ASL Roma 1, vicina e digitale: come portare l’assistenza nelle case delle persone

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Un anno ed oltre di Covid ha spinto le aziende sanitarie a rimodulare non tanto il concetto di cura, quanto la fruizione della cura stessa. Lo abbiamo visto con le anamnesi digitalizzate dei centri vaccinali, con le piattaforme di prenotazione dei tamponi, con i servizi di teleassistenza. La stessa cosa è avvenuta nella comunicazione. Vi raccontiamo l’esperienza della ASL Roma 1, il cui portale aziendale si è arricchito di sportelli digitali e i social network hanno fatto da gigantesca cassa di risonanza delle informazioni utili a gestire la pandemia

6 Maggio 2021

M

Roberta Mochi

Dirigente Ufficio Stampa, Social Media Manager ,ASL Roma 1

C

Anna Laura Consalvi

Addetto stampa e social media manager, ASL Roma 1

Photo by Glen Carrie on Unsplash

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Durante l’emergenza sanitaria il 71% di coloro che hanno avuto bisogno di informarsi sui corretti stili di vita lo ha fatto sul web. Lo sa bene PA Social che in questi mesi non ha mai smesso di fare formazione e informazione digitale, proprio per favorire best practice e agevolare le Pubbliche Amministrazioni nella crisis communication. Se il concetto di cura ha a che fare con la “qualità della vita” delle persone, l’uso di tecnologie digitali in sanità ha un enorme valore aggiunto, soprattutto in un periodo come quello della pandemia, in cui l’impossibilità di accedere fisicamente a molti servizi e le regole di sicurezza e di distanziamento sociale hanno cambiato i percorsi e le modalità di accesso alla presa in carico. Un anno ed oltre di Covid ha spinto le aziende sanitarie a rimodulare non tanto il concetto di cura, quanto la fruizione della cura stessa. Lo abbiamo visto con le anamnesi digitalizzate dei centri vaccinali, con le piattaforme di prenotazione dei tamponi, con i servizi di teleassistenza e, ultimo nato nella ASL Roma 1 ma primo nel Lazio, con la riabilitazione motoria in realtà virtuale. La stessa cosa è avvenuta nella comunicazione, il portale aziendale si è arricchito di sportelli digitali e i social network hanno fatto da gigantesca cassa di risonanza delle informazioni utili a gestire la pandemia.

Un rapporto meno burocratico con il servizio sanitario

L’emergenza covid 19 ha obbligato tutti i comunicatori, compresi quelli pubblici, a cambiare di pari passo con i ritmi frenetici della trasformazione in atto. Essere reattivi di fronte al cambiamento e gestire le richieste crescenti dei cittadini è stato fondamentale. 

Come molte delle aziende sanitarie ci siamo inizialmente abituati a puntare i riflettori sullo strumento della comunicazione – piattaforme, chat, videocall – sull’iperreattività e sulla immediatezza delle risposte, dove la necessità di reperire notizie da parte dei cittadini e per noi di interagire con gli utenti in tempo reale ci ha obbligato ad una grande elasticità. In questo slot temporale è stato subito chiaro che le aziende dovevano scegliere il proprio ruolo, e il nostro era quello dell’autorità sanitaria, ferma, monolitica, inamovibile.

Con il passare dei mesi, la nostra priorità è stata quella di fornire informazioni chiare, semplici, tempestive anche per contrastare il dilagare delle notizie prive di fondamento, per orientare i cittadini e confermarci come voce certa circa la salute pubblica. Il piano della comunicazione ha spostato prima il linguaggio sul sentiment. In una sorta di narrazione iperrealistica e nostalgica che però si è bruscamente interrotta con la fine dell’estate e l’inizio della seconda ondata, lasciando spazio ad una realtà fatta di caschi, di respiratori, di lavoratori, gente comune e di critiche. Si è iniziato a giocare in difesa.

Con l’avvio della campagna vaccinale i riflettori si sono spostati di nuovo, questa volta sui numeri, sulla programmazione manageriale del piano anti-covid, sulla grande operazione di prevenzione e sanità pubblica sul territorio. L’obiettivo è stato facilitare la gestione della vita quotidiana di ognuno dei nostri residenti: semplice da individuare, meno semplice da attuare in condizioni di crisi. La prospettiva con il passare delle settimane è mutata nuovamente, costringendoci ancora una volta a rivedere le nostre priorità. Ci ha offerto l’occasione per riorganizzare progetti e strategie, per renderli più flessibili ed efficaci, ci ha insegnato a essere versatili, ma soprattutto ad ascoltare e a osservare l’universo che ci circonda. La rivoluzione digitale che stiamo attraversando è stata per noi volano di semplificazione e umanizzazione delle cure. Rendendo evidente che abbandonare l’iperburocratizzazione, almeno nella comunicazione, non solo è possibile ma di certo è efficace a garantire una distribuzione equa delle possibilità, anche informative, e una qualità di vita migliore per tutti.

Quali possano essere i risultati di un rapporto più friendly e accessibile con il servizio sanitario pubblico sono evidenti, se si effettua una analisi anche sommaria dei dati relativi all’engagement delle nostre piattaforme social. Nel periodo covid la ASL Roma 1, una azienda sanitaria che si occupa di poco più di milione di cittadini sul territorio romano, ha registrato una reach sulla pagina Facebook ufficiale di 10 milioni e mezzo di persone. Una copertura straordinaria soprattutto se si tiene conto del fatto che è totalmente organica. Circa 30mila sono stati i commenti ai nostri oltre 900 post e quasi 200mila le reaction sulla piattaforma. Se poi passiamo a contare i primi accessi nella chat Messenger arriviamo a oltre 27mila persone, che hanno scelto di utilizzare questo canale per mettersi in contatto diretto e semplice con l’autorità sanitaria della propria residenza.

Nessuno vuole davvero restare da solo

Come siamo arrivati a questo tipo di relazione con la nostra community? Abbiamo ascoltato la piazza virtuale e siamo partiti da un bisogno comune: vincere il sentimento di abbandono e di distacco in cui molte persone erano rimaste intrappolate. Storie di solitudine o, al contrario, di eccessiva sicurezza nell’affrontare le avversità. Ci siamo resi conto nel tempo che fare la nostra parte significava stare in ascolto, indirizzare, sciogliere la confusione.

Il coronavirus ha stravolto il nostro modo abituale di vivere le relazioni e una parte importante del nostro lavoro è stata proprio quella di guidare come community manager anche la risoluzione dei conflitti nati da una pluralità di notizie, spesso non verificate, educando i cittadini all’utilizzo e alla condivisione responsabile dei contenuti. Sappiamo che la paura genera ansia e l’ansia, insieme ai pensieri ricorsivi e al panico di non sentirsi al sicuro, può essere esplosiva. Abbiamo cominciato a domandarci cosa volesse dire avere un problema di salute e non sapere come orientarsi. Da questa riflessione abbiamo fatto nostra una frase di Winston Churchill riportata sulla lavagna dei contagi del nostro Servizio Igiene e Sanità Pubblica (SISP) fin dai primissimi giorni del SARS-CoV-2 nel Lazio: “Arriva un momento speciale nella vita di tutti, un momento per il quale quella persona è nata. Quella speciale opportunità, quando egli la coglie, soddisferà la sua missione – una missione per la quale egli è singolarmente qualificato. In quel momento, egli trova la grandezza. È la sua ora più bella”.

La nostra ora più bella è stata questa e l’abbiamo trascorsa facendo il nostro mestiere di comunicatori pubblici, raccontando le storie e le sfide di ogni giorno, del personale e informando con appropriatezza la popolazione sulle azioni preventive per arginare il virus. Il cambio di percezione è stato enorme, perché non abbiamo cercato di guadagnare visibilità ma di stabilire relazioni. Oggi possiamo dire che la nostra ripartenza si fonda sulla fiducia.

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