Fai-da-te digitale e Pubbliche Amministrazioni, un rapporto ancora da sviluppare

Home Città e Territori Fai-da-te digitale e Pubbliche Amministrazioni, un rapporto ancora da sviluppare

Il
“Digital DIY” consiste di tutte quelle attività “Fai-da-te” (in inglese DIY,
cioè “Do-it-yourself”) possibili solo grazie all’uso di tecnologie e reti di
comunicazioni digitali. La stampa 3D e tutto il cosiddetto mondo dei “makers”
sono le parti più note, ma non certo le uniche, di questo fenomeno. Marco
Fioretti ci racconta il progetto DiDIY,
a cui sta partecipando come membro del Free Knowledge Institute; progetto che
sta studiando questo fenomeno, sottolinea Fioretti, con un punto di vista rilevante
anche per chi si occupa di innovazione e Smart City nella e tramite la PA.

20 Gennaio 2016

M

Marco Fioretti

Le ricerche del progetto DiDIY, finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma H2020, sono effettuate da un consorzio internazionale di cui fanno parte tre partner italiani, ovvero Ab.Acus, Liuc e PoliMI, mentre io partecipo come membro del Free Knowledge Institute . Fanno parte del consorzio anche Amerikaniko Kollegio Anatolia, University of Westminster e Manchester Metropolitan University.

L’attività di DiDIY consiste in uno studio approfondito degli impatti su lavoro, educazione, creatività, etica e leggi del “Fai-da-te” digitale, considerato come un fenomeno che dovrebbe essere guidato da strategie sociali e culturali, anzichè puramente tecnologiche. Fra i risultati ci saranno modelli e linee guida che educatori, amministratori e legislatori, europei e nazionali, potranno usare per sviluppare leggi, regolamenti e attività che permettano alla società europea di trarre i maggiori benefici possibili dal “Fai-da-te” digitale.

DiDIY, Smart City e Pubblica Amministrazione

I paragrafi 4.3.1 e 4.3.2 del nostro rapporto sull’attuale supporto e consapevolezza del DiDIY in Europa contengono alcune proposte preliminari per maker e PA, che mi sembrano il punto di contatto più diretto fra il progetto DiDIY e la sfera d’interesse di FPA e dei suoi lettori. Fra le altre cose, infatti, in quei paragrafi scriviamo che:

1. Per i maker:

  1. pensare che davvero tutti possano (o dovrebbero!) diventare maker non è realistico . Se si vuole un supporto di massa per il Fai-da-te digitale, devono poter beneficiare di makerspace e Fab Lab anche tutti coloro che, per varie ragioni, non avranno mai la possibilità di parteciparvi attivamente, cioè di imparare a usare una stampante 3D e curare personalmente tutte le fasi di design e fabbricazione di qualcosa che gli serve: anziani, lavoratori a tempo pieno con bambini a cui badare, eccetera. Potrebbe quindi valere la pena, per esempio, di sperimentare servizi di fabbricazione digitale on demand, che permettano a tutti i cittadini di “ordinare” qualche oggetto in un fab lab, così come già facciamo tutti nei vari negozi di fotocopie e servizi stampa “2D”;
  2. fate in modo che il vostro Fab Lab o Makerspace diventi tanto rilevante, nella sua comunità locale, da essergli indispensabile: partecipate regolarmente a eventi pubblici, stringete alleanze con altre organizzazioni, proponete corsi alle Università, prendetevi qualche responsabilità nel vicinato (esempio: manutenzione di qualche bene comune).

2. Per le Pubbliche Amministrazioni:

  1. aiutate attivamente i maker a mettere in pratica quanto descritto nel punto precedente;
  2. lavorate attivamente per ridurre le frizioni fra burocrazia e mentalità dei maker;
  3. la stampa 3D è una cosa meravigliosa, ma assicuratevi che non tolga spazio ad altre tecnologie e pratiche meno alla moda (tipo le “Tool Library”) ma che, nella vostra città, provincia, comunità montana… potrebbero essere molto più utili;
  4. ascoltate tutte le parti in causa, fate in modo che si parlino e coinvolgetele in progetti e servizi DiDIY rivolti a tutti i cittadini;
  5. riusate quanto di buono è stato già fatto in PA simili alla vostra, e documentate come si deve tutto quel che fate voi, perché altri possano fare lo stesso;
  6. scoprite e supportate attivamente anche quelle comunità e proposte di Fai-da-te digitale che non contribuiscono, né intendono farlo, all’economia di mercato.

NOTA BENE: diverse di queste linee guida per le PA sono riprese direttamente da proposte e progetti dello stesso tipo già portati avanti da diverse PA italiane, ovviamente citate nel rapporto!

Riassumendo: non solo startup

Il progetto DiDIY è ancora nella prima fase, e si concluderà solo a metà 2017. Dai primi risultati, comunque, ci sembra già di poter dire qualcosa su Fai-da-te digitale e PA, se non altro come spunto per ulteriori discussioni: forse la PA locale più smart (o se preferite: quella che rende davvero più smart la città o altra comunità che serve) è quella che non si limita a startup, incubatori, acceleratori e simili, che hanno in potenza i maggiori ritorni economici, ma sono più o meno chiusi in se stessi. Ma è quella che promuove regolarmente e attivamente i maker anche come servizio sociale, permanente e concretamente utile, a tutti i cittadini. Anche e soprattutto quelli che non potranno mai essere maker a tutti gli effetti. Servizi come, tanto per fare un esempio, centri di riparazione on demand, che sfruttino anche il Fai-da-te digitale. O che mettano le stesse tecnologie al servizio dei piccoli agricoltori. Che ne pensate? Nella vostra PA o comunità sono già in corso iniziative del genere? Se sì, vi preghiamo di farcelo sapere.

A margine: commenti e considerazioni PERSONALI dell’autore

  • il punto 1.1 è valido ovunque, ma ancora più essenziale in Italia, vista la sua situazione demografica. Puntare solo o soprattutto sui giovani, in un paese di vecchi, potrebbe rivelarsi un modo efficiente per… cambiare ben poco, almeno in tempi utili. Su questo tema generale, al di là del progetto DiDIY, trovo utile anche la lettura di questa critica alla “Internet of Things per giovani”;
  • con riferimento al punto 1.2, in un recente incontro per presentare il progetto DiDIY ho sentito una definizione che non mi dispiacerebbe vedere promossa più spesso: “invece che (solo) di maker, cominciamo piuttosto a parlare di social maker”. Da quel punto di vista, potrebbe essere utile come spunto anche la parte “Maker” di una proposta mia e di altri, precedente al progetto DiDIY.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!