La nuova vita di SPID: cosa ci racconta il successo della campagna referendaria
Mentre si avvicina la scadenza del 30 settembre, data ultima per accedere ai servizi online della PA con credenziali diverse da SPID e CIE, l’identità digitale assume una nuova veste e diventa strumento per esercitare anche i diritti politici. Il banco di prova è stato la raccolta firme per i referendum su eutanasia e cannabis, che per la prima volta è avvenuta online, utilizzando appunto l’identità digitale. Una vera rivoluzione e, soprattutto, un grande successo, che ci spinge a fare qualche riflessione
24 Settembre 2021
Michela Stentella
Direttrice testata www.forumpa.it
Ascolta l’articolo in podcast
Si sta avvicinando per cittadini e pubbliche amministrazioni la fatidica data del 1° ottobre: da quel giorno si potrà accedere ai servizi online della PA esclusivamente con SPID o CIE e non sarà più possibile utilizzare le vecchie credenziali (username, password, PIN), che erano temporaneamente “sopravvissute” alla precedente scadenza del 28 febbraio 2021. Il Decreto “Semplificazioni” stabiliva, infatti, che a quella data le pubbliche amministrazioni italiane avrebbero dovuto integrare nei propri sistemi informativi SPID e CIE come unici sistema di identificazione per l’accesso ai servizi digitali, cessando contestualmente il rilascio di credenziali differenti da questi due strumenti. Quelle già rilasciate sarebbero rimaste comunque valide fino al 30 settembre 2021.
La nuova scadenza ora è arrivata…siamo pronti? Lato amministrazioni sembra di no, se consideriamo gli ultimi numeri ufficiali pubblicati da AgID, che parlano di 7.950 pubbliche amministrazioni che consentono l’accesso ai servizi online anche attraverso SPID (dato aggiornato a giugno 2021) su una platea complessiva di oltre 20.000 enti pubblici. Un numero in progressiva crescita, ma ancora non sufficiente, se ricordiamo che, oltretutto, tra le amministrazioni “attive” sono conteggiate anche quelle che hanno attivato un solo servizio. Aumenta invece il numero di cittadini che si sono dotati di identità digitale: al 15 settembre avevamo superati i 24 milioni di identità SPID erogate (precisamente 24.387.240) contro i circa 18 milioni del febbraio scorso. Un trend in continua crescita, sostenuto anche dal fatto che SPID è indispensabile per accedere a una serie di servizi essenziali ad ampio utilizzo (730 precompilato, ad esempio), nonché per utilizzare la app IO e, di conseguenza, ottenere una serie di bonus la cui richiesta andava fatta proprio tramite la app (bonus vacanze, cashback di Stato, per esempio). Altra grande spinta arriva ora dal green pass, la Certificazione verde Covid-19, che si può scaricare da diverse piattaforme (portale dedicato, app IO o app Immuni, portali regionali del Fascicolo Sanitario Elettronico) accedendo proprio tramite identità digitale. Bisognerà vedere cosa accadrà dal 1° ottobre, quando cambierà il sistema di accesso a servizi centrali come quelli Inps, che coinvolgono una platea di persone potenzialmente “critiche”, per età e formazione, rispetto all’uso dei servizi digitali e che ancora utilizzano il vecchio PIN. Per questo Inps ha già attivato un sistema che prevede di poter delegare un’altra persona a gestire il contatto e le pratiche online con l’Istituto.
Ma c’è un altro fenomeno che in questi giorni sta dando “nuova vita” a SPID, oltre a mostrarci qualcosa di importante sul sentimento dei cittadini rispetto alla politica e sulla loro voglia di tornare a dire la propria rispetto all’agenda politica: il successo della raccolta firme per i referendum su eutanasia e cannabis. Per la prima volta le firme sono state raccolte online, utilizzando appunto l’identità digitale. Una vera rivoluzione, che arriva a seguito di un emendamento introdotto nel Decreto semplificazioni da Riccardo Magi, Deputato, Presidente di Più Europa e già segretario dei Radicali. È l’esito di un percorso avviato da Mario Staderini, segretario di Democrazia radicale – che nel 2019 aveva fatto condannare l’Italia dal Comitato dei Diritti umani dell’ONU per violazione del patto internazionale sui diritti politici, dati gli “irragionevoli ostacoli” alla raccolta delle firme previsti dalla legge 352 del 1970 – e proseguito da Marco Gentili, co-Presidente dell’Associazione Luca Coscioni, che aveva portato all’attenzione del Ministro Vittorio Colao il tema dell’urgenza della firma digitale per i referendum.
Per la prima volta, quindi, la piattaforma digitale si sostituisce (o si affianca) ai tradizionali banchetti per la raccolta firme che per quasi mezzo secolo, dal referendum sul divorzio del 1974, abbiamo sempre visto nelle nostre piazze. Risultato? Un enorme successo, basti pensare alla valanga di adesioni ricevute dal “referendum cannabis legale” (referendum abrogativo che di fatto porta alla legalizzazione della coltivazione di cannabis per uso personale): la raccolta firme è cominciata il 13 settembre, interamente online sul sito referendumcannabis.it, e in una sola settimana ha raggiunto quota 500mila, il minimo necessario per passare alle fasi successive del complesso iter che dovrebbe portare al voto. Ha avuto un riscontro altissimo anche il quesito sull’eutanasia legale: in questo caso il sistema di raccolta firme online si è affiancato a quello tradizionale e al 15 settembre erano più di 900mila le persone che avevano firmato, 600mila ai banchetti e oltre 300mila in digitale. Tanto che ora la pagina di raccolta firme online riporta questo messaggio: “Attenzione a causa dell’eccessivo volume di firme il sistema è in sovraccarico”. Si tratta di un referendum parzialmente abrogativo dell’art. 579 del Codice penale. L’eutanasia attiva sarebbe consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla Sentenza della Consulta sul “Caso Cappato”, ma rimarrebbe punita se il fatto è commesso contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o contro un minore di diciotto anni.
Insomma, sembra partita una nuova stagione referendaria, nuova per intensità e per modalità. Pensiamo che l’ultima volta che c’è stata una così forte adesione per presentare un referendum popolare è stato nel 2011 (i due referendum cosiddetti sull’acqua, quello sul nucleare e quello sul legittimo impedimento). Il referendum “contro la privatizzazione dell’acqua” raccolse 1 milione e 400 mila firme. Ci fu poi nel 2011 un’altra massiccia partecipazione per proporre il referendum abrogativo della legge elettorale (cosiddetto “Porcellum”), che raccolse oltre un milione e 210 mila firme, ma in quel caso la Corte costituzionale respinse entrambi i quesiti per l’abrogazione (parziale e completa) della legge elettorale.
I referendum su cannabis ed eutanasia sono promossi da un insieme di sigle (associazioni, movimenti, liste civiche, partiti politici), che hanno trovato nel web un formidabile strumento non solo di comunicazione, ma anche di mobilitazione attiva e partecipazione. La partecipazione online non è una novità, ma in questo caso si tratta proprio di esercitare un diritto politico. Non stiamo parlando, infatti, di una petizione online, o di una piattaforma partecipativa per coinvolgere i cittadini nelle decisioni pubbliche. Questi sono certamente esempi di e-democracy, ma qui si è fatto un passo ulteriore, come ha sottolineato Riccardo Magi, ricordando che con i referendum abrogativi ci si sta muovendo nel perimetro istituzionale e che sarà la Cassazione ad esaminare le firme.
La grande risposta ottenuta ci spinge, infatti, a fare una considerazione: in un momento storico e in un paese in cui si sottolinea la lontananza dei cittadini dalla politica, c’è in realtà voglia di partecipare anche e soprattutto da parte di fasce della popolazione spesso tacciate di disinteresse, come i giovani. Lo ha sottolineato Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni (che promuove entrambi i referendum), commentando le adesioni al quesito sull’eutanasia in cui hanno avuto un grande ruolo le donne e, in particolare, le donne giovani tra i 18 e i 35 anni. La lontananza, semmai, non sarebbe tanto dalle “battaglie politiche”, ma dalle logiche dei partiti che non si mostrano recettivi rispetto a questi temi. “Il fatto che non si legiferi per via ordinaria è esattamente il problema del nostro paese – ha sottolineato Riccardo Magi -. Negli ultimi anni sono state depositate leggi di iniziativa popolare su temi come cannabis, eutanasia e il Parlamento non le ha considerate”. Analogo commento da parte del presidente della Camera, Roberto Fico, che ha detto: “Dalla raccolta firme per il referendum sulla cannabis arriva un ottimo messaggio, voglia di partecipazione e anche uno stimolo al Parlamento che a legiferare è carente. Mi riferisco in particolare alla questione eutanasia sulla quale abbiamo un testo base in commissione ma la Corte Costituzionale ci ha detto che avremmo dovuto affrontare la cosa già tempo fa”.
Ora naturalmente, visto questo grande successo probabilmente inatteso, si è animato il confronto a partire da alcune domande: questa raccolta firme online non rischia di spegnere, semplificare, ridurre al minimo il dibattito e il confronto sui temi oggetto di referendum? Non si andrà verso una definitiva delegittimazione del Parlamento e della democrazia rappresentativa a favore di forme di democrazia diretta? Rischiamo un proliferare di quesiti referendari sui temi più disparati? Ci sono due fronti che erano già aperti e su cui si sta tornando a dibattere: da un lato l’ipotesi di innalzare la quota minima di firme richieste per i referendum di iniziativa popolare, dall’altro la proposta di anticipare il vaglio di ammissibilità da parte della Consulta al momento in cui i referendum abbiano raccolto 100mila firme senza aspettare il raggiungimento della soglia minima.
Ma al di là di questi sviluppi, quel che sembra evidente è come questa “rivoluzione” nell’istituto referendario assegni un nuovo ruolo agli strumenti digitali, un ruolo che è già esplicitato all’articolo 9 del Codice dell’Amministrazione digitale che recita: “Lo Stato favorisce ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all’estero, al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili sia individuali che collettivi”. L’identità digitale diventa in questo modo strumento indispensabile per esercitare i diritti di cittadinanza digitale nel senso più ampio e inclusivo del termine: non solo accesso ai servizi, ma anche espressione di diritti politici.