Gli open data nel Piano Triennale: nuova centralità per un fondamentale “bene comune”
Emerge chiaramente dalla lettura del Piano Triennale 2024-2026 il rinnovato valore assegnato al patrimonio informativo pubblico e la consapevolezza che il tema dei dati sarà sempre più centrale nello scenario che si sta definendo intorno all’utilizzo dell’IA nella pubblica amministrazione. Tra percorsi avviati, a livello europeo e nazionale, e prossimi passi delineati vediamo cosa emerge dal documento strategico per eccellenza nel definire la trasformazione digitale nelle nostre PA
23 Febbraio 2024
Vincenzo Patruno
Istat - Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell'informazione statistica
Morena Ragone
Giurista, studiosa di diritto di Internet e PA Digitale
Nel corso degli anni, a partire dal 2017, e nel susseguirsi delle edizioni, il Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione è diventato il documento strategico per eccellenza nel definire la trasformazione digitale nelle nostre PA: dalla “traccia” contenuta nella circolare di AgID n. 2/2016 – con i suoi principi e obiettivi poi recepiti nel primo Piano 2017-2019 – il documento è andato via via a delineare la forma che le amministrazioni dovranno assumere, tracciando e condividendo strategie comuni, che assumono, giorno dopo giorno, la configurazione di progetti, con specifici obiettivi, milestone, indicatori e target.
Come da almeno 10 anni a questa parte, i dati rivestono un ruolo fondamentale e sempre più centrale in tutta la strategia descritta dal Piano e nella strategia complessiva del “Paese Italia”: non è un caso se, in questo settore, alcune felici scelte politiche hanno orientato le amministrazioni verso la sempre maggiore apertura del patrimonio informativo pubblico e la conseguente pubblicazione di open data, come emerge dalla rilevazioni periodiche della Commissione UE (ad esempio, l’Open Data Maturity Report).
Partendo dai Principi Guida riportati nel Piano – uno schema che riepiloga i principi cardine attorno ai quali vanno sviluppate le strategie e policy di trasformazione digitale – è evidente l’attenzione al tema, sul quale la stessa Agid ha investito molto: i dati pubblici sono “bene comune”, concetto che ne descrive tutto il valore, restituendone la ricchezza e le importanti ricadute di valore pubblico, su cui società civile e associazioni del terzo settore, d’altro canto, stanno lavorando da tempo. A tal proposito, non possiamo non ricordare la campagna “Dati bene comune”, promossa da onData, ActionAid e Transparency International Italia assieme, ad oggi, ad altre 317 organizzazioni e sottoscritta da 62660 firmatari. Numeri importanti considerando le difficoltà che spesso incontra l’attivismo civico.
Sempre nella tabella dei Principi Guida del Piano, la descrizione associata al dato pubblico come bene comune afferma il principio, sacrosanto, per cui “il patrimonio informativo della Pubblica Amministrazione è un bene fondamentale per lo sviluppo del Paese e deve essere valorizzato e reso disponibile ai cittadini e alle imprese, in forma aperta e interoperabile”.
La definizione mette perfettamente a fuoco l’elemento di “sviluppo” collegato all’apertura del patrimonio informativo pubblico, troppo spesso appiattita sui soli aspetti di trasparenza. Non scontato nell’ecosistema digitale amministrativo che il Piano delinea e persegue, il riferimento all’interoperabilità – o agli “spazi di interoperabilità”, per rubare la parole al Piano stesso – vera chiave di volta di questa complessa architettura, che, se adeguatamente stressata e portata a compimento, rischia di stravolgere – in senso totalmente positivo – l’idea che abbiamo delle PA come “dinosauri analogici”.
Il Piano va a ricordare alcuni riferimenti normativi imprescindibili che definiscono il quadro di riferimento quando parliamo di opendata: gli articoli del CAD [l’art. 50, commi 1 e 2-bis, l’art. 50-quater, l’art. 52, comma 2, frutto di tante battaglie di civiltà e faticose conquiste, come la definizione di opendata by default], o il D. Lgs. n. 36/2006 [traduzione delle direttive “PSI”, Public Sector Information, nelle sue diverse revisioni].
In linea con quanto previsto nei piani precedenti, il nuovo Piano “mira ad assicurare maggiore efficacia all’attività amministrativa in tutti i processi che coinvolgono l’utilizzo dei dati, sia con riferimento alla condivisione dei dati tra pubbliche amministrazioni per finalità istituzionali, sia con riferimento al riutilizzo dei dati, anche per finalità commerciali, secondo il paradigma dei dati aperti”. Mentre sul secondo aspetto siamo abituati a confrontarci – spesso anche per sottolineare le difficoltà di un riutilizzo massiccio e diffuso – il primo aspetto risulta estremamente interessante, perché richiama quell’idea moderna di amministrazioni “data driven” – amministrazioni che effettuano scelte consapevoli su dati, di cui spesso abbiamo scritto – che contribuiscono alla realizzazione di uno “spazio di dati”, abilitato proprio dall’interoperabilità.
Non stupisce l’ulteriore richiamo alla valorizzazione del patrimonio informativo pubblico quale contributo alla costruzione di una economia dei dati a livello europeo, pur nella consapevolezza che è necessario aumentare la quantità e la qualità dei dati pubblici, con la disponibilità di un sistema di misurazione e di assessment basato sui pertinenti standard ISO.
Questo passaggio ci traghetta ad una delle principali novità di questo Piano: l’inserimento, insieme e in stretto collegamento con i dati, della sezione sull’Intelligenza Artificiale, sulla certezza che i nuovi scenari che si basano sull’utilizzo dell’IA necessitano in continuazione di grandi quantità di dati per poter funzionare al meglio. Ma c’è, anche, la raggiunta consapevolezza del percorso intrapreso fino ad oggi, e della stretta relazione tra quanto fatto e la più ampia strategia dati declinata a livello europeo: pensiamo, ad esempio, al Data Act – di cui abbiamo fornito un aggiornamento proprio di recente –, ma anche alla Direttiva (UE) 2019/1024 – Direttiva “Open Data”, recepita e attuata nel nostro Paese con il D. Lgs. n. 200/2021; o, ancora, alle “Linee guida recanti regole tecniche per l’apertura dei dati e il riutilizzo dell’informazione del settore pubblico”, le Linee Guida Open Data – adottate con la Determinazione AgID n. 183/2023, ai sensi dell’art. 71 del CAD in applicazione dell’art. 12 del citato Decreto Lgs. n. 36/2006 e s.m.i.
Un quadro normativo completo e composito, e una serie di strumenti – sempre per prendere in prestito la terminologia utilizzata dal Piano – cui si aggiunge la recente Guida Operativa sui dataset a elevato valore.
Su questa solida base, numerose amministrazioni hanno già cominciato a lavorare per rilasciare i dati ad elevato valore: un ulteriore elemento di estrema importanza, che il Piano riconduce anche – e non potrebbe essere altrimenti – alla necessaria valutazione dell’impatto economico e sociale del processo di apertura dei dati, da farsi con “azioni mirate al monitoraggio del riutilizzo dei dati resi disponibili dalle pubbliche amministrazioni”. Misurare l’impatto è un elemento estremamente delicato ma sempre più imprescindibile, da definire delineando un approccio e una metodologia che in modo trasversale possano essere comuni alle differenti amministrazioni, accompagnandole così nella realizzazione dei comuni obiettivi.