La pratica delle competenze digitali: oltre le discipline STEM nella scuola
Le Linee guida per le discipline STEM nella scuola, emanate dal Ministero dell’istruzione e del merito, sono un passo rilevante, che sottolinea l’importanza dell’investimento in competenze digitali e nelle discipline tecnico-scientifiche. Dobbiamo però essere capaci di guardare oltre le discipline, partendo dal presupposto che un approccio multidisciplinare non basta, ne servirebbe uno ‘anti’ disciplinare. La scuola dovrebbe essere capace di insegnare anche oltre le materie, per temi, per sfide, come accade nella ricerca scientifica di frontiera che vede la collaborazione di profili professionali molto differenti
31 Gennaio 2024
Mirta Michilli
Direttrice generale della Fondazione Mondo Digitale
Questo articolo è tratto dal capitolo “Scuola e Istruzione” dell’Annual Report di FPA presentato il 18 gennaio 2024. La pubblicazione è gratuita
Superare e ‘trasformare il modello trasmissivo’ della scuola è il primo orizzonte del Manifesto delle Avanguardie educative, pubblicato nel 2014. Oggi, a distanza di dieci anni, chiunque si occupi di scuola e formazione, senza essere necessariamente un innovatore o un pioniere, considera del tutto anacronistico il modello esclusivamente basato sulla trasmissione delle conoscenze ‘dalla cattedra’.
Il paradosso del ‘trasferimento’
Dalla classe capovolta alla didattica collaborativa anche l’insegnante, l’educatore o il formatore più tradizionale si sta sforzando di rendere l’apprendimento sempre più attivo e coinvolgente per i suoi studenti, giovani o adulti. Eppure, quando si parla di competenze digitali, ritornano molto spesso le espressioni verbali ‘trasferire’ e ‘trasmettere’, con una inspiegabile e paradossale contaminazione di nuovo e di vecchio. Basta una breve ricerca con qualsiasi motore di ricerca sul web per rendersi conto di quanto entrambe le parole, trasferimento e trasmissione, abbiamo contaminato il lessico formativo anche in ambito digitale.
Il termine ‘trasferire’ è peraltro del tutto fuorviante, perché implica uno spostamento di competenze da una persona a un’altra, lasciando intendere che il formatore si ‘svuoti’ di conoscenza (sic!). La conoscenza è una ricchezza che si condivide, sempre additiva e incrementale. Inoltre, considerare le competenze digitali come ‘pacchetti codificati’ di conoscenze chiuse, da spostare da docente a discente o da un team di lavoro a un altro, è un terribile errore, che peraltro spiega bene perché siamo così in ritardo nei livelli di competenze che definiscono il capitale umano di un Paese (Desi 2023).
Non riusciamo a sviluppare adeguate competenze digitali nella popolazione, forse perché ci limitiamo a diffonderle trasportandole da una persona all’altra? Pacchetti di competenze chiuse, che non seguono l’evoluzione di nuove funzionalità e tecnologie, sono destinati all’obsolescenza programmata, come certi prodotti industriali o elettrodomestici di uso comune.
Nel contesto delle discipline STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics), è ormai prassi associare lo sviluppo delle competenze digitali allo sviluppo del pensiero critico, a capacità di comunicazione e collaborazione, alla produzione di soluzioni creative, secondo le 4C (Critical thinking, Communication, Collaboration, Creativity). Aggiungerei che sviluppare competenze digitali deve sempre significare anche ‘fare cultura digitale’, mettendo al centro le persone, con le loro diverse capacità e velocità di apprendimento.
Discipline e anti-discipline
Il Ministero dell’istruzione e del merito ha emanato le Linee guida per le discipline STEM nella scuola. Contengono indicazioni importanti per costruire percorsi formativi dall’infanzia all’età adulta. Rispetto alla situazione reale della scuola italiana sono un passo rilevante, che sottolinea l’importanza dell’investimento in competenze digitali e nelle discipline tecnico-scientifiche. Mentre le scuole cominciano ad attrezzarsi per attuarle, dobbiamo però già guardare avanti, da subito, cercando di usarle in profondità e nello stesso tempo di superarle. Perché sono uno escamotage utile e prezioso per capire l’importanza della contaminazione tra discipline, ma rischiano di trasformarsi in una trappola cognitiva se le consideriamo alla stregua di uno schema fisso. Basti pensare alla difficoltà che incontriamo nell’estendere l’acronimo da STEM a STEAM, includendo anche la A di Art. Le stesse Linee guida accennano al paradigma olistico STEAM, ma poi di fatto il termine scelto è l’acronimo classico STEM. Invece dobbiamo essere capaci di guardare oltre le discipline, partendo dal presupposto che un approccio multidisciplinare non basta, ne servirebbe uno ‘anti’ disciplinare. La scuola dovrebbe essere capace di insegnare anche oltre le materie, per temi, per sfide, come accade nella ricerca scientifica di frontiera che vede la collaborazione di profili professionali molto differenti. La scuola deve insegnare ai giovani a gestire scenari sempre più complessi che prevedono soluzioni interconnesse, con la capacità di valutare con responsabilità impatti e conseguenze.
La certificazione dinamica
Nella parte finale del documento del MIM sono presenti anche alcune indicazioni metodologiche per l’insegnamento delle discipline STEM nei vari ordini di istruzione e una proposta per la valutazione delle competenze basata sui compiti di realtà. Credo che un obiettivo importante, non solo per la scuola ma per l’intero mondo del lavoro, sia quello di riuscire a elaborare una valutazione dinamica delle competenze digitali e trasversali, basata su micro-certificazioni incrementali. Dobbiamo riuscire a coniugare la forte accelerazione nello sviluppo di conoscenze e tecnologie con i quadri europei di riferimento per le diverse competenze, digitali (DigComp), imprenditoriali (EntreComp), trasversali (LifeComp) e in materia di sostenibilità (GreenComp), in modo che diventino un reale riferimento per la crescita personale e professionale delle persone.
L’investimento in istruzione
Approfondimento, sintesi e contributo cruciale per il confronto sul futuro del Paese: non si può fare a meno di leggere e condividere il secondo capitolo del Rapporto annuale 2023 curato dall’Istat sulla situazione del Paese dal titolo Cambiamenti nel mercato del lavoro e investimenti in capitale umano. Pioniera delle statistiche sociali e di genere, Linda Laura Sabbadini, ora in pensione, nel corso del suo lavoro all’Istat ha reso i numeri delle statistiche sempre meno aridi, aiutandoci a interpretare e umanizzare i dati.
Perché il titolo di studio è determinante per la partecipazione al mercato del lavoro? Perché l’istruzione è così fondamentale per favorire l’occupazione femminile? I dati ci aiutano a capire con evidenza che l’unico strumento per ridurre ogni forma di divario, da quello territoriale a quello di genere, è l’investimento in istruzione. «Lo sviluppo e la valorizzazione del capitale umano sono fondamentali, sia per migliorare la produttività e la competitività del sistema produttivo, sia per favorire una maggiore equità e inclusione sociale. La formazione del capitale umano avviene attraverso l’istruzione e la formazione formale, così come attraverso l’aggiornamento continuo e la formazione sul luogo di lavoro, attività che contribuiscono nel tempo ad accrescere le competenze e le conoscenze individuali».
Il capitolo approfondisce da più aspetti anche il tema delle competenze digitali, evidenziando la forte connessione con le caratteristiche socio-culturali della popolazione e, in particolare, con il titolo di studio. Rispetto al resto d’Europa e agli obiettivi fissati dalla Commissione europea siamo indietro, ma ci sono alcuni segnali positivi che riguardano soprattutto la questione di genere: la quota di ragazze di 20-24 anni con competenze digitali adeguate è superiore di 9 punti percentuali rispetto ai coetanei maschi. Un successo che è stato ottenuto cominciando a lavorare in modo sistemico dal mondo della scuola, avvicinando le ragazze alle discipline e alle professioni STEAM. Crescono più velocemente, rispetto ai coetanei maschi, anche le donne impiegate nel settore scientifico e tecnologico. Per l’aggregato HRST (acronimo di Human Resources in Science and Technology) l’Italia è in ultima posizione in Europa, ma la crescita seppure modesta è maggiore per la componente femminile (+27,6%) rispetto a quella maschile (+9,8%), contribuendo alla riduzione del divario di genere.
La sfida degli acronimi: da STEAM a HRST
L’impegno che ora ci aspetta è riuscire a declinare le competenze digitali lungo tutto l’arco della vita, una sorta di STEAM lifelong learning, comprendendo diversi aspetti: educativo, orientativo, lavorativo, professionale (HRST) e funzionale. Per tutti gli aspetti gioca un ruolo cruciale la collaborazione tra scuola e università, coinvolgendo territori e comunità educanti, tra formazione formale e informale. Per ultimo ho inserito l’aspetto ‘funzionale’, la capacità di trasformare anche conoscenze di base in abilità per fare cose, come sbrigare pratiche o usufruire di servizi. Le competenze strumentali sono fondamentali per tutti ma, in particolare, sono strategiche per i grandi adulti o gli anziani che hanno meno possibilità di accedere a canali di formazione continua. Non riesco a rassegnarmi al limite di età che si è posta l’Europa nella sua strategia digitale: entro il 2030 portare all’80% la quota di cittadini europei di età compresa tra i 16 e i 74 anni con competenze digitali almeno di base. Perché escludere dall’obiettivo i cittadini che hanno già compiuto 75 anni? Secondo la Società italiana di gerontologia e geriatria un settantacinquenne di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un cinquantacinquenne nel 1980, quindi di una persona ancora pienamente attiva. La fascia di età tra 75 e 89 anni comprende quasi 6 milioni e mezzo di persone, circa l’11% della popolazione. Sono cittadini in grado di partecipare e perfino di aiutare gli altri o di sostenere figli e nipoti, ma hanno bisogno di continuare a imparare. Così poi sono in grado di insegnare ai più piccoli i valori per vivere insieme, a casa e in rete.
Dall’Italia, che invecchia più velocemente degli altri Paesi, mi aspetto uno sforzo in più per rendere tutte le persone davvero partecipi della trasformazione digitale, in grado di apprendere a qualsiasi età e ovunque, grazie a device, tecnologie e servizi innovativi. Solo in questo modo possiamo garantire diritti digitali universali. Uno sviluppo sostenibile e inclusivo si fonda sul valore del capitale umano.