Rallentare per accelerare l’innovazione: l’emergenza come spinta per una nuova data governance
In questo periodo in cui abbiamo forzatamente “rallentato”, c’è stata però un’accelerazione nell’uso del digitale e nella produzione di dati. È questo il momento per dare senso a un’esperienza problematica, che sappiamo bene riverbererà i suoi effetti sul nostro futuro. Ed è anche l’occasione per riaffermare la promessa di uno spazio europeo dei dati comune e condiviso, e per ricostruire quei rapporti di fiducia (tra cittadini, istituzioni e imprese) oggi a rischio di erosione
25 Marzo 2020
Ilaria Vitellio
- 1 Rallentare per analizzare il presente e il futuro
- 2 Digitale per necessità e strategie di lungo periodo
- 3 Lo spazio europeo dei dati: una cornice e un orizzonte necessario
- 4 L’emergenza come spinta alla data governance
- 5 La fiducia come “bene comune”
- 6 Il senso degli investimenti per un futuro di rinnovata fiducia
Nel 2000 Paolo Fareri, un bravissimo ricercatore e analista di politiche pubbliche, pubblicò un articolo dal titolo “Rallentare”. Il suo testo, una nota sulla partecipazione dal punto di vista delle analisi delle politiche pubbliche, era introdotto dalla trascrizione di un dialogo del film Smoke, la cui sceneggiatura è stata curata da Paul Auster.
Rallentare per analizzare il presente e il futuro
La scena è quella in cui uno dei protagonisti (il droghiere) mostra all’altro (lo scrittore) il suo album di foto scattate, quotidianamente e per molti anni, dall’angolo del suo negozio. Una carrellata di immagini che ripropongono sempre la stessa inquadratura, cambiano le stagioni, il clima, il tempo, le persone e le cose. Una cornice comune che racchiude un tempo rallentato, fatto di sequenze e sovrapposizioni, di immagini in movimento e ferme, in primo piano e in lontananza.
Fareri utilizzava questa immagine per incoraggiarci all’osservazione profonda, all’interpretazione consapevole, a fermarci e cercare di capire “cosa fa problema”. Ecco ora noi viviamo così, rallentati, costretti in una dimensione spaziale che ci propone continuamente di dare senso all’esperienza di una situazione problematica, che sappiamo bene che riverbererà i suoi effetti sul futuro prossimo, e anche oltre.
Così, sospesi in questo presente imperfetto, proviamo ad osservare e riflettere cosa di buono potrebbe nascere da questo momento che nell’essere rallentato ha accelerato la trasformazione tecnologica del paese.
Digitale per necessità e strategie di lungo periodo
Una forte accelerazione dell’uso del digitale ha incrementato le capability di ognuno riducendo distanze e differenze digitali. Sappiamo che questa capacità, se non lasciata alla sperimentazione del momento, cambierà enormemente i futuri, incidendo su interi settori economici, sociali e culturali, attivando dinamiche che investiranno anche i problemi climatici e ambientali. In questa cornice quotidiana rinnovata e “capacitata” appare emergere un’occasione unica per sostenere strategie di lungo periodo, agitare cambiamenti strutturali e mobilitare risorse per renderli operativi.
Lo spazio europeo dei dati: una cornice e un orizzonte necessario
L’accelerazione sul digitale ha anche incrementato esponenzialmente la produzione di dati e come in tutte le catastrofi si solo esponenzialmente rilevati i problemi.
Abbiamo scoperto che la governance dei dati funziona solo se coordinata a livello centrale, il principio di sussidiarietà nella produzione della conoscenza diventa non è una risorsa ma contribuisce solo ad una pubblicazione di dati scoordinati e spesso inutili. Abbiamo anche scoperto che a livello di governo nazionale non abbiamo nessun controllo sui big data prodotti dai cittadini, che sono esclusivamente collezionati e gestiti dai privati.
L’emergenza come spinta alla data governance
Il Coronavirus ci pone così innanzi a problemi stringenti e soluzioni dirimenti, le cui risposte possono dare senso alla cornice dello spazio europeo comune dei dati introdotto dalla recente pubblicazione della strategia europea sui dati. In questo contesto lo spazio europeo comune dei dati diventa la cornice di osservazione e di interpretazione consapevole, entro cui dare senso ad una governance strategica estesa e condivisa.
In questo spazio si dovrà, ad esempio, ricercare una risposta coordinata e condivisa sulla sempre più estesa richiesta di tracciamento degli spostamenti della popolazione, che consentirebbe non solo un’azione di prevenzione e di controllo del contagio, ma il prototipo per una produzione volontaria e consapevole di dati da parte dei cittadini e per un uso responsabile di questi da parte delle istituzioni. E’ un’occasione, dunque, attraverso cui riprodurre e ricostruire i rapporti quei rapporti di fiducia oggi a rischio di erosione.
La fiducia come “bene comune”
La fiducia è uno dei beni comuni “per eccellenza”, essa è costruita ed alimentata da un sistema di relazioni condivise, è la misura dell’affidamento reciproco tra attori, tra istituzioni, cittadini, imprese.
Riprodurre la fiducia, implica una relazione di reciprocità tra le parti, il rispetto di regole condivise e riconosciute come socialmente significative.
La fiducia come risorsa collettiva, si crea e si rigenera in una cornice in cui il riconoscersi reciproco tra le parti costituisce una dimensione socialmente significativa dell’agire. Il digitale, in questo, si è rilevato come un potente mediatore di relazioni sociali e un abile interfaccia tra cittadini e istituzioni e tra queste, ma può diventare anche quel vettore attraverso cui si riafferma il modello europeo dell’acceso, dell’uso e dell’integrazione dei dati sicuri e protetti (lasciandosi alle spalle modelli alternativi non coerenti con questo modello).
Il senso degli investimenti per un futuro di rinnovata fiducia
In questo spazio europeo bisogna reinterpretare il senso degli investimenti, uno dei pilastri della strategia europea, e che riguardano quelle infrastrutture e capacità per l’utilizzo, elaborazione e conservazione dei dati e interoperabilità. Investire, oggi, non implica solo emanare “norme, strumenti e infrastrutture di prossima generazione per l’archiviazione e l’elaborazione dei dati”, né ingegnerizzare processi perché l’innovazione per decreto scarsamente funziona e neanche spendere esclusivamente risorse economiche.
Investire implica intensificare ruoli e responsabilità, impegnarsi reciprocamente nel governare processi complessi, sostenere la creazione non solo di competenze ma anche di capacità diffuse, incrementare la capability, alimentare la conoscenza lavorando sui divari cognitivi, culturali e territoriali, riducendo le disuguaglianze digitali tra e dentro gli stati. Investire implica ribadire e rigenerare le relazioni fiduciarie tra i diversi attori della governance: stati, cittadini, imprese. Il Coronavirus su molte di queste azioni ha agito con una inconsapevole accelerazione, i cui esiti dovranno essere valorizzati, sostenuti e alimentati. Rallentando abbiamo accelerato e la produzione dei dati e il loro utilizzo può riaffermare la promessa di uno spazio europeo comune e condiviso, una promessa che credo oggi ci possiamo permettere di mantenere. La fiducia, come l’Europa, esiste solo se praticata.