La formazione dell’archivio digitale: cosa sono le aggregazioni documentali e come organizzarle
Le nuove Linee guida AgID hanno introdotto, per il settore pubblico, l’obbligo di redigere il Piano di organizzazione delle aggregazioni documentali, uno strumento che fornisce all’intera amministrazione principi uniformi di organizzazione dei documenti non imposti dall’alto. Uno strumento operativo fondamentale, quindi, per la formazione degli archivi digitali. Scopriamo quali sono le disposizioni normative, le criticità da affrontare e le raccomandazioni da seguire
1 Dicembre 2021
Mariella Guercio
Anai - Associazione nazionale archivistica italiana, Docente di gestione documentale - Università La Sapienza di Roma
Dopo il primo approfondimento sulle nuove Linee guida AgID e il focus sulla classificazione archivistica, prosegue la serie di articoli dedicata agli strumenti operativi per la gestione documentale e la formazione degli archivi digitali. In questa uscita parliamo del Piano di organizzazione delle aggregazioni documentali.
Facciamo però prima un piccolo passo indietro: come già rilevato nel precedente contributo sulla classificazione, per la corretta formazione e gestione dell’archivio non è sufficiente che i documenti siano provvisti di un indice di classificazione, anche nel caso in cui lo strumento impiegato rispecchi correttamente le funzioni dell’ente e risponda a requisiti di qualità e coerenza. Del resto, il titolario – inteso con lungimiranza e utilizzato riconoscendo e rispettando i nodi applicativi che lo distinguono dagli interventi classificatori di altri domini – è pianificato anche, se non soprattutto, al fine di guidare, più che accompagnare, la sedimentazione dei documenti creando le basi per le future aggregazioni, in particolare i fascicoli e le serie di documenti che rispondano a criteri uniformi.
Formazione dell’archivio digitale: come dev’essere il Piano di classificazione
Se quindi la classificazione, oltre a descrivere le attività svolte nell’ente secondo un’articolazione logica razionale e funzionale, ha la capacità o, almeno, l’ambizione di sostenere l’organizzazione (logica e/o fisica) della documentazione, è indispensabile che lo strumento operativo che ne deriva tenga conto sin dalla fase di progettazione di tali obiettivi, individuando i principi all’origine della distinzione tra le diverse e specifiche tipologie di fascicoli e di aggregazioni seriali in relazione a ciascuna funzione e attività. In sostanza, il piano di classificazione o titolario deve prefigurare e, se possibile, includere informazioni integrative che supportino l’esigenza di creare in modo ordinato e funzionale gli insiemi documentari correlati al processo decisionale. Si tratta delle integrazioni sulla natura delle aggregazioni documentali, con particolare riferimento ai fascicoli che si formano in relazione a ogni voce finale del titolario, ma anche alle responsabilità per la loro gestione, alle relazioni con i processi di lavoro e i procedimenti amministrativi gestiti, ed eventualmente anche ai controlli necessari in materia di accesso e diritti.
Un piano di classificazione modello si configura, quindi, non solo perché si articola come uno schema uniforme di voci e sotto-voci identificative delle funzioni e delle attività dell’ente, debitamente attribuite per competenza e responsabilità primaria ai suoi uffici di riferimento affinché ne garantiscano eventuali aggiornamenti[1], ma anche perché – guardando oltre la finalità specifica dello strumento – favorisce, anzi consente la concreta e ben organizzata formazione dell’archivio e delle parti e aggregazioni documentali. Si definisce, insomma, come uno strumento in grado di pianificare le fasi future di lavorazione dei documenti, anche se – naturalmente – l’efficacia e l’efficienza di queste indicazioni devono poi essere oggetto di specifiche valutazioni e di attività di monitoraggio ed eventuale revisione destinate a sostenere l’intera gestione dell’archivio corrente e dell’archivio di deposito, dove quella struttura complessa dovrà trovare forme ulteriori di definizione e trattamento anche ai fini dello scarto e della conservazione permanente.
L’archivio digitale: quali sono le sue partizioni/aggregazioni documentali
È perciò essenziale definire i requisiti di specializzazione funzionale che contraddistinguono e differenziano quelle particolari partizioni dell’archivio che il legislatore ha denominato “aggregazioni documentali” e che svolgono anche, anzi ancor di più, nei contesti digitali un ruolo cruciale. In particolare, le strutture di cui si tratterà in questo contributo sono i fascicoli e le serie. Il termine comune, utilizzato nella prassi burocratica per indicare le attività connesse alla formazione di queste partizioni, è quello di fascicolare, anche se in realtà non si tratta solo di formare fascicoli, ma anche di definirne la loro eventuale ulteriore articolazione in sotto-fascicoli, di accorpare i fascicoli in serie di fascicoli e, in altri casi, di aggregare documenti omogenei per tipologia e forma nelle cosiddette serie documentali.
Si tratta di attività spesso lasciate alla buona volontà dei singoli dipendenti, sottovalutandone la portata e i benefici potenziali. Consiste nell’attribuire ogni documento a un raggruppamento organico in grado di tenere traccia in modo coerente e completo del processo di lavoro e decisionale. Le relazioni che si stabiliscono tra i documenti di una medesima aggregazione, soprattutto nel caso del fascicolo, assumono rilevanza sul piano giuridico e per fini di conservazione, proprio perché si tratta di legami che rispondono a precisi criteri funzionali e operativi che nascono nel corso dell’azione, documentando responsabilità definite e che, come tali, non possono essere modificati. La disciplina di settore li considera vincolanti perché destinati a garantire nel tempo la qualità della memoria documentaria e, in ambito pubblico, la trasparenza dell’azione amministrativa.
Fascicoli informatici e serie documentali: cosa sono e perché sono fondamentali
Nella tradizione archivistica, soprattutto in età contemporanea, il fascicoloè la partizione più diffusa, riconosciuta e definita come l’unità di base indivisibile di un sistema documentario, riferito all’insieme dei documenti che formano una determinata pratica. Formare fascicoli informatici non è diverso (dal punto di vista logico) dalla creazione di fascicoli analogici, come del resto testimonia la definizione stessa di fascicolo informatico nel glossario allegato alle Linee guida AgID: “un’aggregazione strutturata e univocamente identificata di atti, documenti o dati informatici, prodotti e funzionali all’esercizio di una specifica attività̀ o di uno specifico procedimento”.
Nella pubblica amministrazione, per molti anni, il fascicolo informatico è stato, tuttavia, identificato esclusivamente come il corrispettivo documentario di un procedimento amministrativo. Si è trattato del risultato parziale di una insufficiente comprensione e di un uso limitante del concetto che, trovando spazio nell’articolo 41 del CAD, ha finito per influenzare negativamente per quasi un decennio tutta la normativa e molte prassi dedicate alla trasformazione digitale, con l’unica eccezione del testo unico sul documento amministrativo del 2000, che invece tratta il fascicolo in modo non riduttivo.
La regolamentazione tecnica, in particolare le Linee guida AgID hanno finalmente restituito al termine la sua giusta collocazione e la sua multi-dimensione. Non solo. Le Linee guida hanno anche chiarito il rapporto stretto che lega il piano di classificazione con la formazione dei fascicoli e, in generale, di tutte le aggregazioni documentali, come è stato già sottolineato all’inizio di questo testo.
È, infatti, all’interno del piano di classificazione che è possibile, anzi necessario formare fascicoli o serie in grado di rispondere alle esigenze informative degli operatori documentandone le attività concrete: la griglia delle funzioni e delle attività che il titolario utilizza, riflettendo la natura dell’ente che lo ha adottato, fornisce solo la prima articolazione, ancora generale, entro cui si svolge l’azione amministrativa e all’interno della quale si identificheranno sia i fascicoli, sia le serie documentali, le serie cioè che accorpano singoli documenti per ragioni funzionali guidate dalla tipologia (contratti, determinazioni, deliberazioni, circolari, segnalazioni, ecc.). Un’ulteriore tipologia di aggregazione, che normalmente si costituisce nelle successive fasi di sedimentazione (nell’archivio di deposito e poi nell’archivio storico) è, infine, l’aggregazione costituita dall’insieme dei fascicoli accorpati per ragioni funzionali (denominata serie di fascicoli), per esempio in base alla classe di riferimento del titolario o a tipologie particolari di fascicoli (la serie dei fascicoli dei dipendenti, la serie dei fascicoli dei fornitori e così via).
Non solo i fascicoli, quindi, ma anche le serie tipologiche documentarie sono oggetto di classificazione e devono essere quindi entrambi progettati anche a fini gestionali negli attuali sistemi documentari, tenuto soprattutto conto delle criticità che li caratterizzano: un elevato grado di complessità organizzativa, grandi quantità di flussi e di documenti differenziati e canali di trasmissione e produzione documentaria sempre meno presidiati. Nella maggioranza dei casi ancora oggi si ignora che uno dei principi fondamentali per l’efficienza della gestione documentale implica che ogni documento (ricevuto, interno, spedito) sia sempre classificato einserito in una aggregazione archivistica(fascicolo o serie documentale).
Il Percorso formativo di FPA Digital School
Corso Gestione documentale
Il Percorso Gestione Documentale, proposto da FPA con il supporto di Mariella Guercio e Monica Martignon ha come obiettivo l'acquisizione di competenze specifiche in termini di conoscenza dei principi di base dei sistemi documentari digitali e degli strumenti necessari a sostenere la qualità della formazione e conservazione degli archivi pubblici
22 Novembre 2024
Il Piano di organizzazione delle aggregazioni documentali: principi generali e criticità
È merito delle Linee guida AgID aver riconosciuto l’importanza degli strumenti di formazione dell’archivio digitale e aver introdotto l’obbligo per il settore pubblico del piano di organizzazione delle aggregazioni documentali, finalizzatoa integrare da un lato il piano di classificazione e dall’altro il piano di conservazione, a guidare insomma la sedimentazione dei documenti, favorendo la definizione normalizzata di tipi di documenti, a gestire ambienti documentali ibridi, a sostenere con attività condivise anche le esigenze conservative, tra cui la selezione a fini di conservazione, di scarto e – perché no – di digitalizzazione. Grazie a questo strumento, che fornisce all’intera amministrazione principi uniformi di organizzazione dei documenti non imposti dall’alto, è possibile assicurare l’unitarietà del sistema senza perdere in flessibilità e garantire la ricostruzione successiva della struttura documentale, incoraggiando un agire amministrativo qualificato e documentato, coinvolgendo attivamente tutto il personale, fornendo insomma una base informativa normalizzata per sviluppare anche soluzioni di indicizzazione controllata che possano consapevolmente sfruttare e non ignorare le preziose informazioni di sedimentazione che si sono definite nell’esercizio delle attività dell’ente.
Non ci sono molti esempi avanzati sull’uso di questo strumento, trattandosi di un obbligo recente dettato dalla natura digitale degli archivi e dalla necessità di soluzioni in grado di contenere l’inevitabile frammentazione che deriva da processi sempre più accentuati di decentramento. Tra le prime iniziative di rilievo in questo ambito, si sono già ricordate le Linee guida per fascicoli e serie elaborate nel 2005 per i Comuni italiani dalla Direzione generale per gli archivi in collaborazione con l’associazione professionale degli archivisti e con l’ANCI. In altri casi ci si è limitati a integrare i piani di classificazione con indicazioni e istruzioni di dettaglio finalizzate a fornire per ogni voce di classificazione una guida concreta alla creazione dell’archivio digitale e dei fascicoli che dovrebbero costituirlo. Un gruppo di lavoro creato presso la Federazione nazionale degli Ordini dei medici ha, per esempio, inserito informazioni sui tipi di fascicoli e sulla loro struttura all’interno del titolario, mentre le Università italiane hanno regolamentato e normalizzato la formazione di tipologie di fascicoli di particolare rilevanza e complessità (in particolare i fascicoli del personale e dello studente) in relazione alle attività di selezione e scarto. Molto resta ancora da fare, quindi, anche nel disciplinare sul piano metodologico un’attività tecnicamente impegnativa, non più lasciata alle scelte discrezionali dei dipendenti e alle archiviazioni ‘personali’.
Tra i nodi che dovranno essere considerati con molta attenzione nella formulazione di questi piani, ricordiamo in primo luogo la necessità di rispettare alcuni principi generali, che peraltro sono anche cruciali per lo sviluppo dei titolari e sono finalizzati a garantire operatività e facilità d’uso. A titolo solo esemplificativo è opportuno ricordare che:
- mentre il piano di classificazione è comune a tutto l’ente, le regole e i criteri da seguire per la formazione dei fascicoli e dei sotto-fascicoli sono specifici per le singole strutture, sia pure all’interno di uno schema normalizzato che definisca le principali tipologie di aggregazione ed eventuali procedure anche automatiche per la loro gestione;
- è opportuno prevedere che i fascicoli relativi a procedimenti trasversali possano essere gestiti in modalità condivisa anche tra strutture e aree organizzative diverse(tenuto conto del fatto che si tratta ormai di fascicoli informatici);
- è comunque essenziale tener conto del diverso livello di dettaglionecessario alle strutture centrali e dedicate alla funzione considerata rispetto al grado di articolazione utile alle strutture periferiche dello stesso ente, la cui produzione documentaria è senza dubbio meno complessa e richiede un minor grado di sviluppo;
- non tutte le aggregazioni, o meglio non tutte le attività di cui le aggregazioni sono il sotto-prodotto archivistico richiedono interventi di normalizzazione stringenti, vuoi perché si tratta di settori che consentono una maggiore discrezionalità in ragione della loro specifica natura, vuoi perché regole troppo dettagliate finirebbero per pesare inutilmente sulle routine di lavoro in assenza di workflow automatizzati e automatizzabili.
Per rispettare i requisiti di efficienza e di interoperabilità necessari agli obiettivi ambiziosi di una trasformazione digitale sostenuta dalla gestione documentale, il nuovo strumento dovrà includere elementi informativi finora trascurati, ma senza dubbio fondamentali per favorire quella normalizzazione delle attività gestionali, tra cui:
- il collegamento tra fascicoli che, pur non appartenendo alla stessa serie, appaiono collegati e complementari;
- indicazioni operative per favorire la qualità, la coerenza, l’uniformità nella denominazione dei fascicoli e delle altre aggregazioni;
- la definizione, quando opportuno, dei contenuti standard dei fascicoli, della loro articolazione interna, dei tempi di chiusura;
- l’individuazione delle responsabilità e dei permessi di accesso nella gestione delle aggregazioni.
Le disposizioni normative sui fascicoli: incertezze da chiarire e raccomandazioni
Sebbene le indicazioni esplicite sul rapporto tra classificazione e formazione delle aggregazioni siano molto recenti e sia originariamente mancata nella normativa una visione organica che tenesse conto dell’archivio digitale e non solo del valore legale e probatorio dei documenti informatici, le disposizioni sulla gestione informatica dei documenti, adottate già nel 2000 con l’approvazione del dpr 445/2000 (e prima ancora con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della direttiva del presidente del Consiglio dei ministri del 28 ottobre 1999“Gestione informatica dei flussi documentali nelle pubbliche amministrazioni”), presentavano già alcune disposizioni sulla classificazione e sulla formazione dei fascicoli in considerazione della loro rilevanza giuridica. Il citato articolo 41 del CAD dedicato al fascicolo informatico procedimentale è, del resto, la conseguenza parziale di quell’impianto che le Linee guida AgID hanno opportunamente approfondito introducendo l’obbligo di un piano di organizzazione delle aggregazioni strettamente correlato al titolario.
L’aspetto più innovativo della regolamentazione recente riguarda, a questo proposito, anche la decisione di precisare il set dei metadati che descrivono il fascicolo (identificativo che individua il fascicolo in modo univoco all’interno dell’AOO, indicazioni dell’unità organizzativa titolare dell’attività o del procedimento e delle altre unità organizzative che partecipano, individuazione del responsabile dell’attività o del procedimento, oggetto del fascicolo che fornisce le indicazioni relative all’attività o al procedimento, elenco dei documento aggregati, data di apertura e data di chiusura).
Anche per le serie (di fascicoli o di documenti) le Linee guida (in particolare l’allegato 5) stabiliscono le informazioni descrittive obbligatorie (pur non precisando quando e chi siano tenuti a individuarle, gestirle e mantenerle), includendo l’identificativo che individua ogni serie in modo univoco all’interno dell’AOO, l’indicazione della/e unità organizzativa/e titolare/i delle attività, la denominazione che descrive il tipo di attività e le modalità di formazione della serie, l’elenco dei documenti o dei fascicoli aggregati (identificativi della registrazione), la data di apertura (cioè di inizio della serie) e la data di chiusura.
I responsabili della gestione documentale sanno fin troppo bene quanto sia in realtà impegnativo trasformare il dettato normativo in strumenti operativi. Non a caso sin dal 2000 si sono previste figure professionali e ruoli specifici e dedicati, competenti in campo archivistico, informatico e giuridico. Sono molte le criticità da considerare in questo ambito e molti gli ostacoli da superare nella redazione di un piano di organizzazione dei fascicoli, in assenza di direttive più stringenti e di buone pratiche. È bene, tuttavia, non perdere di vista soprattutto la duplice finalità che ne costituisce la ragion d’essere: uno strumento finalizzato da un lato a promuovere la stabilità nella formazione dell’archivio e a mantenere la persistenza delle relazioni originarie tra documenti e attività, dall’altro ad assicurare la flessibilità del sistema contemperando le caratteristiche proprie dell’ente produttore e della sua organizzazione e le esigenze di normalizzazione che la dimensione digitale non può ignorare.
[1] Si veda a questo proposito uno dei primi progetti sviluppato per i Comuni italiani nella forma di una vera e propria suite di documenti e strumenti, che includono anche le indicazioni per la formazione delle partizioni dell’archivio: Piano di classificazione per gli archivi dei Comuni italiani, 2005. I documenti che completano il piano di classificazione sono disponibili sul sito della Direzione generale per gli archivi, dove sono, peraltro, reperibili i risultati di altri progetti sviluppati in questo ambito per diverse tipologie di enti (tra gli altri le regioni, le camere di commercio, le aziende sanitarie, le università, gli enti provinciali).