Per il futuro del SSN, l’integrazione di obiettivi e percorsi è il motore del cambiamento

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Una delle priorità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è superare il ‘divario di cittadinanza’ in ambito sanitario e utilizzare tutti gli strumenti disponibili per garantire un approccio specifico e in particolar modo differenziato, in relazione alla peculiarità geografica in cui vivono tanti italiani. Incentivare un’autentica integrazione di obiettivi e percorsi è il motore del cambiamento, con lo sviluppo di interventi mirati alle reali caratteristiche e dimensioni del contesto, attraverso la mappatura del fabbisogno di salute e con un approccio orientato all’evidenza dei dati di ogni territorio

30 Gennaio 2024

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Tiziana Frittelli

Presidente di Federsanità - Confederazione delle Federsanità ANCI regionali

Foto di NEOM su Unsplash -https://unsplash.com/it/foto/un-uomo-che-tiene-una-lanterna-nel-buio-yg6v0KoiIcU

Questo articolo è tratto dal capitolo “Sanità pubblica” dell’Annual Report di FPA presentato il 18 gennaio 2024. La pubblicazione è gratuita

Il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) è in mezzo al guado, alle prese con una riforma, agganciata alla realizzazione del PNRR, che avrà difficoltà a decollare, se non si smarcano i punti nodali, senza i quali nessuna vera riorganizzazione potrà realizzarsi. Sono molte le domande da porsi: quale modello di integrazione realizzare tra sistemi territoriali? Quale dovrà essere il ruolo delle cure primarie? La loro collocazione, i processi di formazione? E ancora: quanto è importante avviare la valutazione di un processo di task shifting e la conseguente politica delle risorse umane necessaria per attirare e formare adeguatamente quelle numericamente sufficienti? Quanto incide nei processi riorganizzativi la corretta programmazione dei luoghi necessari per offrire sufficienti cure intermedie? Tutto questo in un contesto che sullo sfondo ha la necessità di realizzare integralmente la transizione digitale, che non sarà né semplice né automatica, eppure è l’unico strumento per garantire la casa come luogo di cura e per assistere la popolazione delle aree più disagiate, ovvero quelle cosiddette ‘interne’ che riguardano la metà dei Comuni italiani. Il 48% di questi (3.834) viene classificato come area interna (Comuni intermedi, periferici e ultraperiferici). Si tratta del 58,8% della superficie dell’intero territorio nazionale.

Incentivare un’autentica integrazione di obiettivi e percorsi è il motore del cambiamento, con lo sviluppo di interventi mirati alle reali caratteristiche e dimensioni del contesto, attraverso la mappatura del fabbisogno di salute e con un approccio orientato all’evidenza dei dati di ogni territorio. Strumento di questo percorso è anche l’attivazione di percorsi formativi interdisciplinari, così come la promozione delle leve dell’innovazione attraverso la tecnologia e la selezione delle migliori best practice che abbiano avuto un significativo impatto nel miglioramento del processo di assistenza, al fine di metterle a fattor comune. Una delle priorità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è appunto di superare il ‘divario di cittadinanza’ in ambito sanitario e utilizzare tutti gli strumenti disponibili per garantire un approccio specifico e in particolar modo differenziato, in relazione alla peculiarità geografica in cui vivono tanti italiani. La priorità è assicurare prestazioni sanitarie in maniera omogenea, ripartendo da modelli innovativi di organizzazione della rete di cure sul territorio che diventi garanzia di prossimità, sostenibilità e accessibilità dei servizi offerti per rispondere ai bisogni di salute. Per incidere in modo significativo nella riforma del Servizio sanitario pubblico occorre adottare nuovi modelli di presa in carico territoriali e coinvolgere tutti gli attori principali del sistema, iniziando dai sindaci, dai professionisti e dal terzo settore. Il primo strumento è la partecipazione. La roadmap deve mettere al primo posto la centralità dei pazienti, costruendo attorno ad essi reti concentriche di professionisti sanitari e adottando come coordinate la sostenibilità sociale, l’innovazione terapeutica e la prossimità delle cure. Mai come oggi, è necessario approfittare degli errori e delle conoscenze apprese durante la pandemia per rinnovare il servizio sanitario pubblico e fare del principio di equità di accesso l’elemento fondante dell’intera rete dell’assistenza.

Tutto questo avviene in un contesto di gravissima denatalità e invecchiamento della popolazione. Ed è lecito chiedersi: quale SSN vogliamo e quale contesto di welfare stiamo costruendo per i nostri figli? Oggi la sfida è trovare un equilibrio tra sostenibilità del SSN, welfare di comunità adeguato alle esigenze dei più fragili, misure che tendano all’incremento del PIL, primo motore di crescita e, dunque, di sostenibilità. Per questo motivo, oggi più che mai è necessario ripensare alle politiche dell’integrazione socio-sanitaria in materia profonda, perché su questo versante il nostro Paese gioca il destino della fascia più debole della popolazione: gli anziani non autosufficienti, destinati ad aumentare nel breve periodo, spesso aggravati da malattie croniche; le fragilità sociali di chi, per motivi economici, rinuncia alle cure; la salute mentale, con uno spettro sempre più inquietante sulla fascia infantile e adolescenziale.

Anche a voler valutare queste situazioni solo sotto l’aspetto economico, trattasi, in tutti i casi, di situazioni che, se non gestite con una strategia nuova, sono ad altissimo assorbimento di risorse. Il DM 77 prevede strumenti nuovi di integrazione: il Punto Unico di Accesso presso le case di comunità, dove avverrà la valutazione multidimensionale congiunta tra aziende sanitarie ed enti locali; le Centrali Operative Territoriali, strumento fondamentale di coordinamento della presa in carico della persona e raccordo tra servizi e professionisti coinvolti nei diversi setting assistenziali, sanitari e socio-sanitari, in dialogo con la rete dell’emergenza urgenza; il numero 116117, per ogni esigenza sanitaria e socio-sanitaria a bassa intensità assistenziale. Tuttavia, se il panorama degli strumenti di integrazione tra il sanitario e il sociale rimane lo stesso, il grande rischio è che i risultati continuino ad essere modesti, con la sanità costretta ad intervenire nelle situazioni di presa in carico sociale carente o inesistente, in un quadro di gravissime disuguaglianze nella distribuzione della spesa sociale tra i Comuni, ancora una volta dettata dal PIL presente nei diversi territori.

Insomma, è questo il momento per riflettere su quale SSN e quale welfare vogliamo. Non ci possiamo più permettere di ipotizzare che l’integrazione tra il mondo sanitario e quello sociale si basi su volontaristici rapporti di vicinato o su leggi regionali, senza alcun raccordo alto. È necessario un livello di dialogo nazionale e, soprattutto, occorre perseguire una definizione chiara e precisa di quali LEPS questo Paese vuole garantire, a prescindere dalla spesa storica.

La Legge 234/2021, comma 159 recita: «I livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) sono costituiti dagli interventi, dai servizi, dalle attività e dalle prestazioni integrate che la Repubblica assicura, sulla base di quanto previsto dall’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e in coerenza con i principi e i criteri indicati agli articoli 1 e 2 della Legge 8 novembre 2000, n. 328, con carattere di universalità su tutto il territorio nazionale per garantire qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione, prevenzione, eliminazione o riduzione delle condizioni di svantaggio e di vulnerabilità».

Questa definizione ci porta direttamente alla costruzione di sistemi territoriali integrati. Per stare al livello di questi obiettivi occorre generare una visione diversa e più evoluta dei Livelli Essenziali di Assistenza Sociale sul piano culturale, direzionale, professionale e organizzativo, con una visione più integrata e consapevole con i sistemi di altre funzioni fondamentali e con altri livelli essenziali, come i LEA sanitari, anch’essi a garanzia di diritti soggettivi.

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