Che ruolo può avere l’automazione dei processi per consentire l’attuazione della trasformazione digitale della PA a supporto delle azioni individuate dal PNRR? Quali azioni per favorire questo percorso? La presentazione dell’indagine FPA “Automazione dei processi e sviluppo applicativo: opportunità e prospettive per la PA”, realizzata in esclusiva per Appian, è stata l’occasione per mettere a confronto il punto di vista di alcuni protagonisti della PA
14 Marzo 2022
Redazione FPA
La presentazione dell’indagine FPA “Automazione dei processi e sviluppo applicativo: opportunità e prospettive per la PA”, realizzata in esclusiva per Appian è stata l’occasione per mettere a confronto il punto di vista di alcuni protagonisti della PA. È vero che l’automazione dei processi e uno sviluppo applicativo avanzato basato, ad esempio, su low code, possono favorire la velocità e la capacità di risposta alle esigenze degli utenti e ai cambiamenti dell’ambiente esterno? Che ruolo può avere l’automazione dei processi per consentire l’attuazione della trasformazione digitale della PA a supporto delle azioni individuate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)? Quali azioni per favorire questo percorso?
Queste sono alcune delle domande a fronte dei risultati dell’indagine, condotta su 80 amministrazioni, 40 centrali (Pac) e 40 locali (Pal), sinteticamente riassunti da Andrea Baldassarre, responsabile area content FPA, che ha coordinato il gruppo di ricerca.
Strategie di automazione nella PA: priorità, soluzioni, benefici
L’automazione dei processi viene considerata estremamente o molto prioritaria da 63 amministrazioni su 80, con una prevalenza della Pac. Tuttavia, questa visione non si traduce nella realtà: le metodologie avanzate nei processi di automazione sono infatti tuttora scarsamente utilizzate. Eppure, le organizzazioni sono consapevoli dei benefici, soprattutto in termini di miglioramento dei tempi, riduzione dei costi e miglioramento della customer experience, mentre meno attenzione è dedicata al miglioramento dell’organizzazione e della soddisfazione dei dipendenti.
“Viene riconosciuto il valore dell’automazione dei processi che tuttavia è scarsamente adottata. Nei pochi casi in cui lo è, non genera reale soddisfazione”, sintetizza Baldassarre, chiamando gli ospiti in studio a spiegare questa discrasia.
Una prima spiegazione, portata da Laura Castellani, direttore organizzazione e digital transformation di Agenzia dogane e monopoli, è la difficoltà, tuttora presente nella PA, a realizzare una “digitalizzazione vera” dei processi, che si limita ad interventi parziali, rendendo difficoltosa l’applicazione di tecnologie innovative. “I freni principali derivano sia dalla resistenza interna al cambiamento sia da problemi normativi”, sottolinea.
Stefano Tomasini, direttore centrale organizzazione digitale Inail, indica invece il disallineamento fra le strutture IT che spingono per l’automazione e la standardizzazione dei processi e le strutture amministrative. “Per automatizzare i processi è indispensabile spostare il punto di vista da un approccio prevalentemente tecnologico a uno organizzativo con una visione olistica, indispensabile per una vista unica dell’utente in termini di customer experience”, suggerisce. Per farlo è indispensabile scardinare i confini fra le diverse amministrazioni.
“Ogni volta che entriamo in contatto con le circa 200 amministrazioni che lavorano con Istat ci rendiamo conto di avere a che fare con silos a sé stanti”, esemplifica Massimo Fedeli, direttore centrale per le tecnologie informatiche di Istat, focalizzandosi sull’incomunicabilità dei dati, come già sostento anche da Castellani, e confermando al tempo stesso la necessità di superare il gap fra i processi operativi e quelli di business.
“Dall’esperienza con i clienti ci rendiamo conto che un processo di trasformazione ha tanto più successo quanto più adotta un processo ibrido, dove organizzazione e IT lavorano in collaborazione”, sintetizza infine Silvia Speranza, regional vice president Italia Centro-Sud di Appian.
Rapporto tra sviluppo applicativo e automazione
L’approccio scelto per lo sviluppo applicativo è strettamente correlato alle scelte per l’automazione dei processi. L’indagine FPA evidenzia una gamma di posizioni che va da un livello minimale che prevede adattamenti di processi e applicazioni esistenti, fino ad uno più evoluto che vede prima il ripensamento dei processi in ottica digitale per poi automatizzati con le nuove applicazioni. Meno di un quarto dei rispondenti si colloca però a quest’ultimo livello di maturità mentre le altre categorie di distribuiscono più o meno equamente con qualche differenza fra Pac e Pal.
Lo sviluppo applicativo viene demandato prevalentemente ai partner tecnologici con grande prevalenza nelle PAL, come conseguenze delle dimensioni ridotte e della minore capacità di sviluppo interno.
Le amministrazioni dichiarano di incontrare, come principali ostacoli nello sviluppo di nuove applicazioni, insufficienti risorse umane e finanziarie. Ritengono, coerentemente, che la situazione possa migliorare soprattutto con lo sviluppo competenze specialistiche, una migliore collaborazione fra IT e business, un budget maggiore. Come riferisce Baldassarre, dalle interviste qualitative è emerso che le competenze richieste sono soprattutto quelle necessarie a garantire la comunicazione It e business (informatica giuridica, data governance e, più in generale, un insieme di skill ibridi).
Il tema delle competenze è senza dubbio centrale ma non è tanto di natura tecnologica quanto di tipo ibrido. è questo un pensiero condiviso da tutti i relatori, ciascuno dei quali lo focalizza su diversi aspetti anche sulla base delle modalità con cui lo sviluppo applicativo è distribuito tra struttura IT interna e partner tecnologici. Istat ha fatto and esempio una scelta molto internalizzata, Dogane si affida in pratica a un unico fornitore, mentre Inail ha scelto una pluralità di fornitori esterni. “Una scelta complicata ma ha il vantaggio di mettere in moto la competizione e la collaborazione fra fornitori e consente di fruire delle competenze migliori sul mercato”, sostiene Tomasini. In termini di competenze interne servono, di conseguenza, business relationiship manager, con la capacità di gestire i vendor anche grazie a strumenti di valutazione, “non solo gestori di contratti ma gestori di progetti”, precisa Toamasini. Mentre Castellani denuncia una scarsa proattività dei fornitori che dovrebbero invece “non limitarsi ad eseguire quanto il cliente chiede ma assumere una logica di partnership propositiva”. Per Fedeli infine: “Servono competenze di processo e di governance per ripensare i processi e mettersi a fianco dei colleghi delle diverse aree organizzative”.
Piattaforme low code: conoscenza e diffusione nel settore pubblico
Le piattaforme di sviluppo giocano un ruolo fondamentale per favorire l’adozione di modalità innovative e facilitare la digitalizzazione dei processi. Il low code, grazie alla modalità grafica, abilita ad esempio uno sviluppo rapido con un investimento minimo in set up e training, come spiega Costantino Croce direttore solutions consulting Sud Europa di Appian che sottolinea: “Si riesce a trasformare un’idea o un requisito in un’applicazione funzionante in pochissimo tempo attraverso un approccio standardizzato, con il vantaggio della semplicità di manutenzione e della facilità nel cambiamento rispetto ai requisiti”.
L’indagine FPA evidenzia però che ben 38 PA su 80 non hanno mai sentito parlare di low code mentre appena 29 dichiarano di conoscerlo, ma solo 9 di queste lo utilizzano. Fra le amministrazioni che lo conoscono, solo 3 lo impiegano per applicazioni mission critical.
In questo campo lo sforzo prioritario è dunque la diffusione della conoscenza di uno strumento rivelatosi prezioso, ad esempio, presso Inail che l’ha sperimentato. “L’uso del low code assume valore nei processi mission critical dove i tempi di risposta e la misura svolgono un ruolo essenziale per il business”, sottolinea Tomasini.