Linee guida per lo smart working nella PA: un ponte verso l’incertezza e la complessità
Sono state pubblicate le “Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche”, che ora saranno inviate alla Conferenza Unificata. Rilanciamo in questa occasione il confronto sul tema dello smart working nella PA con un articolo a firma di Gianluigi Cogo, esperto di processi di innovazione. Il dibattito è aperto: ospiteremo volentieri ulteriori contributi e differenti posizioni sul tema
2 Dicembre 2021
Gianluigi Cogo
Esperto di processi di innovazione
Dopo la pubblicazione dello schema di Linee guida per lo smart working nella PA, rilanciamo il confronto con un articolo a firma di Gianluigi Cogo, esperto di processi di innovazione. Il dibattito sullo smart working è aperto: ospiteremo volentieri ulteriori contributi e differenti posizioni sul tema
Circa un anno fa commentavo le Linee Guida al POLA con un certo entusiasmo e con la convinzione, purtroppo disattesa, che difficilmente si sarebbe tornati alla normalità del passato dopo aver compreso la grande sfida e la grande occasione che avevamo davanti. Quelle Linee Guida, decisamente lungimiranti e orientate ad accompagnare la PA nel percorso di trasformazione organizzativa e digitale, erano tutte sbilanciate sulla performance organizzativa del team e sulla capacità dei leader (manager pubblici) di accettare e guidare il lavoro per obiettivi come unica modalità in grado di garantire l’efficienza interna degli Enti e l’efficacia dei servizi offerti ai cittadini.
Il POLA (Piano organizzativo del lavoro agile) era uno strumento legato a doppio filo al Piano delle Performance e dunque era chiaro che questo strumento mirava a stravolgere i sistemi di misurazione proponendo persino dei nuovi indicatori che avevano l’ambizione di valutare l’impatto del lavoro agile sulla società in ordine al bilanciamento vita/lavoro, nonché alla sostenibilità ambientale, psicofisica e a un rinnovato benessere organizzativo di tutto il comparto pubblico.
Dopo più di un anno invece, quello che immaginavamo come percorso obbligato verso il lavoro ibrido che oggi rappresenta la nuova normalità nella maggior parte delle organizzazioni private, ha subito una brusca frenata con il richiamo in presenza dei lavoratori pubblici come effetto di una serie di decreti che, per le ragioni più diverse (gestione PNRR, rilancio del commercio, passaggio dal POLA al PIAO, ecc.) hanno definitivamente sancito che l’esperienza del lavoro agile emergenziale è finita con un bel ‘grazie a tutti per l’impegno’ ma con la prospettiva certa che, nell’immediato futuro, ci troveremo avviluppati nelle solite liturgie basate sulla discussione e definizione di criteri, condizionalità, negoziazione dei minimi dettagli, e altre inutili pantomime che, purtroppo, sacrificheranno la semplificazione e l’innovazione in favore del protagonismo di soggetti che poco hanno imparato dall’esperienza.
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15 Novembre 2021
Ciò che ho più amato dello smart working (quello vero, pre-emergenziale) era la libertà! La libertà di stipulare contratti individuali senza dover tenere conto di contrattazioni collettive o decentrate. La libertà di non dover sottostare a condizionalità. La libertà di non dover dimostrare l’appartenenza a classi criteriali che garantiscono precedenza e/o discriminazione. La bellezza della Legge 81/2017 era proprio questo.
Essa permetteva a due soggetti (il manager e il collaboratore) di stipulare un patto di fiducia fra persone per bene, basato su pochi principi: la definizione di obiettivi certi, la centralità del life-balance, l’autonomia organizzativa e le capacità (competenze) digitali.
Semplice, bello e pulito. Forse troppo. Ed è per questo che le attuali Linee Guida per lo smart working nella PA presentate dal Ministro Renato Brunetta come un ‘ponte rispetto ai contratti’ non mi entusiasmano. E non mi entusiasmano non solo per la loro complessità e difficoltà attuativa ma, e soprattutto, perché tolgono spazio all’autonomia dei leader e riconsegnano ai capi uno strumento discriminatorio.
Certo, le Amministrazioni più virtuose e ben organizzate non stenteranno a ritrovare l’autonomia citata dal Ministro: ‘uno strumento intelligente e flessibile, affidato, da un lato, all’intelligenza della contrattazione e, dall’altro lato, all’autonomia delle singole amministrazioni’. Ma tutte le altre? Ovviamente si atterranno alle condizionalità e dunque, laddove non soddisfatte, abbandoneranno ogni lungimiranza non assumendosi rischi, as usual.
Si badi bene. Alcuni elementi fondanti delle attuali Linee Guida per lo smart working nella PA sono condivisibili e posti alla giusta attenzione (vedasi ad esempio il diritto alla disconnessione o la tutela dei dati personali), ma probabilmente non era necessario normarli, bastava elevare la cultura dei manager e dei collaboratori con apposite iniezioni di formazione specifica cosicché, a quel punto, la prospettiva del lavoro ibrido sarebbe stata un punto di arrivo necessario e ineludibile.
Alcune condizionalità mi sembrano propedeutiche a creare delle élite. Spero di sbagliarmi, ma vedo un futuro a velocità variabili, dove le eccellenze continueranno a migliorare e gli altri resteranno al palo.
Ora i percorsi formativi sono previsti, è vero, ma si basano principalmente sugli strumenti e poco sui metodi. Parlare di ‘piattaforme di comunicazione’ può aver senso, ma oggi si tende (almeno nel privato) a non distinguere più fra strumenti e servizi personali (BYOD) e aziendali (MANAGED IT). Infatti, tutto ciò che la Social Collaboraton ci ha insegnato e che purtroppo nella PA non abbiamo appreso, è già a portata di mano. Ovvero, se possiedi la consapevolezza, la destrezza, l’etica e la conoscenza dei rischi, puoi usare quello che vuoi per portare a termine le tue progettualità o i tuoi processi (anche quelli più tradizionali). Fondamentalmente: libertà di scegliere e di agire nelle forme più idonee per raggiungere i risultati.
Lo so che do per scontato ciò che non è. Ovvero che tutti i dipendenti della PA sappiano proteggere il proprio apparato, accedere a un VPN in sicurezza e non condividere con il resto del pianeta dati riservati. Ma può essere questa una discriminante?
Detto ciò, nelle nuove Linee Guida si fa riferimento, giustamente, anche a percorsi formativi più sfidanti: ‘diffondere moduli organizzativi che rafforzino il lavoro in autonomia, l’empowerment, la delega decisionale, la collaborazione e la condivisione delle informazioni’. E qui va tutto il mio plauso, perché considero questa attività propedeutica e strategica, al punto che se davvero soddisfatta, annullerebbe il ricorso a tutte le altre condizionalità, compresa la più difficile da attuare che, secondo me, è quella relativa alla verifica dell’idoneità del luogo eletto a postazione remota che, inevitabilmente, porterà molti Enti a tirare il freno a mano.
Manca poi all’appello l’ultimo tassello di questo disegno complessivo di regolazione dell’istituto, ovvero le Linee Guida sulla compilazione del PIAO che, di fatto, assorbirà il POLA e diventerà lo strumento/adempimento dentro la cui cornice il lavoro agile, a regime, troverà la regolazione in attesa dei nuovi contratti nazionali di comparto.