Formazione ed efficienza: le vostre parole chiave per una PA migliore

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Di cosa si sta discutendo all’interno del nostro contest “La tua idea per una PA migliore”? Soprattutto di formazione ed efficienza, come si può vedere dalla nuvola dei tag presente sulla pagina web dell’iniziativa. Queste due parole chiave, infatti, spiccano tra tutte quelle utilizzate dagli utenti e ci raccontano quali sono gli argomenti che ricorrono con maggiore frequenza all’interno delle idee pubblicate.

11 Ottobre 2011

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Michela Stentella

Articolo FPA

Di cosa si sta discutendo all’interno del nostro contest “La tua idea per una PA migliore”? Soprattutto di formazione ed efficienza, come si può vedere dalla nuvola dei tag presente sulla pagina web dell’iniziativa. Queste due parole chiave, infatti, spiccano tra tutte quelle utilizzate dagli utenti e ci raccontano quali sono gli argomenti che ricorrono con maggiore frequenza all’interno delle idee pubblicate.

Naturalmente si tratta di argomenti trasversali alle diverse categorie in cui è articolato il contest – Innovazione organizzativa, Innovazione tecnologica e Innovazione istituzionale – per cui sia le idee che parlano di efficienza della PA sia quelle che parlano di formazione sono presenti in tutti e tre gli ambiti di discussione.

Insegnare civic hacking nelle città e nelle scuole è, al momento, la proposta più apprezzata in materia di "formazione".

Che cos’è il civic hacking? Potremmo definirlo come un insieme di pratiche che alcuni cittadini (che si presuppone abbiano una particolare dimestichezza con le tecnologie digitali) mettono in atto al fine di riutilizzare dati ed elementi già esistenti per sviluppare nuove applicazioni web di valore pubblico, che portino quindi benefici tangibili alla collettività.

L’idea pubblicata nel contest propone di “finanziare un programma di laboratori dedicati a cittadini e scuole, con l’obiettivo di insegnare a utilizzare i dati pubblici resi disponibili dalle amministrazioni sotto forma di open data per costruire applicazioni utili per i cittadini stessi”. Addirittura il civic hacking potrebbe diventare una vera e propria materia di studio in alcune scuole; questa proposta – come sottolinea l’autore dell’idea, Claudio Forghieri – appartiene in realtà a David Osimo, che di “innovation without permission" ha parlato già a FORUM PA 2010 e in una precedente intervista pubblicata sul nostro sito.

“Numerose amministrazioni italiane – prosegue Forghieri – anche grazie ad alcuni stimoli contenuti nel Codice dell’Amministrazione Digitale, stanno iniziando a liberare i dati pubblici in formati aperti che possono essere utilizzati direttamente da cittadini, associazioni e aziende per creare valore pubblico. Alcune esperienze sono già molto avanzate. Questa attenzione istituzionale e normativa per gli open data non è ancora affiancata da una sufficiente capacità di utilizzo da parte dei cittadini e delle associazioni. Occorre far capire che si tratta di un’opportunità importante per l’evoluzione del modo di governare il paese e per restituire il controllo dell’operato delle amministrazioni nelle mani dei cittadini. Servono quindi competenze adeguate e una nuova sensibilità civica”.

Passando alle idee in materia di "efficienza", a raccogliere il maggior numero di consensi è quella che propone l’integrazione dei data base.

“Gli archivi degli Enti Pubblici che gestiscono dati riferibili all’utenza (Agenzia delle Entrate, Regioni, Comuni, Agenzie del Territorio, Consorzi di bonifica, ecc..) dovrebbero essere integrati in un unico data warehouse consultabile dal singolo cittadino per la propria posizione”, sottolinea l’autore della proposta. Con quali vantaggi? Prima di tutto il cittadino avrebbe a disposizione “informazioni complete, aggiornate e circolari”; ma anche la PA ne otterrebbe grandi benefici, rendendo più efficienti i processi di raccolta ed elaborazione dei dati.

Banche dati condivise, o addirittura, una banca dati unica, significa meno burocrazia, perché ogni informazione è accessibile da più enti, in tempo reale; ma significa anche maggiore tracciabilità e trasparenza e, di conseguenza, accertamenti più facili da parte della PA. Anche quest’ultimo aspetto è messo in evidenza dall’autore dell’idea, che sottolinea: “Ciò consentirebbe una rivoluzione fiscale che consiste nell’elaborazione della dichiarazione dei redditi da parte della PA e non da parte del cittadino, con inimmaginabili risparmi di sistema. Al cittadino resterebbe il solo compito di integrare/modificare i dati dove necessario: il conto non lo fa l’ospite, ma l’oste”.

Se questo tipo di approccio porta tanti vantaggi in termini di risparmio, efficienza, trasparenza, come mai ancora non viene messo in pratica? Una delle possibili risposte arriva proprio da un commento pubblicato nel contest, che dice: “Il perché non accade è molto più semplice di quanto si possa pensare e non dipende da fattori tecnologici. Specie nella PA il detenere dati, informazioni corrisponde a potere. Più cose io so che tu non sai, più potere ho”.

Voi cosa ne pensate?

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