Identità e marketing: la PA alla prova del fuoco della comunicazione
In un sistema socio-economico sempre più contaminato, ibrido e complesso si possono applicare le regole del marketing alla pubblica amministrazione? Può la comunicazione pubblica aprirsi a nuovi linguaggi e nuovi strumenti e soprattutto aprire le braccia a un diverso modo di concepire il dialogo con il cittadino? Emerge la necessità di una nuova figura, una sorta di PA angel, il corrispettivo del “business angel” del linguaggio d’impresa: un “PA brand expert”, mix (esplosivo) di diversi profili professionali e prima sentinella del cambiamento nella PA. L’articolo rientra in una rubrica realizzata in collaborazione con PA Social
8 Luglio 2021
Annalisa D’Errico
Giornalista e comunicatrice pubblica, Coordinatrice PASocial Piemonte e VdA
In un sistema socio-economico sempre più contaminato, ibrido e complesso si possono applicare le regole del marketing alla pubblica amministrazione? Può la comunicazione pubblica aprirsi a nuovi linguaggi e nuovi strumenti e soprattutto aprire le braccia a un diverso modo di concepire il dialogo con il cittadino?
In fondo sono numerosi i punti di contatto tra mondo consumer, tipico delbusiness, e quello della PA: in primo luogo la reputazione e la responsabilità d’immagine da preservare e valorizzare. Poi i valori, necessari e insostituibili nel tempo, a cui legare a filo doppio chi quei principi li vuole condividere, usufruendo di beni o servizi. E infine il concetto di fidelizzazione: un termine tutto sommato recente se il dizionario Zingarelli 2021 lo data 1985 e specifica che l’accezione economica del lemma ha il significato univoco di “rendere un cliente fedele a un’impresa tramite opportune politiche di marketing”. Ma è proprio così? Solo un’impresa può creare un rapporto solido e duraturo con il proprio target?
In realtà la pubblica amministrazione ha molti più assi nella sua manica, in questo senso, rispetto a una realtà privata: i valori e i principi a cui si ispira sono “alti” e condivisi da un’intera nazione. Pensiamo, ad esempio, ai concetti di democrazia o al suo gemello più moderno e-democracy. Pensiamo alla trasparenza, al benessere sociale, all’uguaglianza, alla solidarietà o alla legalità. Quotidianamente decine di pubbliche amministrazioni offrono beni e servizi ai propri cittadini (Sportello unico delle attività produttive, rinnovo carta d’identità, mensa scolastica, attività culturali o ludiche) e lo fanno cercando di adattare il proprio stile comunicativo, il proprio registro (linguistico ma anche emozionale) e il proprio messaggio in base al “ricevente”, al target in questione.
Si potrebbe parlare di una nuova e necessaria rivoluzione copernicana per la pubblica amministrazione che va di pari passo a quella legata al digitale: cogliere l’urgenza del cambiamento, avere una maggior consapevolezza del proprio ruolo, adottare modelli ed elementi di comunicazione non più autoreferenziali, ma “messi a terra” con concretezza. A cambiare deve essere prima di tutto la visione che la PA ha di se stessa, ma questa trasformazione non può avvenire a prescindere da coloro che nella pubblica amministrazione ci lavorano. E, volendo stringere ancora di più il cerchio, da coloro che nella PA hanno il ruolo di comunicare e informare su attività, iniziative o prestazioni.
Come sappiamo, la legge n. 150/2000 è la legge che circoscrive il campo d’azione di chi, nella PA, si occupa di questo e lo fa attraverso tre articoli che riguardano tre diversi e complementari profili professionali: il portavoce (con un chiaro status che gli viene riconosciuto dalla politica), l’ufficio per le relazioni con il pubblico (che richiama le più ampie attività di comunicazione) e l’ufficio stampa (con un’esplicita connotazione giornalistica).
Come può un solo ente avere tre voci, non sempre coordinate, per raccontare quello che è e che fa? Come non tenere conto delle nuove competenze necessarie per organizzare una nuova comunicazione? Cerbero, il cane a tre teste della mitologia greca, aveva il compito di sorvegliare l’accesso dell’Ade affinché nessuno dei morti ne potesse uscire: la comunicazione pubblica non ha più bisogno di questa raffigurazione. Non necessita di feroci guardiani che devono proteggere le sue informazioni, bensì di una figura sempre disposta ad aiutare il cittadino, ad affiancarlo e sostenerlo nel suo percorso di avvicinamento alla PA. Una sorta di PA angel, il corrispettivo del “business angel” del linguaggio d’impresa.
Chi aggiorna il sito? Chi pensa ai social? Chi si preoccupa del blog o della newsletter? Chi garantisce una gestione coordinata su tutte le piattaforme, chi si occupa dei processi redazionali della propria PA? E ancora. Chi è deputato a realizzare video, podcast o altri prodotti editoriali? Le competenze di colui che genericamente viene definito, nel marketing, social media manager sono ampie e varie. Spesso, viste le specificità, vengono affidate a un’agenzia esterna. Ma in molti casi rappresentano il pane quotidiano per chi si occupa di comunicazione in qualsiasi ente pubblico
Quello che io e Gianluigi Bonanomi chiamiamo “PA brand expert” (FrancoAngeli, 2021) è infatti un mix (esplosivo) di diversi profili professionali, tra cui il social media manager, il webmaster, il community manager, il digital strategist, il creative manager, il branding strategist, il digital marketing manager, il SEO o SEM specialist, l’e-reputation manager, il digital PR, il data analyst e il crisis communication manager.
La maggior parte di queste figure necessita di digital hard skill – le competenze tecniche e specifiche di base caratterizzanti una professione digitale – che si possono acquisire con percorsi scolastici, universitari e postuniversitari, ma anche sul luogo di lavoro con una formazione mirata. A queste competenze si aggiungono alcune digital soft skill: le abilità trasversali che riguardano i comportamenti e le relazioni delle persone in qualsiasi ambiente lavorativo.
La prima e la più importante competenza dell’esperto di comunicazione è saper trovare sempre nuove strade per raggiungere gli obiettivi, individuare nuovi approcci e nuovi strumenti per rispondere alle richieste che arrivano dall’esterno. Si potrebbe dire che il primo obiettivo del PA brand expert è quello di imparare a domare la complessità stessa della comunicazione, riconoscendo di essere sempre in una “versione beta” di costante sperimentazione, in uno stato permanente di definizione.
E poi comprendere le esigenze e i bisogni di comunicazione dei colleghi, raccogliere le informazioni e “tradurle” per i cittadini, avere un approccio creativo e innovativo, saper gestire i flussi comunicativi online nel rispetto della social media policy, avere flessibilità cognitiva e pensiero critico, possedere o voler sviluppare l’intelligenza emotiva e l’empatia e infine possedere capacità di negoziazione.
Insomma, il PA brand expert deve essere la prima sentinella del cambiamento nella PA. Perché? Perché il marchio è identità, unica e insostituibile, di ogni organizzazione.