byod/…

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