L’innovazione parte dagli Enti locali: in cerca di norme condivise

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I piccoli Comuni hanno ancora sistemi gestionali vecchi e incapaci di legarsi in cloud o di essere fruiti tramite device mobili. Non è accettabile e servono norme di coordinamento a livello regionale e nazionale. Vanno snellite le procedure e vanno dati precisi paletti nei quali le aziende produttrici di software devono stare

4 Luglio 2016

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Marco Bussone, vicepresidente Uncem Piemonte

Lo Stato che si trasforma, che cambia e che migliora le sue Istituzioni per renderle più vicine ai cittadini, non può non ripartire dalle istanze dei territori marginali, dalle aree montane e dagli Enti locali. Gli ultimi dieci anni sono stati “tormentati” da provvedimenti normativi nazionali e regionali che hanno avversato i Comuni, molto spesso sono stati privi di un disegno e di una strategia alla base. Le riforme sono sempre complesse e piene di ostacoli, culturali prima ancora che politico-istituzionali. Bisogna conoscerne a fondo presupposti, impianto e obiettivi.

Due recenti provvedimenti normativi hanno rimesso al centro le periferie, non urbane, ma “dei territori”, delle terre di mezzo che toccano quelle aree interne oggi oggetto in Italia anche di una specifica Strategia aperta dall’ex ministro Fabrizio Barca. In primo luogo il Collegato ambientale alla legge di stabilità 2016, già approvato, e il disegno di legge sui piccoli Comuni e la montagna, con un iter che riparte a giorni alla Camera. Non solo. È del tutto rilevante per l’assetto istituzionale sui territori la riforma costituzionale già approvata in doppia lettura dal Parlamento e a ottobre sottoposta al referendum popolare. Previsto il riconoscimento della “specificità montana”, estensione di quel secondo comma dell’articolo 44 della Costituzione che prevede “misure specifiche per le aree montane”, compensazione per gli handicap geografici permenenti, ma anche capace di valorizzare i fondamentali servizi ecosistemici-ambientali che la montagna garantisce.

Da ultimo, è importante rilevare le aperture di diversi componenti del Governo e di moltissimi Parlamentari di tutti gli schieramenti per una riforma della legge 56/2014, volta a stabilizzare le Unioni di Comuni, forma associativa prioritaria per superare la frammentazione. Servono urgenti correttivi alla legge Delrio volti a incentivare le unioni che associano più funzioni fondamentali ed evitare che si formino aggregazioni su base volontaria eccessivamente fragili, non essendo prevista oggi una norma chiara e stringente sull’entrata e sull’uscita dei Comuni. Oggi si entra (i Comuni) e si esce a piacimento, sistema che determina ingovernabilità, incapacità di affrontare grandi progetti, incapacità manageriale. A questo si aggiungono le necessità di precisare la figura del dirigente apicale (segretario dell’Unione), dell’ambito ottimale nel quale costruire l’unione, nonché di perfezionare le norme relative al personale della forma associativa. E ancora di lavorare attorno all’uniformità dei servizi informativi tra i Comuni che compongono le Unioni. Su questo fronte in particolare servono prese di posizione forti da parte delle Regioni.

I piccoli Comuni hanno ancora sistemi gestionali vecchi e incapaci di legarsi in cloud o di essere fruiti tramite device mobili. Non è accettabile e servono norme di coordinamento a livello regionale e nazionale. Vanno snellite le procedure e vanno dati precisi paletti nei quali le aziende produttrici di software devono stare per consentire più efficienza e snellezza dell’iter amministrativo, all’interno della PA e all’esterno dei piccoli enti. Anche in questo obiettivo è necessario superare una marginalità che prima di essere istituzionale è culturale. Sono anche queste periferie, non urbane, dove lo Stato per tanti anni non è arrivato. Le frontiere digitali, l’unione di piccoli enti, la fruizione dell’innovazione e delle nuove reti infrastrutturali, sono un’appiglio e una speranza. Appiglio per tutti quei sindaci e “amministratori volontari” chiamati a guidare con non poche emergenze i piccoli enti. Speranza perché la marginalità, nello Stato che si trasforma, lascia sempre spazi di libertà da percorrere.

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