Dati per l’informazione pubblica, per la ricerca, per i servizi: il punto di vista di giornalisti, associazioni e sviluppatori
L’esperienza della pandemia ha aumentato la consapevolezza e ha prodotto un’accelerazione sulla raccolta, la condivisione e la diffusione di dati pubblici aperti, ma ha anche mostrato lacune e criticità che riguardano la disponibilità, l’interoperabilità e la qualità dei dati, le competenze e la governance dei processi dentro la PA. Nel secondo appuntamento della community Data Governance di FPA – che si è tenuto lo scorso 22 settembre in collaborazione con Informatica – è emerso il punto di vista dei riutilizzatori
7 Ottobre 2021
Redazione FPA
L’obiettivo del secondo appuntamento della Community Data Governance, organizzato da FPA nell’ambito del progetto Cantieri è stato quello di coinvolgere e rappresentare il punto di vista di coloro che “quotidianamente lavorano con i dati”, per evidenziare punti di forza e criticità emergenti dalle pratiche in atto. A questo scopo hanno partecipato al dibattito giornalisti, animatori di community, sviluppatori, esperti di dati e di open government che hanno affrontato il tema del riuso – nei diversi ambiti dell’informazione pubblica, della ricerca e per la progettazione di servizi a misura di utente – come driver nei processi di rilascio degli open data e come indicatore di impatto delle policy pubbliche.
La necessità di disporre di dati affidabili e aggiornati è emersa in maniera dirompente con l’avvento dell’emergenza pandemica, soprattutto nelle sue prime fasi, quando l’incertezza delle informazioni disponibili sull’andamento della diffusione del Covid-19 poteva indebolire e compromettere gravemente le misure di reazione e di contenimento alla crisi sanitaria.
Da questo punto di vista molto significativa è stata, durante l’incontro, la testimonianza di Isaia Invernizzi, giornalista de Il Post, sulla sua esperienza di raccolta e analisi dei dati sulla mortalità della provincia di Bergamo nei primi mesi del 2020, mostrando un quadro molto più allarmante di quello rappresentato dalle fonti ufficiali. Il suo lavoro ha avuto una grande eco e la sua metodologia di analisi è stata assunta dalle fonti informative istituzionali. Oggi, alla luce di quell’esperienza, ci si accosta ai dati finalizzati all’informazione pubblica con nuove domande: quali sono i dati che mancano? Quali i problemi e i limiti nei diversi metodi di raccolta e di organizzazione dei dati? I dati sono davvero affidabili? Domande che, secondo quanto emerso, dovrebbero porsi non solo i cittadini e i giornalisti, ma anche tutti gli enti e le istituzioni titolari di dati.
La consapevolezza sul valore degli open data è aumentata anche per merito delle associazioni, sempre più attente all’importanza di raccontare e spiegare il dato, nell’accezione di un “diritto sostanziale” per i cittadini, come testimoniato dal successo della campagna #datibenecomune promossa da Ondata per chiedere al governo dati aperti e machine readable sull’emergenza Covid-19. Azioni come questa dovrebbero spingere le amministrazioni ad andare oltre una logica di adempimento: i dataset rilasciati dalle PA dovrebbero essere guidati dalla domanda, orientati dall’interesse pubblico, da settori particolari di intervento o di conoscenza, dall’insorgere di criticità o emergenze.
Sul tema dei dati per la ricerca è stata sottolineata, nel dibattito, la mancanza di una piena sensibilità rispetto alla rilevanza di questo asset, “quasi dimenticando che proprio la condivisione dei dati ha consentito alla scienza di tenere più bassa la curva della pandemia e consentirà auspicabilmente di superarla”. La ricerca ha bisogno di open data e alcuni esempi particolarmente virtuosi – come quello sulle opportunità di gestione del patrimonio culturale (per realizzare applicazioni di realtà aumentata o per arricchire la qualità delle catalogazioni esistenti) o sulla correlazione fra la qualità delle acque e lo sviluppo di alcune malattie, rappresentati durante l’incontro – testimoniano il valore di questa relazione.
Attraverso gli open data possono svilupparsi nuove soluzioni applicative, come la piattaforma “FOIAPop” sviluppata a partire dalla necessità di agevolare l’accesso civico generalizzato ai dati e agli atti delle PA (secondo quanto previsto, appunto dal FOIA, il Freedom of Information Act) con l’auspicio che siano le amministrazioni stesse a farne uno strumento di relazione aperto e trasparente con i propri cittadini.
“Spostare il punto di vista. Mettere gli amministratori nei panni degli utenti finali per la progettazione di servizi pubblici attraverso i dati”: questo è stato lo scopo laboratorio di service design rivolto agli amministratori delle Città Metropolitane nell’ambito del Progetto “Metropoli Strategiche – Open Data al Metro cubo”, utilizzando la metodologia del design. Questa iniziativa ha evidenziato come l’innovazione non si faccia per decreto, ma attraverso la coprogettazione e il coinvolgimento delle persone. La principale barriera è stata, in questo caso, la difficoltà di costruire open data omogenei per le diverse città metropolitane soprattutto a causa delle diverse scelte attuate a livello regionale, superabile solo con la definizione di una base comune.
Il secondo incontro della community Data Governance ha evidenziato, in sintesi, come nell’ultimo anno e mezzo sia aumentata e si sia diffusa, presso una platea multi-attoriale che coinvolge sempre di più i cittadini, la consapevolezza dell’importanza dei dati, della loro apertura, standardizzazione, disponibilità e affidabilità. Per superare i limiti ancora presenti è importante, soprattutto, che le istituzioni titolari dei dati superino la logica dell’adempimento e promuovano l’utilizzo “interno” degli open data, per migliorare l’efficacia dell’azione pubblica e dei servizi e per orientare le decisioni, adottando adeguati accorgimenti anche in termini di trasformazione organizzativa e di implementazione di nuove competenze.