EDITORIALE
“Recovery Fund”, facciamo chiarezza: 209 miliardi e una grande responsabilità per la PA italiana
Obiettivo del mio editoriale di oggi è fare un po’ di chiarezza sul cosiddetto Recovery Fund, termine-contenitore di numerosi e diversi strumenti, grandi opportunità, ma anche grandi responsabilità. Vi propinerò un po’ di cifre e di sigle, nulla di drammatico, ma almeno questi tanto citati 209 miliardi cominceranno ad avere una definizione più precisa
1 Ottobre 2020
Carlo Mochi Sismondi
Presidente FPA
Obiettivo del mio editoriale di oggi è fare un po’ di chiarezza sul cosiddetto Recovery Fund, termine-contenitore di numerosi e diversi strumenti, grandi opportunità, ma anche grandi responsabilità. Vi propinerò un po’ di cifre e di sigle, nulla di drammatico, ma almeno questi tanto citati 209 miliardi cominceranno ad avere una definizione più precisa.
Dopo aver chiarito quali sono i modi e i tempi di questa grande iniziativa europea, mi propongo di mettere al centro della riflessione il ruolo che ha l’amministrazione pubblica, sia come piattaforma abilitante per queste politiche, sia come efficace attore delle azioni di ripresa e resilienza del Paese.
Cominciamo quindi a chiarire di che stiamo parlando.
Il bilancio dell’Unione per il settennato 2021-2027
Il Consiglio europeo del 17-21 luglio scorso, dopo un lungo e difficile negoziato, ha approvato il bilancio dell’Unione per il settennato 2021-2027. Il bilancio in sintesi è composto da due parti distinte: il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP o, come è spesso citato, MFF ossia Multiannual Financial Framework) che, come sempre, è finanziato dagli Stati membri e che ammonta a 1.074,3 miliardi (un po’ meno dei 1.100 miliardi proposti dalla Commissione) e da un nuovo strumento detto Next Generation EU (NGEU) che ammonta a 750 miliardi ed è pensato per favorire la ripresa e la resilienza delle economie nazionali e le cui risorse saranno reperite dalla Commissione non da contributi degli Stati, ma (e qui sta la novità principale) prendendo denaro in prestito sui mercati finanziari per conto dell’Unione. I 750 miliardi saranno composti per 390 miliardi da sovvenzioni e per 360 miliardi da prestiti a lunga scadenza e a tassi agevolati. Di questi 750 miliardi all’Italia toccheranno poco meno di 209 miliardi.
Un po’ di numeri: gli strumenti e gli importi
Lo strumento principale di NGEU è il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (RRF Recovery and Resilience Facility) che prevede la disponibilità complessiva per tutti gli Stati membri di 672,5 miliardi di euro, di cui circa 191,3 miliardi di euro, secondo le stime della Ragioneria, assegnate all’Italia. Di questi, circa 63,8 miliardi saranno in sussidi e fino a 127,5 miliardi in prestiti.
I fondi del Dispositivo di Ripresa e Resilienza non sono gli unici disponibili dopo l’accordo in Consiglio europeo del 21 luglio scorso. Oltre ai 672,5 miliardi del Dispositivo, il Fondo Next Generation EU prevede altri 77,5 miliardi, distribuiti su più fondi per ricerca, politiche di coesione, garanzia sugli investimenti, politica agricola e sviluppo rurale, transizione alle energie rinnovabili, ecc. Di questi ulteriori fondi che sono fuori dal Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza, le stime di rientro per l’Italia, secondo la Ragioneria, sono di circa 17 miliardi, di cui 15,1 miliardi soltanto sullo strumento React-Eu (politiche di coesione).
A questi circa 209 miliardi, di cui 191,3 sul Dispositivo di ripresa e resilienza e altri 17,3 sugli altri programmi, si aggiungono i fondi, diciamo “usuali” del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) 2021-2027, che è parte dell’accordo sottoscritto a luglio e che ammontano per l’Italia a quasi altri cento miliardi, di cui la fetta più grossa è di nuovo per le politiche di Coesione e Resilienza (44,2 mld€).
I progetti che non potranno essere finanziati dal Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza, perché non rientrano nei criteri indicati dalla Commissione, possono quindi essere finanziati anche da queste ulteriori risorse del QFP.
I tempi per gli impegni e le erogazioni
L’assegnazione dei fondi di NGEU all’Italia avviene attraverso un processo che prevede tra il gennaio e l’aprile del 2021, in base alle disposizioni della Commissione europea, la presentazione alla Commissione stessa di un Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR). La Commissione avrà a disposizione al massimo otto settimane per esaminare e proporre al Consiglio ECOFIN l’approvazione del Piano nazionale per ciascuno dei singoli 27 Stati. L’ECOFIN dovrà approvare il Piano con un atto delegato da adottare a maggioranza qualificata (non all’unanimità e questa anche è una novità) entro quattro settimane dalla presentazione della proposta della Commissione europea. Dalla presentazione formale del Piano potrebbero quindi passare 3 mesi per l’approvazione, che poi darà la possibilità di accedere subito al 10 per cento del finanziamento globale. La successiva erogazione dei finanziamenti sarà poi collegata a un meccanismo di tappe e obiettivi intermedi, le cosiddette «milestones», che vede coinvolta la Commissione europea e gli Stati membri, attraverso il Comitato Economico-Finanziario in cui siedono i direttori del Tesoro dei 27 Stati membri. Il 70% del finanziamento dovrà essere impegnato entro il 2022, il restante 30% che potrà vedere una rimodulazione a seconda dell’andamento del PIL.
La centralità della PA nelle linee guida della Commissione
Chiariti quindi importi e tempi, ma anche le responsabilità del Governo italiano che deve predisporre tempestivamente e in forma condivisa il PNRR e sostenere un negoziato complesso con la Commissione, veniamo al ruolo della PA. La pubblica amministrazione italiana sarà infatti chiamata a gestire questo enorme ammontare di risorse (alla fine sono oltre 300 miliardi) con una tempestività e un’efficacia che devono essere all’altezza della sfida epocale che abbiamo davanti.
La Commissione ha inviato agli stati membri un documento molto articolato per guidare la stesura dei piani nazionali. In questo documento è messa in evidenza, come fattore critico di successo, la disponibilità di una pubblica amministrazione efficiente. Nelle raccomandazioni leggiamo che:
I piani dovrebbero affrontare le aree che necessitano di riforme per migliorare il funzionamento dell’economia e della società e la sostenibilità delle finanze pubbliche oggi, per creare posti di lavoro, per rafforzare la crescita inclusiva e la coesione sociale e per rendere i settori, le economie e i sistemi sociali più a prova di futuro e più resiliente agli shock e al cambiamento. In questo contesto, è essenziale modernizzare e migliorare l’efficienza e la qualità della pubblica amministrazione.
E tra gli obiettivi per un miglioramento della qualità della PA le linee guida indicano di:
- ridurre gli oneri amministrativi;
- rendere la pubblica amministrazione un facilitatore dell’innovazione;
- garantire una gestione moderna e di alta qualità;
- ridurre i rischi di cattiva gestione e corruzione;
- migliorare la gestione efficace dei fondi pubblici;
- garantire che i dipendenti pubblici abbiano le giuste competenze per affrontare la transizione digitale e verde.
L’avere o meno un’amministrazione in grado di supportare le azioni di ripresa e resilienza sarà uno degli elementi decisivi per l’approvazione dei piani nazionali.
La centralità della PA nelle linee guida di Governo
Sulla base delle precise indicazioni della Commissione, anche il Governo italiano ha predisposto delle linee guida per la predisposizione dei progetti che comporranno il PNRR, linee che sono state trasmesse al parlamento e che sono in discussione in questi giorni.
Un capitolo importante di questo documento è proprio dedicato alla riforma della Pubblica Amministrazione.
Parlando della prima linea strategica leggiamo che Modernizzare il Paese significa, anzitutto, disporre di una Pubblica Amministrazione efficiente, digitalizzata, ben organizzata e sburocratizzata, veramente al servizio del cittadino.
E più in dettaglio:
Il livello di efficienza della Pubblica amministrazione è un indicatore fondamentale per valutare le potenzialità di crescita di un Paese, della sua attrattività e della competitività.
Sulla Pubblica Amministrazione è puntato lo sguardo europeo e da essa è dichiaratamente atteso un forte intervento di trasformazione e di accelerazione.
Come si è già argomentato, la “missione digitale” è una delle principali leve per rilanciare la crescita e l’azione della macchina pubblica. Tuttavia, il processo di innovazione della PA deve essere accompagnato da ulteriori azioni di riforma, a partire da quelle finalizzate alla riqualificazione dei suoi asset strategici: il capitale umano (le conoscenze e le competenze dei suoi dipendenti); le strutture organizzative e l’organizzazione del lavoro pubblico; le procedure operative e le modalità di erogazione dei servizi. Si tratta di aspetti strettamente correlati, sui quali è necessario intervenire in maniera coordinata e sinergica: lo sviluppo di una “amministrazione di competenti” richiede, infatti, nuovi strumenti tecnologici e organizzativi e forme flessibili di lavoro (smart working) quali condizioni per creare un’amministrazione capace e leggera, a beneficio di cittadini e imprese.
Conclusioni
Il nostro Paese ha un disperato bisogno di non sprecare un’opportunità unica come quella che NGEU ci offre. Questo obiettivo è tanto più vitale perché permetterebbe di superare, o almeno di mitigare, lo svantaggio economico e sociale del nostro Mezzogiorno e delle nostre aree marginalizzate, che costituisce una decisiva zavorra per il nostro sviluppo.
Per utilizzare queste così ingenti risorse abbiamo bisogno di un’amministrazione pubblica non solo efficiente, ma anche competente, semplice, integerrima nella legalità, veloce nelle decisioni, connessa e in grado di prendere decisioni basate sui dati.
Ce la possiamo fare? Basandosi sulle condizioni attuali dell’amministrazione pubblica non potremmo che dare una risposta negativa. Ma scelte e politiche diverse sono ancora possibili se considereremo l’investimento nell’amministrazione come una condizione necessaria per cambiare radicalmente direzione al nostro sviluppo verso una maggiore giustizia sociale ed ambientale.
Il nostro punto di vista era già stato chiarito nel documento stilato nel giugno scorso insieme a Forum Disuguaglianze Diversità (ForumDD), coordinato da Fabrizio Barca, e consegnato al Governo e al Comitato Colao. Sei erano le azioni chiave lì proposte e che ancora ribadiamo come fondamentali:
- Rinnovamento qualitativo e quantitativo del pubblico impiego, partendo dallo stabilire le missioni strategiche fondamentali in relazione proprio al PNRR e, su tali basi, definendo il piano dei fabbisogni di personale.
- Accompagnamento e sostegno alle amministrazioni nelle sfide di semplificazione e di riduzione dei tempi e degli oneri amministrativi.
- Lotta alla “burocrazia difensiva”, promuovendo la discrezionalità e l’autonomia della dirigenza.
- Riforma, rilancio e rafforzamento della formazione di tutte le donne e gli uomini che lavorano nella PA, puntando più sulle competenze organizzative che sul mero adempimento delle norme.
- Promozione della sussidiarietà orizzontale, della partecipazione, della collaborazione (articoli 2 e 118 Cost.).
- Uso della trasformazione digitale al servizio degli obiettivi strategici e per garantire una governance efficace e competente dei dati e un loro uso pubblico.
Su alcune di queste azioni si è cominciato a lavorare con i recenti provvedimenti, a cominciare dal Decreto Semplificazioni che abbiamo ampiamente commentato, ma è necessario fare un salto di qualità che preveda anche un importante investimento in risorse finanziarie, umane e strumentali e una radicale semplificazione delle normative, assieme ad una maggiore autonomia dei governi locali, basata su una reciproca fiducia.
Sperare che il cambiamento necessario accada a “risorse invariate” è illusorio. Sperare poi di poter cogliere le opportunità eccezionali che ora abbiamo e investire i miliardi che arriveranno, ottenendo risultati duraturi, senza investire nella PA sarebbe imperdonabile e foriero di un sicuro fallimento.