Il divario di genere nelle Tecnologie ICT: cause e stereotipi su cui intervenire
I motivi che scoraggiano le ragazze dall’intraprendere un percorso di studi in ICT sono molti, alcuni specifici della disciplina, altri invece sono legati a condizionamenti e attitudini acquisite che ostacolano in generale la progressione professionale delle donne. Cosa possiamo fare, fin da subito, per ridurre questo divario di genere? Scuola, genitori, università, imprese dovrebbero lavorare principalmente su tre aspetti: comunicazione, competizione, potenziamento
7 Gennaio 2022
Paola Velardi
Professoressa Ordinaria, Dipartimento di Informatica, Università degli Studi di Roma La Sapienza
Il divario di genere (cioè la scarsa presenza, in un gruppo disciplinare o professionale, di una componente, solitamente quella femminile) è un problema pervasivo, progressivamente più evidente se si considera la distribuzione percentuale di donne e uomini nei percorsi di studi, nella scelta di una carriera professionale, e soprattutto nella progressione della carriera fino ai livelli apicali. Concentrandoci sulla scelta di un percorso di studi, va innanzitutto osservato che le ragazze, pur prediligendo studi umanistici, sono anche molto presenti – a volte addirittura maggioritarie – nei percorsi scientifici, in particolare scienze, medicina, matematica, ed alcune ingegnerie, come gestionale, ambientale, sanitaria. In ambito ICT invece, ad esempio in Italia, la percentuale di ragazze raggiunge mediamente appena il 15%. Dati simili si riscontrano in tutto il mondo, con l’apparentemente curiosa eccezione di alcuni paesi non certo famosi per le politiche di genere, come India, Corea, e altri paesi in via di sviluppo.
I motivi che scoraggiano le ragazze dall’intraprendere un percorso di studi in ICT sono molti, alcuni specifici della disciplina, altri invece sono legati a condizionamenti ed attitudini acquisite che ostacolano in generale la progressione professionale delle donne.
Partendo dalle ragioni specifiche, cominciamo con l’indagare sulle motivazioni che spingono le ragazze a scegliere un percorso di studi. In una ricerca recentemente pubblicata [1] è stato chiesto a ragazzi e ragazze di marcare le parole che meglio descrivevano le motivazioni della scelta di un percorso di studi e/o una carriera professionale. Alcune parole tipicamente maschili sono risultate essere: salario, stabilità, rischio, autonomia, libertà di azione. Parole tipicamente femminili sono risultate invece: interazione sociale, avere a che fare con persone (dealing with people), profondità. Questa ricerca è anche confermata da un altro studio, condotto dalla UCLA University, nel quale è stato chiesto agli studenti dei corsi di Informatica di motivare la loro scelta. Le due motivazioni che segnano il maggior divario fra ragazze e ragazzi sono state: “Ho interesse nei videogiochi” (scelto per la stragrande maggioranza da ragazzi) e “Sono interessato ad aiutare le persone o la società” (scelto per la stragrande maggioranza dalle ragazze).
Se mettiamo assieme i risultati di questi studi con il dato, precedentemente menzionato, della maggiore propensione delle ragazze indiane, coreane, africane, ad iscriversi ai corsi di laurea in ICT, possiamo concludere quanto segue: le donne scelgono un percorso di studi non perché attratte dalla facilità di carriera, o dalla passione – che non coltivano particolarmente – per i videogiochi, ma perché attratte dall’impatto di una disciplina sulla vita reale. Nei paesi in via di sviluppo, l’impatto innovativo delle discipline ICT è ancora molto evidente, mentre non lo è più per i “nativi digitali” dei paesi più industrializzati. Siamo circondati da applicazioni informatiche: internet, cellulari, social media, applicazioni di ogni genere, hanno cambiato il mondo, ma proprio come nel romanzo di Allan Poe “La lettera smarrita”, quando qualcosa sta sotto il nostro naso ogni giorno, non la vediamo più. Al contrario, le ragazze sono molto influenzate da uno stereotipo legato all’informatica, e molto utilizzato dai media, quello del “nerd”, un giovane sociopatico e bruttino che passa il suo tempo a pestare tasti in un sottoscala. Questo stereotipo è molto radicato fin dalla più tenera età, come mostra uno studio condotto su studenti di ogni ordine e grado sulla percezione dell’informatica [2], ed influenza le ragazze molto più dei ragazzi.
Possiamo dunque affermare che la principale ragione specifica che ostacola la scelta di percorsi di studio in informatica da parte delle ragazze è una errata (o mancata) comunicazione, da parte dei docenti, dei familiari e dei media, della valenza sociale ed innovativa della disciplina. Questo problema è aggravato dal fatto che le ragazze non vengono a contatto con questa disciplina durante il percorso scolastico, mentre per i ragazzi i videogiochi sono un forte attrattore (oltre al precedentemente citato spirito pratico che determina le scelte dei ragazzi: l’informatica offre opportunità di carriera, stabilità, guadagno). I moltissimi progetti varati in Italia e all’estero per attrarre più ragazze delle scuole superiori in ICT si scontrano dunque con un pregiudizio molto radicato, e fra le adolescenti oramai il danno è fatto: le ragazze hanno già scelto, o comunque più difficilmente sono disposte a cambiare opinione. Non è un caso che le cose siano differenti, ad esempio, per i corsi di laurea (a Milano e Roma) in Intelligenza Artificiale (AI). AI è una branca dell’informatica, ma la comunicazione della sua innovatività è stata molto forte in questi anni: e benché i due corsi di laurea siano stati aperti recentissimamente, è già evidente come le ragazze ne siano attratte: le percentuali si aggirano sul 40%.
È però importante ragionare sulle cause non specifiche del divario di genere in ICT, perché anche considerando i percorsi di studi nei quali le donne sono in numero pari o maggioritarie, permane il problema delle loro carriere: alcune donne scelgono di non lavorare, e se lo fanno vengono pagate di meno, o fanno meno carriera, ed il loro numero nelle posizioni apicali è bassissimo. Molti manager hanno un profilo tecnico, ma dobbiamo tenere conto che più donne con un profilo tecnico non vuol dire più donne manager, se non si interviene anche sugli altri fattori (o stereotipi) che contribuiscono a formare il così detto “soffitto di cristallo”.
Ne cito tre: il primo è collegato con quanto abbiamo detto in precedenza, la preferenza passionale delle ragazze per studi e professioni di cui si percepisce la valenza sociale: lo stereotipo della crocerossina. La valenza sociale è molto importante – e dovrebbe esserlo anche per i ragazzi – ma si dovrebbe instillare nelle ragazze maggiore interesse per altri fattori quali carriera, stabilità, guadagno, associati culturalmente al genere maschile, come se non potesse essere una aspirazione femminile guadagnare, fare carriera, crearsi una propria solidità economica.
Il secondo stereotipo ha a che vedere con la competizione ed il rischio: la guerra è roba per maschi. Le donne hanno in media performance migliori degli uomini negli studi, ed anche maggiori competenze, perché si preparano di più. Ma nelle competizioni (dalle competizioni scolastiche, come le olimpiadi di matematica e informatica, agli hackaton e alle gare di qualunque genere) i dati ci dicono che le ragazze, oltre a partecipare poco (anche alle gare di matematica dove le percentuali di studenti e studentesse è quasi uguale), sono meno “veloci”, sono soggette ad ansia, e meno propense al rischio. Il problema è che ragazzi si allenano a competere fin da piccoli con i videogiochi, con il calcio ed altri sport e giochi di gruppo, ed in generale sono anche incoraggiati a farlo, mentre per le ragazze è il contrario.
Il terzo stereotipo riguarda la sottovalutazione delle proprie competenze, o la sopravvalutazione di quelle degli altri: “ma sarò capace?” Ricordiamo uno dei termini che caratterizza la scelta di un percorso di studi nelle ragazze [1]: “thorough” (accurato, profondo, minuzioso). Le donne sono accurate, o pensano di doverlo essere, negli studi come nella vita. È una qualità importante, ma a volte impedisce di buttarsi nella mischia, di rischiare, anche se non ci si sente del tutto pronti. Anche sullo stereotipo “ma sarò capace?” agiscono fin dai primi anni di vita i condizionamenti sociali, e forse questo è lo stereotipo più complicato da abbattere.
Ma in sostanza: cosa possiamo fare, fin da subito? Io sceglierei tre parole: comunicazione, competizione, potenziamento. Attorno a queste parole, scuola, genitori, università, imprese, ma soprattutto la politica possono e devono lavorare, e l’importante è intervenire il prima possibile, dalle bambine.
Come università, oltre ad aderire ai numerosi progetti volti ad appassionare più ragazze agli studi in informatica (Coding Girls, NERD? , Ragazze Digitali e molti altri) ed a concepirne di nuovi, dovremmo puntare non solo sull’appassionare alla materia, ma anche ad intervenire sugli altri stereotipi: e quindi spingere le ragazze a gareggiare, a presentare in pubblico le proprie idee, anche in contesti di sole ragazze, per aiutarle a vincere la paura della competizione; ed utilizzare mentor e role models femminili per acquistare maggiore sicurezza di se ed autoconsapevolezza. Inoltre, dovrebbero essere ideati programmi specifici per sostenere anche le ragazze che hanno già, nonostante tutto, scelto un percorso di studi in informatica, per rinforzarle nella loro scelta, e prepararle ad una futura (e luminosa!) carriera. Perché le ragazze, con la loro profondità, passione, ed attitudine al problem solving, devono contribuire molto di più alla rivoluzione del digitale, ed attraverso essa, al progresso in tutti gli ambiti in cui l’informatica può molto aiutare, ed in particolare salute, ambiente, benessere sociale.