Il lavoro permea la nostra società e come tale il cambiamento legato ad alcuni comportamenti porta altrettanti stravolgimenti in altre sfere, dalla qualità del lavoro stesso alla sostenibilità urbana. Abbiamo l’occasione di progettare il futuro governando i processi di cambiamento, ma serve investire sulla formazione.
9 Novembre 2020
La crisi pandemica ci ha permesso di vedere meglio le debolezze del nostro sistema organizzativo, prima fra tutti il fatto che arrivare impreparati ad un evento così grave come quello in corso ora, ha dei costi altissimi. Questo fa pensare che il nostro paese sia fragile per scelta, in quanto nonostante la coscienza del rischio, non si è preparato un piano di emergenza in grado di rendere il nostro sistema il più resiliente possibile. Tutto questo a riprova della pratica italiana dell’affrontare i problemi quando si presentano invece di provare ad anticiparli.
In questa puntata Gianni Dominici intervista Marina Penna, ricercatrice dell’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, e curatrice del progetto Smart Working x Smart Cities, indagine in merito alle condizioni e ai contesti in cui cultura e innovazione organizzativa del lavoro possono essere utilizzate come leve di sostenibilità urbana.
“In ENEA – dice Penna – valutiamo i possibili scenari energetici sulla base di pratiche nuove, come appunto lo Smart Working”, essendo il lavoro uno degli elementi che permea l’intera società, un cambiamento nell’approccio al mondo del lavoro può avere effetti di vario tipo su disparati campi, quali la qualità del lavoro, il welfare, la valorizzazione delle persone e la sostenibilità urbana, solo per menzionarne alcuni. Parlando di ambiente, per esempio, questi mesi hanno provato che modificando alcuni comportamenti i parametri cambiano: i livelli di inquinamento sono scesi in modo esponenziale mostrando che governando i processi i cambiamenti possono prendere forma. Il problema risiede nel fatto che esempi come quello ambientale non siano legati ad una roadmap o ad un qualche piano precedentemente stabilito, ma siano solo il frutto della gestione di un’emergenza come quella in cui si trova il pianeta.
“La flessibilità organizzativa si è dimostrata l’ancora di salvezza del sistema – continua la ricercatrice parlando della situazione italiana – riuscendo a garantire la continuità dei servizi”, serve però un piano oculato da mettere in pratica in tempi di normalità, così da affidarsi a processi decisionali collaudati una volta che una crisi si presenta alla porta. In merito alla PA ciò che è sbagliato è immaginare di riformarla richiamando alle norme invece che puntando sull’innovazione. Necessita un forte ricambio generazionale con investimenti sulla dimensione umana che porti nelle amministrazioni persone dotate di spirito creativo e che lavorino per obbiettivi e non per adempimento.