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Gianna Fracassi: bisogna passare da un’economia dell’incuria a un’economia della cura

Gianna Fracassi: bisogna passare da un'economia dell'incuria a un'economia della cura
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L’intervista di Gianni Dominici a Gianna Fracassi, Vicesegretaria generale della Cgil, che manifesta alcune preoccupazioni sulla capacità di governance del nostro paese, sul rischio di sovrapposizioni istituzionali rispetto al governo delle scelte

12 Ottobre 2020

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Redazione FPA

Gianna Fracassi: bisogna passare da un'economia dell'incuria a un'economia della cura

Nel percorso di avvicinamento a FORUM PA 2020 Restart Italia, questa volta Gianni Dominici intervista Gianna Fracassi, Vicesegretaria generale della Cgil, che ha aperto il confronto evidenziando come anche un’organizzazione sindacale, chiamata a dare risposte nei territori, si è ritrovata a immaginare scenari e modalità di produzione ibride per tutte le attività che non potevano e non possono essere svolte a distanza, ma che la pandemia ha obbligato a rivedere. Lo smart Working, per quanto era possibile, e l’accelerazione sul lavoro a distanza, ha obbligato la Cgil a dotarsi di una propria piattaforma per le videoconferenze e a implementare l’aspetto digitale.

L’intervista

“Il distanziamento fisico – afferma Fracassi – ci ha obbligato a trovare una modalità diversa di lavoro, anche nel rapporto con le persone che, nonostante il lockdown, si sono rivolte alle nostre camere del lavoro, ai nostri servizi. Vorremmo ritornare alle nostre attività tradizionali in presenza, perché il lavoro sindacale si fa soprattutto nel confronto con le persone, poi la digitalizzazione è uno strumento aggiuntivo che serve ad aumentare la nostra possibilità di essere presenti con lavoratori e lavoratrici”.

Come eravamo prima dello lockdown? “Un paese che provava timidamente a risollevarsi da una crisi; che aveva ancora livelli alti di disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile; un paese che mancava di una politica industriale di sviluppo che provasse a cogliere le grandi sfide, come quella della digitalizzazione che è uno dei driver che la commissione pone alla base della definizione dei progetti sulla Next Generation EU”.

“È chiaro che la crisi, anche per effetto dell’interconnessione della nostra economia col resto del mondo, ha – racconta Fracassi – inevitabilmente aggravato la situazione (non soltanto dal punto di vista dei conti pubblici) perché ha rallentato la possibilità di recuperare e soprattutto perché è intervenuta pesantemente su alcune filiere importanti per il nostro paese: turismo, cultura, servizi in generale”. Filiere produttive per le quali si intravede poco la fine della crisi, perché legate alla possibilità del viaggio e quindi della presenza fisica.

Le risposte di resilienza, pervenute dalla comunità e registrate in ogni parte del nostro territorio nazionale, hanno sancito un dato di fatto: siamo un paese che dà il meglio nelle fasi di emergenza. “Credo che sia evidente a tutti la straordinaria importanza del lavoro pubblico, che ha retto la condizione del paese insieme a tanti lavoratori e lavoratrici del privato. Questa è una lezione che dobbiamo ricordare, soprattutto quando ritorneranno le sirene, che ci chiederanno di ridurre o di impoverire le grandi reti pubbliche (un trend ricorrente nel dibattito pubblico), perché impoverire la pubblica amministrazione, impoverire le reti di cittadinanza, significa avere un paese meno resiliente di fronte alla crisi”. Fracassi pensa al settore dell’istruzione con tutte le sue difficoltà, prima fra tutte quella di non avere l’impianto per poter costruire percorsi didattici a distanza; pensa al tema della salute che deve venire prima del profitto e ricorda che la Cgil ha sottoscritto con il Governo due protocolli per la tutela delle persone che lavoravano nella fase dell’emergenza, nella consapevolezza che bisognava metterle in sicurezza per poter garantire la salute di tutti.
Il tema di come si partecipa e di come si condividono i grandi progetti politici è per Fracassi un tema da inserire all’ordine del giorno.

“Abbiamo un capitale umano al quale dobbiamo dare le giuste competenze per sfidare le sfide e invece – sottolinea Francassi – abbiamo impoverito le pubbliche amministrazioni sul versante della formazione; dal punto di vista fisico, nel senso che abbiamo avuto un lunghissimo blocco del turnover e non abbiamo messo in campo un’idea strategica di innovazione sul versante del personale; abbiamo scelto di non investire in istruzione con interventi di tagli pesantissimi, senza pensare che sul versante della formazione permanente fosse necessario dare senso e significato a una norma che nel nostro paese esiste dal 2012 e che riconosce il diritto soggettivo all’apprendimento durante tutto l’arco della vita”.

C’è poi da ricordare che non siamo esattamente un paese superconnesso, con tanti contesti urbani senza accesso alla rete. Fracassi crede uno degli interventi primari da attuare riguarda le infrastrutture digitali, per poi parlare di digitalizzazione e di smart working. Lo smart working è sicuramente uno strumento innovativo, ma – precisa Fracassi – “le condizioni di lavoro devono essere contrattate; occorre prevedere espressamente un diritto alla disconnessione, occorre garantire gli orari, la formazione e l’accesso a device digitali”.

Si chiude l’intervista guardando al futuro, al programma della Next Generation EU: una sfida per l’Italia da non perdere. Fracassi fa il punto sulle risorse finanziarie dei nuovi fondi europei straordinari ed evidenzia i binari tracciati dall’Europa: il 57% di queste risorse sono assegnate, per il 37% al green deal, quindi al contrasto alla crisi climatica, e per il 20% alla digitalizzazione, mentre il resto dovrebbe servire per ricostruire un paese più resiliente dal punto di vista sociale ed economico.

“Scegliamo le direttrici – sottolinea Fracassi – e su quelle direttrici facciamo un intervento profondo nel paese”. Importante per questo è la partecipazione e la condivisione di visione a tutti i livelli, istituzionali e territoriali, evitando sovrapposizioni istituzionali, frammentazioni rispetto al governo delle scelte.
In conclusione “bisogna passare da un’economia dell’incuria a un’economia della cura”: sanità, istruzione, valorizzazione delle competenze, cura del territorio e dell’ambiente.

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