Accesso alle informazioni pubbliche: la normativa italiana è soddisfacente e al passo col resto del mondo?
Il contributo che vi proponiamo si inserisce nel vivace dibattito, in materia di Accesso Civico (art.5 del Decreto 33/2013), aperto in occasione del webinar "Trasparenza, diritto di accesso e Open Data, facciamo chiarezza" [qui gli atti] , recentemente organizzato da FORUM PA. Il Decreto prevede il diritto dei cittadini ad accedere solo ed unicamente a quei documenti che la PA è obbligata a pubblicare. Un ambito di applicazione del diritto sostanzialmente limitato alle inadempienze della PA. Quindi ci chiediamo: il FOIA – Freedom of Information Act è la soluzione per non ridurre la trasparenza a quanto previsto dalla norma? E’, così come è oggi inteso, l’azione corretta per realizzare il pieno accesso civico?
26 Gennaio 2015
Andrea Fama*
Il contributo che vi proponiamo si inserisce nel vivace dibattito, in materia di Accesso Civico (art.5 del Decreto 33/2013), aperto in occasione del webinar "Trasparenza, diritto di accesso e Open Data, facciamo chiarezza" [qui gli atti] , recentemente organizzato da FORUM PA. Il Decreto prevede il diritto dei cittadini ad accedere solo ed unicamente a quei documenti che la PA è obbligata a pubblicare. Un ambito di applicazione del diritto sostanzialmente limitato alle inadempienze della PA. Quindi ci chiediamo: il FOIA – Freedom of Information Act è la soluzione per non ridurre la trasparenza a quanto previsto dalla norma? E’, così come è oggi inteso, l’azione corretta per realizzare il pieno accesso civico?
Il dibattito in materia di conoscibilità e trasparenza dei procedimenti pubblici è oggi quanto mai attuale (in Italia, purtroppo, per certi temi è sempre oggi – si vedano gli scandali Mose, Expo, Mafia Capitale, solo per citare i casi più recenti). Cosa manca per equiparare al resto del mondo la nostra normativa (datata 1990) in materia di accesso alle informazioni della Pubblica Amministrazione? Cosa manca per arrivare al FOIA-Freedom of Information Act così come inteso a livello internazionale?
Per alcuni la normativa italiana è perfettamente bilanciata e funzionale già così com’è, con il punto di equilibrio tra diritto di sapere e diritto alla privacy raggiunto con l’introduzione dell’Accesso Civico (di cui all’Art. 5 del Decreto 33/2013), che prevede il diritto dei cittadini di accedere solo ed unicamente a quei documenti che la PA è obbligata a pubblicare, ai sensi della normativa vigente, ma che non ha fatto (un ambito di applicazione del diritto, pertanto, sostanzialmente limitato alle inadempienze della PA).
Per altri – tra cui il sottoscritto – la strada da fare è invece ancora parecchia. Proviamo quindi a inquadrare meglio il contesto (normativo e culturale) italiano rispetto a uno dei più efficaci e noti esempi di leggi sull’accesso alle informazioni: il FOIA statunitense.
Due parole sugli USA
Dalla fine del 2014 il FOIA statunitense è al centro di un disegno di riforma molto contestato. Non è la prima volta, dalla sua approvazione nel 1966, che le norma viene aggiornata, potenziata, limitata. Gli emendamenti più recenti, in senso restrittivo, sono stati quelli dell’amministrazione Bush, incentrata sulla segretezza apparentemente ‘legittimata’ dallo scenario di guerra – internazionale e interna – delineatosi nel post 11 settembre. Le torture praticate a Guantanamo e il giro di vite sui programmi di sorveglianza sono solo alcuni dei pezzi più pregiati dell’eredità di quegli anni.
Appena eletto Obama, oggi contestato per la riforma di cui sopra, ha ripristinato quanto emendato da Bush. Uno dei suoi primi atti è stato quello di rendere noti, appellandosi egli stesso ai diritti sanciti dal FOIA, proprio i memorandum in cui la CIA riferisce alla Casa Bianca sul ricorso alla tortura praticata sui detenuti di Guantanamo, ottenendo il via libera a procedere.
A questi casi eclatanti si aggiungono i numerosissimi casi di watchdog e accountability a livello locale e federale, che magari non fanno notizia a livello internazionale, ma che contribuiscono in modo significativo al buon governo della cosa pubblica, in uno spirito di partecipazione e collaborazione con i cittadini che dovrebbe contraddistinguere l’operato di ogni Istituzione. Così, mentre negli USA nell’ambito della settimana della trasparenza si celebrano i Local Heroes Awards (premi assegnati a comuni cittadini che si sono distinti per azioni in favore della comunità attraverso l’esercizio del proprio diritto di accedere alle informazioni), in Italia celebriamo, ogni settimana, un qualche eroe del malaffare diverso, generalmente campioni nell’assegnazione indiscriminata, diretta o meno, di gare e appalti milionari, schermati oltre che dalle connivenze interne, anche dalla normativa vigente che rende procedure e processi decisionali nei fatti inconoscibili dall’esterno.
La questione italiana
La questione non riguarda la privacy e i dati personali dell’interessato di turno (ambito ovviamente tutelato, così come la sicurezza nazionale e il segreto di Stato). La questione attiene invece al diritto, negato ai cittadini italiani ma riconosciuto in decine di altri Paesi al mondo, di conoscere in che modo la Pubblica Amministrazione agisce e opera a loro spese e per loro conto, dalle grandi opere ai piccoli appalti e servizi locali. E non riguarda solo il malaffare, ovviamente.
Un esempio plastico lo fornisce, tra i tanti, il caso della recente campagna di FOIA.it per l’accesso al Dossier Cottarelli sulla spending review, “25 documenti prima annunciati come salvifici, ora declassati a semplici slide – tuttavia gelosamente riposti in qualche cassetto di Palazzo Chigi. Non conoscibili. Inaccessibili”. La richiesta ha innescato un paradossale ping-pong tra Presidenza del Consiglio e Ministero dell’Economia, che si rimbalzano non solo le competenze in materia, ma persino il possesso del Dossier stesso. Risultato: mentre i conti pubblici languono in dissesto, il Dossier sui tagli alle spese resta un fantasma, poiché nessuna delle due istituzioni apparentemente competenti pare esserne in possesso (né pare riconoscere le proprie competenze in merito al lavoro svolto per un anno dal Commissario straordinario e dal suo gruppo di lavoro).
Personalmente, da cittadino prima che da partigiano promotore della Iniziativa per un FOIA in Italia, mi domando se sia davvero possibile/corretto considerare “equilibrata” la normativa italiana in materia di accesso alle informazioni della PA.
Gli evidenti limiti posti dalla legge italiana (può accedere alle informazioni soltanto chi vanta un interesse diretto, concreto e attuale; comunque previo obbligo di motivazione della richiesta, e comunque non ai fini di esercitare un controllo sull’operato pubblico) sono contrari a qualsiasi principio di open government – si vedano i tre pilastri della Open Gov Partnership: trasparenza, partecipazione e collaborazione – oltre che lesivi del diritto di sapere dei cittadini.
Perché anche in Italia è necessario un FOIA
È proprio dietro questa impossibilità di sapere, sancita per legge, che il malgoverno si annida e cresce, certo della sua impunità, scavando solchi sempre più profondi tra istituzioni e cittadini, amministratori e amministrati. La pseudo trasparenza è garantita soltanto (e solo in alcuni casi) ex-post, attraverso le inchieste di magistrati o giornalisti. Una legge realmente equilibrata, invece, assicurerebbe trasparenza ex-ante, o comunque in corso d’opera, ponendosi quindi come reale antidoto e deterrente a corruzione e malgoverno.
D’altronde l’anomalia italiana ha destato l’attenzione e la preoccupazione perfino del relatore speciale dell’ONU, Frank La Rue e della Presidente della Camera, Laura Boldrini. Che si uniscono agli oltre 2mila firmatari dell’appello per un FOIA in Italia e a un centinaio, tra soggetti organizzati e singoli cittadini, che ne promuovono attivamente l’adozione.
E non è un caso, vogliamo sperare, che lo stesso Premier Renzi manifestò a suo tempo tutta l’urgenza di un provvedimento tanto rivoluzionario per il nostro Paese, prima che per il nostro ordinamento giuridico; provvedimento del quale rimaniamo in ardente e fiduciosa attesa.
* L’autore è presidente dell’iniziativa per un Freedom of Information Act in Italia (www.foia.it)