Registro di protocollo annuale: uno strumento da “salvare”
Il valore del registro annuale è imprescindibile per la ricostruzione efficace dell’iter logico-giuridico di un affare, di un’attività o di un procedimento amministrativo, perché garantisce la visione d’insieme giuridica e gestionale. La proposta di integrare le linee guida di AgID sulla gestione documentale con un allegato tecnico riferito proprio alla produzione obbligatoria del registro di protocollo annuale emerge a fronte di un complesso quadro normativo che sembra mettere in discussione il valore e l’esistenza stessa di questo strumento, come proviamo a spiegare in questo dettagliato excursus sul tema
23 Luglio 2024
Gianni Penzo Doria
Professore di Archivistica e di Diplomatica all'Università degli Studi dell'Insubria
La conservazione delle basi di dati è stata al centro di uno studio, pubblicato da AgID circa un anno fa (aprile 2023) e redatto da numerosi esperti delle aree archivistica, informatica e giuridica, e membri del Gruppo di lavoro AgID sui Poli di Conservazione, con l’obiettivo di dare un primo quadro sintetico sulla preservazione delle informazioni e, nello specifico, sulla conservazione dei dati trattati nei sistemi transazionali.
Un rapporto molto interessante e il cui giudizio generale è ampiamente positivo. Ci vogliamo però soffermare su uno strumento in particolare: il registro di protocollo annuale.
Le linee guida AgID sulle basi di dati e il protocollo
Il Rapporto, nello specifico, ha definito il registro di protocollo come se si trattasse (soprattutto) di una base di dati. Infatti, al § 1.2. Il punto di vista giuridico nel quadro normativo europeo e nazionale, contrariamente alla rubrica e tra due “pur” a inizio frase, si rinviene scritto: «Pur rientrando pienamente nell’ambito delle basi di dati ora ricordate, è opportuno sottolineare che il legislatore ha trattato in modo specifico e distinto il caso della base di dati costituita dal registro di protocollo informatico. Pur prevedendone la conservazione obbligatoria, la norma originaria (il DPR 28 dicembre 2000, n. 445) di fatto obbliga tale conservazione congelando i dati prodotti giornalmente in un formato statico non riconducibile alla conservazione del documento informatico inteso come base di dati. Le ragioni sono molteplici, legate soprattutto alla necessità di assicurare la funzione di protezione del registro di protocollo più che la conservazione dei contenuti informativi pregiati che quel registro contiene. Si tratta di un nodo la cui soluzione ottimale richiederebbe una revisione normativa, considerata l’importanza dei contenuti strutturati di cui il registro è costituito. Non mancano, tuttavia, possibili iniziative in grado, anche all’interno del quadro normativo vigente, di proporre soluzioni di compromesso, come quella di affiancare gli obblighi attuali con una procedura di conservazione periodica (annuale) del registro nella forma di base di dati, assicurando in tal modo la tenuta sicura, non modificabile e certa dei dati immessi e il loro pieno trattamento informatico. Secondo questa modalità, si potrebbe generare da tale sistema opportunamente qualificato, sempre annualmente (o comunque, periodicamente), un pacchetto di versamento contenente il documento informatico, firmato dal responsabile del protocollo, con tutte le registrazioni del periodo. La questione è sicuramente complessa tanto da richiedere un approfondimento tecnico cui è dedicato in questo studio il capitolo 5».
Qui dobbiamo prescindere dal verbo congelare utilizzato in luogo di staticizzare o, meglio, archiviare e quelle soluzioni di compromesso che, di contro, rappresentano soluzioni maestre.
In primo luogo, anche se da un punto di vista informatico risulta possibile descrivere il registro di protocollo come una base di dati, non lo è da un punto di vista né giuridico, né archivistico, né diplomatistico. Per assurdo, sarebbe come descrivere una legge pubblicata nella Gazzetta ufficiale come una sequenza di bit esposti in serie ordinata in modalità on-line. Un conto è la struttura, ben altro è la natura. Nel nostro caso, il protocollo è giuridicamente un atto pubblico di fede privilegiata sotto forma documentale di registro, in armonia con l’art. 2699 del Codice civile. Poco importa, nel nostro caso, che sia conservato sotto forma di banca dati.
L’indagine speculativa soltanto da una prospettiva informatica fa perdere al documento anche la visione giuridica, archivistica e diplomatistica dello strumento in sé. Infatti, così ragionando, attualmente ogni registro pubblico finirebbe con essere esaminato per la sua struttura tecnica e tecnologica, qui in rilievo solo in parte.
Inoltre, volendo entrare nello specifico della normativa europea, come segnalato da Giovanni Manca, nella sezione 11 del regolamento eIDAS, interamente dedicata ai registri elettronici, l’art. 45 terdecies fa espresso riferimento ai “requisiti i registri elettronici qualificati”, com’è appunto il registro di protocollo.
Ciò che, infine, interessa in questa sede è che il registro di protocollo annuale, in quanto non espressamente previsto dal legislatore, non potrebbe essere prodotto in sostituzione degli oltre 300 registri di protocollo giornalieri che le amministrazioni pubbliche sono chiamate a trasferire in conservazione al termine delle rispettive giornate. Detto in altri termini, decorso un termine civilistico di 5 anni, possiamo sostenere la possibilità di eliminare legalmente (cd. “scarto”) tutti i registri di protocollo giornaliero e conservare come prova il registro di protocollo annuale?
Sul punto, sussistono pareri discordanti. Chi scrive, ad esempio, sostiene la possibilità di conservare il registro di protocollo annuale e di eliminare legalmente sia il registro di emergenza sia i registri giornalieri in quanto giuridicamente e diplomatisticamente assorbiti e confluiti nel registro di protocollo annuale. Infatti, i registri di protocollo sono tre: annuale, giornaliero e di emergenza, ma alla fine ne resterà soltanto uno. Esaminiamo insieme la questione.
La diplomatica archivistica
Nel successivo § 1.11 del documento di AgID sulle basi di dati si rinviene un’ulteriore affermazione che merita un commento di sintesi: «Un processo di conservazione dovrebbe prevedere, in prospettiva, non solo di conservare e di produrre copie accurate e autentiche del registro di protocollo, inteso come specifico documento archivistico, ma anche di riprodurre le principali funzionalità del sistema originario, utilizzando il registro di protocollo conservato come elemento di prova della autenticità dei documenti digitali conservati».
Orbene, a livello diplomatistico, non si tratta di copie, ma di esemplari in originale (non certo in copia). Non dimentichiamoci del fatto che, in ambiente digitale, i concetti di originale e di copia sono molto diversi dal mondo tradizionale.
Inoltre, fatto ben più importante, il registro di protocollo non serve a garantire l’autenticità dei documenti digitali conservati. Esaminiamone almeno due ragioni.
In prima istanza, il protocollo è chiamato a registrare qualsiasi documento, anche un falso o una lettera anonima, in base al principio di avalutatività, proprio dell’archivio corrente. Anzi, in caso di falsi, è proprio la registrazione protocollare a essere in grado di avviare un processo di verifica (e di censura) di un falso prodotto mediante illecito. Si tratta, dunque, di una fonte di prova rispetto alla data e alla provenienza, senza ulteriori indagini in capo alla registratura in ordine all’autenticità o alla veridicità.
Ulteriormente, il protocollo non garantisce l’autenticità dei documenti conservati (qui non rileva se digitali o analogici), ma le registrazioni cui si riferiscono in maniera affidabile. Quello che le linee guida AgID sostengono essere l’autenticità, in realtà si tratta del rapporto di univocità tra registrazione e documento registrato, in modo tale da avere la garanzia probatoria che di tratti del documento registrato a protocollo. Dunque, nulla a che spartire con la caratteristica di autenticità, che tratta tematiche a cavallo tra archivistica e diplomatica, le quali devono necessariamente restare integrate, ma ben distinte dalla prospettiva informatica.
Va da sé come non tutto quello che risulta informaticamente possibile è conveniente da un punto di vista giuridico e archivistico. Senza dimenticare il fatto che, in ambiente digitale, archivistica e diplomatica non possono più essere considerate scisse, ma perfettamente integrate nella diplomatica archivistica, già teorizzata da Luciana Duranti alla fine del XX secolo[1].
Il registro di protocollo annuale davvero non esiste più?
Ora, alcune precisazioni sul registro di protocollo annuale. Secondo una corrente di pensiero, non meritevole di acquiescenza scientifica, sembrerebbe che il legislatore, nell’introdurre il registro di protocollo giornaliero (art. 4, comma 2, del DPR 428/1998, poi confluito – con pari formulazione – nell’art. 53, comma 2, del DPR 445/2000) abbia inteso implicitamente eliminare dall’ordinamento il registro annuale, in quanto non previsto espressamente.
In realtà, né le regole asburgiche del 1815 e del 1818 (art. 13), né il RD 35/1900 (art. 23), fanno riferimento esplicito a un registro di protocollo annuale, pur sempre prodotto e conservato da tutti i soggetti produttori. Invece, ne fa riferimento la Circolare Astengo del 1° marzo 1897, n. 17100, art. 4 e art. 10, ma limitatamente ai Comuni[2].
Inoltre, deve essere ricordata ancora la riforma Cavour dell’Amministrazione centrale, contenuta nel RD 23 ottobre1853, n. 1611, con cui fu introdotto il «protocollo generale» la cui «serie dei numeri d’ordine si rinnoverà ogni anno». Anche in questo caso non esiste un riferimento esplicito al registro di protocollo annuale, anche se – con ogni evidenza – si tratta di un precipitato giuridico talmente ovvio da sembrare naturale[3].
In questo senso, con diversa formulazione, il concetto di registro annuale è riferito alla numerazione progressiva, ritenendolo per acquisito, pur con i limiti e le distorsioni che abbiamo esaminato nelle norme intervenute in periodi successivi e con la casistica senza soluzione di continuità protocollare.
In particolare, i regolamenti contenuti nel DPR 428/1998 e nel DPR 445/2000 altro non fanno che riprendere pedissequamente la formulazione della «numerazione annuale» ricavata dal RD 35/1900, il cui contenuto normativo – lapalissianamente – si riferisce parimenti al registro annuale di protocollo, come da prassi e giurisprudenza ormai secolari. La formulazione del secondo paragrafo dell’art. 8 del DPR 428/1998, infatti, sembra ispirata da Cavour: «La numerazione è rinnovata ogni anno solare»[4].
In buona sostanza, se per due secoli (1815-2015) abbiamo asseverato la presenza normativa di un registro di protocollo annuale, perché in presenza di una previsione (peraltro aggiuntiva) di un registro giornaliero dovremmo abrogarne la persistenza e l’uso, laddove nemmeno il legislatore la prevede? Senza tenere in debito conto che tra il XIX e il XX secolo le organizzazioni hanno prodotto registri di protocollo e repertori (di decreti, di delibere, etc.) nei modi più disparati. Chi senza soluzione di continuità fino a un cambio istituzionale, che per anno accademico o scolastico, chi per mandato del Sindaco o del Rettore di un Ateneo, chi addirittura senza mai porsi una data di chiusura, come se ci fosse la distanza da qui all’infinito.
Inoltre, fatto giuridicamente fondamentale, nel caso di quello giornaliero non si tratta di un ulteriore registro (come non lo è quello di emergenza), ma di una raffinata soluzione informatica a garanzia dell’immodificabilità dei contenuti. In tal senso, le singole giornate di registrazione poi devono necessariamente confluire nel mezzo di corredo del registro di protocollo annuale, il quale conserva in maniera affidabile tutte le registrazioni e i legami intervenuti successivamente (modifiche, integrazioni, cambi di natura gestionale, etc.) per una visione orizzontale (annuale) dell’attività amministrativa, che non può essere limitata a una visione verticale (giornaliera).
Il registro di protocollo giornaliero, infatti, è stato introdotto nell’ordinamento italiano dall’art. 4, comma 2, del DPR 428/1998. La novella del 1998 è confluita – con pari formulazione – nell’art. 53, comma 2, del DPR 445/2000: «Il sistema deve consentire la produzione del registro giornaliero di protocollo, costituito dall’elenco delle informazioni inserite con l’operazione di registrazione di protocollo nell’arco di uno stesso giorno»[5].
Per comprendere appieno la natura del registro di protocollo giornaliero dobbiamo risalire alle regole tecniche approvate in vigenza del DPR 428/1998 e rimaste in vigore fino al dicembre 2013. Qui si fa riferimento al DPCM 31 ottobre 2000. Quest’ultimo, in particolare, disponeva all’art. 7, comma 5, che: «Al fine di garantire la non modificabilità delle operazioni di registrazione, il contenuto del registro informatico di protocollo, almeno al termine della giornata lavorativa, deve essere riversato su supporti informatici non riscrivibili e deve essere conservato da soggetto diverso dal responsabile del servizio appositamente nominato da ciascuna amministrazione»[6].
In buona sostanza, il registro di protocollo giornaliero nasce come freno alle modifiche “selvagge” sul registro di protocollo e non certo per sostituire legalmente il registro annuale che qui, come nel 1815, 1848 e 1900, il legislatore dava per implicito e che – ora come allora – il legislatore non ha ritenuto opportuno normare espressamente.
Ulteriormente, con il DPCM 3 dicembre 2013 fu stabilito che «il registro giornaliero di protocollo deve essere trasmesso al Sistema di Conservazione entro la giornata lavorativa successiva»[7].
Le Linee guida di AgID sulla gestione documentale, in vigore dal 1° gennaio 2022, prescrivono quanto segue: «Il registro giornaliero di protocollo è trasmesso entro la giornata lavorativa successiva al sistema di conservazione, garantendone l’immodificabilità del contenuto» e, trattandosi di un documento amministrativo informatico, l’immodificabilità e l’integrità del registro giornaliero di protocollo sono garantite seguendo le prescrizioni previste nel § 2.1 delle medesime Linee guida di AgID[8].
I 18 metadati previsti da AgID con il documento del 1° ottobre 2015 non sono altro che la conseguenza di tale ragionamento.
Uscire dalla logica del mero adempimento
Una chiosa sul rapporto necessità e adempimento. Le norme positive attualmente vigenti in tema di gestione documentale non obbligano l’annotazione del numero degli allegati e la loro descrizione nella registrazione protocollare.
Eppure, seguendo una giurisprudenza costante e l’ovvia considerazione che se un documento reca allegati l’informazione vitale si trova proprio negli allegati, molto opportunamente alcune softwarehouse hanno previsto tra i campi obbligatori della registrazione numero e descrizione degli allegati. Anche l’esercizio del diritto di accesso di estende per legge e per giurisprudenza costante agli allegati e non solo al documento principale (DPR 12 aprile 2006, n. 184, art. 7, comma 2).
Alla stessa stregua, alcune softwarehouse rifiutano di prevedere la produzione del registro di protocollo annuale proprio in base all’asserita assenza di una previsione normativa.
Orbene, se uscissimo dalla logica del merito adempimento, per concentrarci sulla necessità amministrativa, archivistica e storica della produzione del registro di protocollo annuale, che esamineremo nel paragrafo seguente, avremmo fatto un servizio di intelligenza naturale concentrata sull’essenza delle cose.
Detto a margine, anche non esiste una norma che imponga un tracciato normalizzato per la produzione del registro annuale visto soprattutto dalla prospettiva del soggetto conservatore, quanti dati disomogenei finiranno ancora nei nostri archivi in base alla fantasia al potere di tutti i soggetti produttori? A naso, a lume, a caso, almeno la metà degli enti locali italiani ha modalità di versamento in conservazione in base a criteri estemporanei e non corroborati da quel minimo di standard. Anche in questo caso, la norma non lo prevede. Ma quante azioni facciamo in assenza di norme che, invece, garantiscono la conservazione e la sedimentazione corretta dei documenti?
Il registro di protocollo e la ricerca storica
La ricerca storica – al pari della ricerca archivistica – può limitarsi alla consultazione del registro di protocollo giornaliero? La risposta è ampiamente negativa dal momento che, in caso di annullamento o di modifiche seriori di una registrazione, non esiste la diacronia della ricerca, ma soltanto la sincronia di una giornata di registrazioni protocollari, di per sé insufficiente a garantire la visione d’insieme dell’attività amministrativa, qui in visione parcellizzata in circa 300 registri di protocollo giornalieri all’anno.
Nello svolgersi dell’attività amministrativa, infatti, sono modificabili tutti gli elementi gestionali e organizzativi intendendo il cambio, in un esempio non esaustivo, di responsabile del procedimento, della classificazione, della denominazione del fascicolo e altri dati gestionali che, con la visione sincronica del registro di protocollo giornaliero, sarebbero limitati all’evento modificatorio della singola giornata di registrazione. In questo modo, lo storico e l’archivista resterebbero privati della prospettiva sequenziale del flusso amministrativo nella gestione dei documenti.
Il valore del registro annuale è, dunque, imprescindibile per la ricostruzione efficace dell’iter logico-giuridico di un affare, di un’attività o di un procedimento amministrativo. Si tratta di un potente volano legato al dipanarsi e all’evolversi dell’attività amministrativa, la quale certamente non si conclude in un giorno soltanto, ma garantisce la visione d’insieme giuridica e gestionale, in armonia con la natura di questo straordinario mezzo di corredo coevo alla formazione dell’archivio corrente.
Qualche proposta operativa per il futuro
Nel recentissimo webinar organizzato dalla Comunità professionale di Procedamus (in una serie di appuntamenti chiamati “Archivomachia”, cioè confronto archivistico di tesi contrapposte) è emersa la necessità di integrare le linee guida di AgID sulla gestione documentale con un allegato tecnico riferito proprio alla produzione obbligatoria del registro di protocollo annuale.
Tale allegato tecnico, sia detto a margine, sarebbe in ogni caso oltremodo necessario per uscire dalla galassia sconclusionata di soluzioni informatiche tra le migliaia di amministrazioni pubbliche (e non solo), capaci di produrre un documento così fondamentale in tanti modi eterogenei.
Di fronte a una regolamentazione tecnica condivisa, avremmo risultati votati alla normalizzazione e alla semplificazione, per uscire da quel bricolage amministrativo cui siamo ormai abituati.
[1] Duranti Luciana, Diplomatics. New uses for and old Science, London, Society of American Archivists and Association of Canadian Archivists in association of The Scarecrow Press, 1998.
[2] Archivio di Stato di Venezia, Biblioteca legislativa, Istruzioni pel Governo, b. 364 e b. 430. Per un recente commento al testo, G. Penzo Doria Gianni, La gestione documentale sotto l’aquila asburgica (1815 e 1817), «Le carte e la storia», XIX/1 (2022), pp. 133-151. Ministero dell’Interno, Circolare 1° marzo 1897, n. 17100-2, Istruzioni per la tenuta del protocollo e dell’ordinamento degli archivi comunali. Su quest’ultima, rinvio a Dimitri Brunetti, L’archivio comunale dalla Circolare Astengo al 1915. I manuali e i modelli di classificazione, Roma, Ministero della Cultura – Direzione Generale Archivi, 2022 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi, 121)
[3] Regio decreto 15 gennaio 1900, n. 35, Regolamento per gli Uffici di registratura e di archivio nelle diverse Amministrazioni centrali. Con tale norma furono rivedute e ampliate le precedenti disposizioni contenute in Ministero dell’Interno, Circolare 1° giugno 1866, n. 8508, Istruzioni ministeriali per la tenuta del protocollo generale e degli archivi delle prefetture.
[4] DPR 28 dicembre 2000, n. 445, art. 57, comma 1 (Numero di protocollo).
[5] DPR 28 dicembre 2000, n. 445, art. 53 (Registrazione di protocollo). Il successivo art. 61, comma 3, lett. c (Servizio per la gestione informatica dei documenti, dei flussi documentali e degli archivi), prescrive che il servizio «garantisce la corretta produzione e la conservazione del registro giornaliero di protocollo di cui all’articolo 53».
[6] DPCM 31 ottobre 2000, Regole tecniche per il protocollo informatico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 ottobre 1998, n. 428, art. 7, comma 5, Requisiti minimi di sicurezza dei sistemi di protocollo informatico. Per riprendere quanto sostenuto al § 4.1, qui il legislatore non prescrive l’archiviazione del registro giornaliero – non nominato – bensì del contenuto del registro informatico di protocollo, a livello giuridico e diplomatistico cosa ben differenziata.
[7] DPCM 3 dicembre 2013, Regole tecniche per il protocollo informatico ai sensi degli articoli 40bis, 41, 47, 57bis e 71 del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, art. 7, comma 5.
[8] Agenzia per l’Italia digitale, Linee guida su formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici, § 3.1.6. Il provvedimento di AgID – in punto di fatto e in punto di diritto – abbraccia tutte le età dei documenti, dalla formazione alla conservazione, seguendo una visione “olistica” (termine utilizzato da AgID, rectius “archivistica”) del documento informatico.