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Ilaria Vitellio: “proviamo a ricostruire la filiera del dato”

Ilaria Vitellio: “Proviamo a ricostruire la filiera del dato”
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Tutta la filiera del dato è da rivedere nella prospettiva di una società basata sulla conoscenza. L’intervista di Gianni Dominici a Ilaria Vitellio, Social Innovation Specialist

29 Settembre 2020

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Redazione FPA

Ilaria Vitellio: “Proviamo a ricostruire la filiera del dato”

In questo periodo di reazione all’emergenza nei diversi territori assistiamo a un proliferare di iniziative dal basso, all’affermarsi di un protagonismo della società civile sui temi dell’open innovation e della social innovation. Così come assistiamo a considerazioni sempre più puntuali sul tema dei dati territoriali, dei dati relativi al covid-19 e al come sono stati comunicati da parte delle istituzioni, al come sono state fatte delle scelte in mancanza della cultura della data driven decision, ovvero della capacità di trasformare i dati grezzi in informazioni, questi in conoscenza e la conoscenza in decisioni.
Si parla di ritardo della politica e delle istituzioni nel portare avanti processi di trasformazione strutturale, così come processi di innovazione infrastrutturale.

Protagonista di progetti che incrociano il tema degli open data con quello della conoscenza del territorio è stata Ilaria Vitellio, Social Innovatio Specialist, oggi intervista da Gianni Dominici nel percorso di avvicinamento all’evento di novembre, “FORUM PA 2020 Restart Italia”.

L’intervista

Quali sono le lezioni imparate in questo momento?
“La pandemia ha accelerato delle innovazioni che da anni provavamo, nelle diverse edizioni di ForumPa, a presentare alle pubbliche amministrazioni e ai cittadini. Si è visto come le scuole più veloci e più pronte a cambiare sono andate subito on-line e questo ha cambiato la prospettiva sulla differenza tra esserci e localizzazione”.
Non è il “dove sei” che conta, quanto l’avere relazioni, questo sta modificando l’idea di città e di territori, di abitabilità e di prossimità.
Ilaria Vitellio vede in chi si occupa di città, a livello accademico e professionale, una forte resistenza a capire che le due dimensioni “il verde e il blu” (ispirate dall’ultimo libro di Luciano Floridi) sono quelle che guideranno l’innovazione. La città contemporanea, basata su una dimensione urbana di concentrazione, non sarà la città futura.

Tutto questo prefigura una nuova geografia e una nuova ridistribuzione del nostro esserci nel tempo e nello spazio. “È la rivincita delle aree interne – sottolinea Vitellio –. Abbiamo capito che la dimensione dell’abitabilità dei territori non è una dimensione che va sulla concentrazione territoriale. La città futura sarà fatta di mobilità lenta, di sistemi di prossimità e di case abitabili”.

Si stanno delineando nuove forme di attrattività dei territori ed è proprio su questi territori che è necessario intervenire con dei piani di investimento infrastrutturali per colmare il digital divide. Nelle piccole realtà, infatti, troviamo spesso il verde, ovvero una migliore qualità della vita rispetto alla città, ma non troviamo il blu, ossia le infrastrutture tecnologiche.
“L’infrastrutturazione vera, quella su cui noi costruiamo le relazioni adesso sono le autostrade blu” e su questo Ilaria Vitellio si aspettava che il recovery fund agisse, che la politica agisse, perché è un’occasione da non perdere.

La politica, le istituzioni, sono in ritardo anche nel riconoscere i processi di innovazione dal basso. Negli ultimi 10 anni in Italia, abbiamo assistito a una gestione dal basso nel riuso del territorio, con una capacità dei cittadini di riprendersi i propri spazi – sottoutilizzati, abbandonati, in disuso – e di rigenerarli. “Ho notato – racconta Vitellio – che la pandemia ha accelerato il processo di riprendersi anche i beni digitali”. E il passaggio dal bene comune analogico – l’immobile, la piazza – al bene pubblico digitale dovrebbe favorire una “forte propensione alla distribuzione e alla democratizzazione dei dati, ma anche alla tutela, alla privacy e al riconoscimento dei diritti digitali”.

In conclusione la città come piattaforma, “The Enabling City” (pensando al libro di Chiara Camponeschi, che lascia spazio all’imprenditorialità giovanile e ai processi sociali), è quella città che considera “bene comune” le relazioni tra una serie di asset.

Costruire relazioni con gli altri significa elevare le possibilità di costruire una base condivisa di conoscenza. Occorre per questo investire sulle competenze e abilitare le persone al cambiamento.
Sulla società della conoscenza è basata anche tutta la filiera del dato, alla quale dobbiamo guardare in prospettiva come lesson learned.

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