Anno 2013: è tempo di Parlamento per l’Italia dei beni comuni?
“Dei beni comuni non se ne occupa nessuno se non i cittadini. E nel farlo si dimostrano culturalmente e politicamente più avanti della classe dirigente, avendo capito che dalla cura dei beni comuni dipende la qualità delle loro vite". Ma la tesi di Gregorio Arena, professore di Diritto amministrativo all’Università di Trento e presidente Labsus, è che questo non basta. "In una società complessa come quella italiana – spiega – non si può pensare che la cura dei beni comuni sia portata avanti solo a livello micro, nei quartieri della città da migliaia di persone di buona volontà: ci vuole una organizzazione” Si, ma che tipo di organizzazione? Partiamo da un nuovo progetto di Labsus – Laboratorio per la Sussidiarietà per aprire la riflessione sul tema.
22 Gennaio 2013
Chiara Buongiovanni
“Dei beni comuni non se ne occupa nessuno se non i cittadini. E nel farlo si dimostrano culturalmente e politicamente più avanti della classe dirigente, avendo capito che dalla cura dei beni comuni dipende la qualità delle loro vite". Ma la tesi di Gregorio Arena, professore di Diritto amministrativo all’Università di Trento e presidente Labsus, è che questo non basta. "In una società complessa come quella italiana – spiega – non si può pensare che la cura dei beni comuni sia portata avanti solo a livello micro, nei quartieri della città da migliaia di persone di buona volontà: ci vuole una organizzazione” Si, ma che tipo di organizzazione? Partiamo da un nuovo progetto di Labsus – Laboratorio per la Sussidiarietà per aprire la riflessione sul tema.
Il progetto di Labsus, per iniziare
Per aprire il nuovo anno, Labsus ha presentato un nuovo progetto: l’Italia dei Beni Comuni. Si tratta di nuovo modo di guardare e raccontare l’Italia per disegnarne una diversa geografia: una mappa interattiva di un’Italia non convenzionale che raccoglie le buone pratiche di sussidiarietà orizzontale e partecipazione civica nelle città italiane. Cliccando infatti sulle città dello stivale si scoprono sorprese interessanti. Ad esempio, si scopre che Palermo è la città dove “si adottano strade”. Armati di scope e palette, alcuni palermitani animano il “Collettivo per il bene comune”: sgomberano rifiuti, ridipingono muri e saracinesche, migliorano l’illuminazione delle strade fino ad autotassarsi per comprare piante e fiori per i marciapiedi. Si scopre che a Paestum, rispondendo ad una iniziativa di Legambiente, i cittadini investono nell’azionariato ambientale e popolare per acquistare, gradualmente, i terreni privati all’interno dell’area archeologica (già patrimonio dell’umanità per l’Unesco) e restituirli alla collettività. Salendo su per lo stivale si incontrano gli esperimenti di community gardening della città di Parma, con il Giardino dell’Agronomo: spazio verde che prende il nome dell’associazione di cittadini che ha sostenuto la realizzazione del progetto e che lo gestisce sulla base di una convenzione con il Comune. Circa 2.500 metri quadrati, suddivisi in tanti pezzetti di terra di un metro per un metro, affidati ai cittadini che ne fanno richiesta. E ancora un po’ più su, a Bolzano, si scopre che una ventina di immigrati, richiedenti asilo politico, lavorano come volontari per mantenere pulito il quartiere Piani, collaborando con l’associazione Volontarius. Questa è un’Italia reale, che esiste e cresce ma che non sempre si vede. “Noi vogliamo farla vedere e farla crescere”, spiegano i redattori volontari di Labsus. “Per questo – continuano – la ospitiamo sul nuovo sito di Labsus, dove vi invitiamo a raccontarci, mappandole, le storie che vivete e che vedete in giro per l’Italia dei beni comuni”.
L’Italia dei beni comuni ha bisogno della politica?
Con le elezioni politiche alle porte, abbiamo fatto questa domanda a Gregorio Arena che già nel 2008 aveva presentato l’idea di un Piano di manutenzione civica per i beni comuni.
“La cura dei beni comuni in Italia è un tema a cui lavoro da anni e in questo contesto il primo auspicio per l’anno appena iniziato è che nel prossimo Parlamento ci siano parlamentari sensibili a questi temi”.
Ma perché i beni comuni hanno bisogno della politica? “Diciamo che se vogliamo che il 2013 sia l’anno italiano dei beni comuni dobbiamo lavorarci, non è che succede per caso. Una delle cose su cui lavorare è proprio fare in modo che ci sia una maggiore sensibilità della politica al tema dei beni comuni e della loro cura. Da questo punto di vista non depone bene il fatto che nei programmi elettorali dei partiti politici questo non è un tema centrale della campagna in corso. E’ difficile che possa diventare un tema dell’anno se la politica non lo mette al centro dell’agenda insieme ad altri temi ugualmente importanti”.
Dunque, allo stato attuale l’Italia dei beni comuni è costituita dei cittadini che si occupano dei beni comuni. “Dietro ognuno dei casi mappati su labsus.org – sottolinea Arena – ci sono delle persone in carne ed ossa. E il punto è proprio questo: siccome da questa mappa si capisce che i cittadini attivi per la cura dei beni comuni sono tanti ma non collegati tra loro, emerge la necessità di una cabina di regia a livello di governo, per coordinare e promuovere la cura dei beni comuni da parte dei cittadini”.
…ci vorrà mica un Ufficio per i Beni Comuni?
Se il primo punto è mettere i beni comuni nell’agenda della politica nazionale, per il presidente di Labsus il secondo passaggio deve essere sul piano organizzativo. “Si può pensare – spiega – di istituire un Ufficio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che sia il punto di coordinamento e di raccordo di tutto ciò che succede nell’Italia che ha cura dei beni comuni e che offra, al tempo stesso, supporto tecnico – normativo e promozionale”. In questo tempo di forte riscoperta della dimensione locale della cittadinanza, potrebbe aprirsi un dubbio sull’opportunità di portare queste funzionalità a livello dell’amministrazione centrale. Su questo punto, Arena ricorda come quando negli anni ’70 si decise di creare il Ministero per l’Ambiente, nei fatti l’ambiente diventò un tema. E lo stesso successe con i beni culturali. Voglio dire che finché un interesse pubblico non è incardinato in un ufficio, di fatto è come se non esistesse, perché non c’è nessuno che se ne occupa e che si sente responsabile di quell’interesse. Oggi per i beni comuni non lavora nessuno, solo i cittadini. Manca completamente una struttura pubblica che si occupi dei beni comuni in maniera coordinata. Allo stesso tempo, ci potrebbero essere a livello regionale degli Uffici per i beni comuni che sono nella regione …ma in questo caso comincerei dal centro”.
A chi “affidare” i beni comuni?
“Potrebbe nascere un movimento per i beni comuni – riflette il professore – come negli anni 70 è nato il movimento per l’ambiente, i Verdi. Se osserviamo i fatti vediamo che ormai i temi ambientali sono temi che tutti i partiti considerano importanti e quindi non ha molto senso che ci sia un partito per l’ambiente. I beni comuni vivono un po’ la situazione opposta: non se ne occupa nessuno se non i cittadini. Rispetto al tema dell’ambiente negli anni ’70 la grande novità è che oggi ci sono cittadini che sono culturalmente, politicamente più avanti della classe dirigente e hanno capito che dalla cura dei beni comuni dipende la qualità delle loro vite, ma non basta. In una società complessa come quella italiana non si può pensare che la cura dei beni comuni sia fatta solo a livello micro, nei quartieri della città da migliaia di persone di buona volontà: ci vuole una organizzazione”. Dunque ci vuole una organizzazione a livello “macro”, ma sul tipo di organizzazione Arena è categorico: “non sarà una organizzazione che spende i soldi pubblici per fare quello che già fanno i cittadini, ma una organizzazione che aiuti i cittadini a fare meglio quello che già fanno". E, ça va sans dire, con gli sviluppi del web 2.0 si aprono scenari solo qualche anno fa impensabili.