PAT, perché il confronto è necessario all’efficienza
Sul PAT il dibattito è aperto e i passaggi su cui è necessario confrontarsi e lavorare sono tutti sul tavolo. Da parte nostra continueremo a lavorare per strutturare il mood diffuso tra i professionisti del settore, in un confronto che porti ad una progettualità più fattiva, in modo che le analisi non nascano e finiscano negli studi professionali, ma siano da input al miglioramento del sistema
27 Luglio 2016
Eleonora Bove, FPA
In materia di giustizia mai come in questi ultimi mesi è stato intenso il dibattito sulla digitalizzazione del processo.
A poche ore dal momento in cui scriviamo, la Camera ha dato il suo ok al decreto che fa slittare al primo gennaio 2017 l’entrata in vigore del processo amministrativo telematico e prevede l’assunzione di mille persone da impiegare negli uffici giudiziari. Una misura quest’ultima volta soprattutto a stabilizzare il personale precario impegnato in progetti di formazione nel settore e giudiziario, che non è priva di punti critici. Tocca ora al Senato dare il suo parere, ma non ci si attende colpi di scena. Il processo amministrativo prolunga così la sua sperimentazione, che avrebbe dovuto concludersi al primo luglio di quest’anno come testimonia l’approfondito contributo di Ines Pisano, magistrato responsabile vicario del servizio centrale per l’informatica e la tecnologia dell’amministrazione, che ha lavorato in prima linea per la sua realizzazione e che su queste pagine ci spiega cosa cambierà per le amministrazioni all’entrata in vigore.
Una rivoluzione prima annunciata, ma poi rimandata. Lo stesso direttore generale di Banca d’Italia, Salvatore Rossi, riflettendo sulle inefficienze della macchina giudiziaria, ostacolo allo sviluppo economico del Paese, si era detto fiducioso del cambiamento alle porte.
Ma quali sono state le ragioni di questo slittamento? Ce lo siamo chiesti e lo abbiamo chiesto anche ai nostri collaboratori. Le ragioni possono essere di natura tecnica, come sostiene nel suo contributo Filippo Lubrano, presidente Società Italiana Avvocati Amministrativisti, in cui si evidenza che la “tenuta della rete informatica” è stata rafforzata solo dopo segnalazione da parte degli adetti ai lavori, ma ci sono anche ragioni che trovano radice in un male noto della nostra PA: la mancanza di una cultura manageriale ( Michele Gorga) o come la definisce Consolandi per noi “assenza di programmazione ed ancora prima di una effettiva governance dell’innovazione”.
Un’analisi a tutto raggio ci arriva da Cesare C.M. Del Moro dell’Università degli Studi di Milano, che guardando a cosa ha funzionato per il PCT, scrive: “Questo obiettivo, ambizioso, richiede una pianificazione di investimenti costanti di risorse, è facilitato se attuato con il coinvolgimento di esperti in innovazione digitale e processi di cambiamento nel settore giustizia, che hanno dato un determinante contribuito per l’applicazione pratica, lo sviluppo e la diffusione del PCT sul territorio nazionale negli anni, soprattutto nei delicati passaggi prima dalla fase di sperimentazione a quella di attribuzione del valore legale (leggi “facoltà di deposito telematico”) e, più recentemente, alla fase dell’obbligo di deposito telematico, inserito gradualmente”.
Infatti il PAT, pur mutuando più di qualcosa dal processo civile telematico, non ne ricalca la struttura e le metodiche, ma se ne discosta: l’infrastruttura informatica del PAT sarà decisamente differente e altra da quella che sostiene il PCT.
Il dibattito è quindi aperto e i passaggi su cui è necessario confrontarsi e lavorare sono tutti sul tavolo. Da parte nostra continueremo a lavorare per strutturare il mood diffuso tra i professionisti del settore, in un confronto che porti ad una progettualità più fattiva. In modo che non nasca e finisca negli studi professionali, ma sia da input al miglioramento del sistema.