Coinvolgere gli utenti per il riuso dei dati: la scommessa della New York Public Library
14 Gennaio 2016
Giovanni Bruno, Istituto Italiano Open Data - Regesta.exe
Niente di nuovo! Così Ben Vershbow, il direttore della New York Public Library, presenta sul “New York Times” del 6 gennaio ( New York Public Library Invites a Deep Digital Dive) il progetto Public Domain Collections : “It’s the old library mission”.
È solo il tradizionale mestiere del bibliotecario: rendere accessibili i materiali conservati, consentirne la fruizione da parte del maggior numero di utenti, dare nuova vita a quei documenti attraverso il lavoro di studiosi e ricercatori. In questo caso si tratta di oltre 180.000 immagini digitali di fotografie, mappe, volumi, corrispondenze: materiali tutti ormai liberi da copyright; riproduzioni ad altissima risoluzione distribuite senza vincoli. “ No permission required. No restrictions on use ”.
Niente di nuovo, in verità. Il Rijksmuseum di Amsterdam nel 2011 ha reso disponibili per il download 208.000 riproduzioni digitali del proprio patrimonio; lo hanno seguito fra gli altri il Los Angeles County Museum of Art, la National Gallery of Art, la Yale University Art Gallery; nel 2013 prima il Getty Museum annuncia il proprio “Open Content Program”, per rendere disponibili gratuitamente tutte le immagini digitali di cui detiene i diritti, poi la British Library pubblica su Flickr oltre un milione di immagini digitali provenienti da volumi pubblicati tra il XVII e il XIX secolo.
L’iniziativa della New York Public Library s’inserisce, quindi, in un contesto già affollato. Il New York Times in un articolo pubblicato a fine ottobre dello scorso anno, New Online Openness Lets Museums Share Works With the World, calcola che sono circa 50 le istituzioni culturali americane che hanno reso disponibili almeno parte delle loro collezioni digitali senza restrizioni. Non si tratta ormai più solo di iniziative sporadiche e pioneristiche: per il “mestiere” del bibliotecario la dimensione digitale assume ormai una valenza strategica decisiva, sia riguardo alle scelte tecnologiche che a quelle culturali. Il progressivo ampliamento del perimetro di fonti storiche disponibili in rete segnala come questo processo è destinato a influire in misura determinante sul ruolo delle singole istituzioni culturali, a indirizzare percorsi di ricerca e argomenti di studio, a favorire il coinvolgimento di pubblici non specialistici. In sintesi, è nelle scelte tecnologiche e nelle strategie digitali adottate che sempre più si traduce il tradizionale mestiere del bibliotecario, e in generale del mediatore culturale.
Tornando alla NYPL, l’iniziativa lanciata in questi primi giorni dell’anno s’inserisce in un percorso avviato da tempo e le oltre 180.000 immagini di cui è stata rilasciata in “public domain” la versione digitale originale ad alta risoluzione fanno parte di un patrimonio di 672.186 immagini digitali disponibili sul sito http://digitalcollections.nypl.org/, comunque scaricabili ma in versioni compresse (a 760 px). La scommessa della NYPL è però più ambiziosa: non si limita alla sola valorizzazione del proprio patrimonio, facilitando l’uso del materiale da parte di studiosi e ricercatori, ma si propone di coinvolgere i propri utenti nella creazioni di “nuovi” prodotti culturali, di creare valore (e cultura) attraverso il supporto e con il concorso del pubblico della sua biblioteca digitale. Non si limita a consentire il libero utilizzo delle proprie risorse: contemporaneamente, l’intero corredo di metadati è stato rilasciato come “machine-readable data” (in formato CSV e Json) e reso accessibile attraverso APIs; infine, è stato lanciato un primo Remix Residency Program per finanziare progetti di riutilizzo del materiale in “public domain”.
È solo di un punto di partenza, dice Vershbow nell’intervista citata all’inizio: “ We don’t just want to put stuff online and say, ‘Here it is,’ but rev the engines and encourage reuse. ”
In verità, credo che si possa dire che direzione, strumenti e approdi del processo che si è avviato in questi anni debbano ancora essere pienamente individuati; e anche un’iniziativa importante e ambiziosa come quella di NYPL non è sufficiente a fornire risposte conclusive. Riutilizzo e diffusione sono parole d’ordine che non esauriscono contenuti e obiettivi delle strategie di migrazione digitale che si stanno avviando nel mondo dei beni culturali; restano aperte questioni importanti come quella della sostenibilità nel medio termine, della capacità di ampliamento del mercato culturale, della moltiplicazione dei mestieri e dei “prodotti” che quel mercato devono alimentare. Forse, investire sul coinvolgimento degli utenti per cercare risposte non convenzionali ai quesiti aperti, come sta facendo la NYPL, può essere oggi la migliore opzione disponibile.
Si tratta di un percorso comunque complicato e difficoltoso, che richiede una “straordinaria” capacità progettuale, che non ammette scorciatoie. Per ora, ad esempio, le collezioni digitali della NYPL e il catalogo del proprio patrimonio, recuperabile invece dalla vecchia interfaccia di consultazione, sono ancora due mondi separati (e il collegamento funziona solo in un senso): recuperare tutta la conoscenza sedimentata in banche dati preesistenti rappresenta il primo dei compiti che il progetto dichiara di voler affrontare. Un compito certamente impegnativo, ma assolutamente decisivo per consentire una piena capacità di lettura, di diffusione e di riutilizzo.
E, appunto, “It’s the old library mission”.