Scuola e università: formiamo le competenze della PA del futuro
Quali sono le competenze del prossimo futuro, anche legate alle interazioni con l’IA, di cui la PA non potrà fare a meno? Quali azioni bisognerebbe pensare, spingere o promuovere per favorire l’osmosi tra PA e mondo della scuola e dell’università con riferimento a questo nuovo scenario delle competenze? Ne abbiamo parlato in questa intervista con Davide D’Amico, Direttore generale per l’innovazione digitale, la semplificazione e la statistica del Ministero dell’istruzione e del Merito, e Mirta Michilli, Direttrice generale della Fondazione Mondo Digitale
18 Febbraio 2025
Giovanna Stagno
Responsabile Area Gare e Convenzioni FPA

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Questo articolo è tratto dal capitolo “Lavoro pubblico” dell’Annual Report 2024 di FPA (la pubblicazione è disponibile online gratuitamente, previa registrazione
In un contesto come quello odierno, in continua e rapida evoluzione, la Pubblica Amministrazione (PA) si trova ad affrontare il tema delle competenze del futuro per affrontare le sfide legate all’innovazione tecnologica e soprattutto quelle legate all’integrazione dell’intelligenza artificiale nel lavoro pubblico. Se da un lato l’introduzione e l’utilizzo di strumenti innovativi di intelligenza artificiale (IA) rappresentano un’opportunità per migliorare l’efficienza e l’efficacia dei servizi pubblici, dall’altro lato pongono grandi interrogativi e sfide a livello di adeguamento delle competenze dei dipendenti.
Quali sono e dove sono queste competenze? Come svilupparle, promuoverle, potenziarle? Il dibattito sul tema è stato molto acceso nell’ultimo anno: da una parte si è fatto appello a misure e interventi di upskilling e del reskilling, dall’altra ha chiamato fortemente in causa il sistema dell’istruzione scolastica e della formazione universitaria.
L’istruzione scolastica e la formazione universitaria giocano infatti un ruolo fondamentale in questo scenario: sviluppare programmi e percorsi formativi che preparino i professionisti del futuro alle nuove esigenze del mercato del lavoro e alla trasformazione digitale in atto, che interessano tanto il pubblico quanto il privato. Sono oggi in grado però di far fronte a tali cambiamenti? Sono in grado di identificare le aree in cui è necessario agire per garantire un’efficace osmosi tra Pubblica Amministrazione ed educazione scolastica e universitaria?
Ne abbiamo parlato in questa intervista con Davide D’Amico, Direttore generale per l’innovazione digitale, la semplificazione e la statistica del Ministero dell’istruzione e del Merito, e Mirta Michilli, Direttrice generale della Fondazione Mondo Digitale.
Quali, sono a vostro avviso, le competenze del prossimo futuro, anche legate alle interazioni con l’IA, di cui la PA non potrà fare a meno?
Mirta Michilli – Ormai da alcuni anni si parla di AI literacy, come capacità di comprendere le conoscenze e i concetti di fondo delle tecnologie su cui si basa l’intelligenza artificiale, e le competenze d’uso sono state introdotte anche nel quadro europeo DigComp 2.2. Si va verso una codifica progressiva. Credo però siano fondamentali anche le competenze trasversali, come pensiero critico o creatività, ma da abbinare con alcune abilità più complesse, come la familiarità con i dati, anzi, direi con una vera e propria cultura dei dati. La “formula magica” credo sia un mix di pensiero computazionale evoluto, senso di responsabilità e intelligenza emotiva. E ovviamente l’apprendimento permanente orientato all’innovazione continua. Sempre di più conterà la capacità di prendere decisioni complesse in poco tempo, portando a convergere punti di vista diversi. Questo a livello di competenze diffuse. Poi serviranno anche competenze più sofisticate, come la capacità di supervisionare sistemi di IA e affrontare le implicazioni etiche e legali, compresa la valutazione dei rischi, in modo da garantire che l’uso dell’IA sia efficace, trasparente e veramente orientato al servizio pubblico. Ci sarà bisogno anche di persone con spiccate capacità relazionali e comunicative, in grado di divulgare, semplificare e facilitare i processi all’interno della PA e nei servizi ai cittadini.
Davide D’Amico – Nel prossimo futuro, la PA dovrà dotarsi di un mix di competenze trasversali e verticali per affrontare con efficacia le sfide della digitalizzazione avanzata e dell’adozione dell’IA. Le competenze chiave possono essere classificate in tre aree principali:
- Competenze tecniche e digitali: l’alfabetizzazione digitale di base non è più sufficiente. La PA dovrà formare figure in grado di comprendere e gestire tecnologie come intelligenza artificiale, machine learning, analisi dei dati (data analytics) e cybersecurity. Sarà fondamentale saper interagire con algoritmi, interpretare output generati da modelli IA e garantire la sicurezza delle informazioni trattate e il diritto dei dati personali. Figure come i data scientist, gli esperti di intelligenza artificiale e di cyber security diventeranno centrali per guidare l’innovazione.
- Competenze di gestione del cambiamento e di progettazione organizzativa: l’introduzione di nuove tecnologie richiede la capacità di ripensare i processi organizzativi e gestire il cambiamento all’interno delle strutture amministrative. Questo implica competenze di change management, progettazione di servizi centrati sul cittadino (service design) e gestione della collaborazione tra i diversi uffici e Pubbliche Amministrazioni. I leader della PA dovranno essere in grado di guidare team interdisciplinari e promuovere una cultura di apprendimento continuo di flessibilità e di adattabilità.
- Competenze etiche e normative: con la crescente diffusione dell’IA, diventa essenziale comprendere gli aspetti etici e normativi. Ogni funzionario pubblico deve essere in grado di valutare l’impatto delle nuove tecnologie sulla privacy, sulla trasparenza, e sui diritti dei cittadini. Questo richiede conoscenze di ethics by design, dell’impatto socio-tecnologico, oltre ad una comprensione aggiornata del quadro normativo, come il GDPR e le nuove norme europee sull’IA.
Nel complesso, la PA dovrà passare da un approccio tradizionale a un nuovo paradigma basato sull’apprendimento continuo, abilitando competenze tecniche e soft skills, per una maggiore sinergia tra tecnologia e capacità umane, anche al fine di favorire un dialogo più esteso con i partner tecnologici e con il personale delle Pubbliche Amministrazioni.
Quale ruolo giocano l’istruzione scolastica e la formazione universitaria, in questo complesso contesto? Sono all’altezza di questa trasformazione? Su cosa possono fare leva e di cosa invece hanno bisogno?
Mirta Michilli – Scuola e università giocano un ruolo chiave, perché sono l’infrastruttura culturale e sociale che garantisce processi inclusivi. Sono il motore di trasmissione, la forza propulsiva anche in grado di accelerare i processi di cambiamento. Potenzialmente non solo sono all’altezza, nel senso di essere “adeguate”, ma sono anche in grado di esprimere alti livelli di eccellenza. Purtroppo, in Italia sono anche un “sistema rigido”. E manca un reale investimento sull’istruzione e sulla formazione: è il nostro “male storico” come Paese. Basti pensare alla banalizzazione del racconto sulla scuola nei media generalisti e alla cattiva politica, con una continua alternanza di ministri che rende di fatto impossibile una vera governance dell’istruzione per il bene comune. Bisogna investire sul rinnovamento dei curricula, sul superamento delle varie disparità (territoriali, di accesso ecc.), sull’innovazione incrementale, creando contesti facilitanti per la sperimentazione didattica e l’aggiornamento continuo dei docenti.
Funziona la collaborazione pubblico-privato e soprattutto funzionano le sinergie progettuali con il terzo settore, ma continuiamo a fare da “tappabuchi”, rincorrendo le emergenze (dispersione, povertà educativa ecc.), senza un investimento sistemico, economico e sociale, per il paese.
Davide D’Amico – L’istruzione scolastica e la formazione universitaria rivestono un ruolo fondamentale nella preparazione del capitale culturale e professionale per affrontare il futuro del lavoro, ma si trovano di fronte a una sfida cruciale in cui è importante ridurre il gap tra il ritmo accelerato dell’innovazione tecnologica e la lentezza con cui i sistemi educativi tendono ad adattarsi. Sebbene molte istituzioni scolastiche e universitarie stiano integrando elementi digitali e promuovendo la diffusione di competenze STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), vi sono ancora margini significativi di miglioramento in termini di contenuti, metodi e strumenti di insegnamento.
Vi sono tuttavia alcuni punti importanti da sottolineare. Le università hanno una lunga tradizione nell’offrire un quadro critico e teorico sulle discipline emergenti. Questo bagaglio può essere sfruttato per formare giovani e professionisti in maniera più solida, con una combinazione di teoria e pratica, inserendo moduli dedicati all’IA, alla programmazione, e all’analisi dei dati in percorsi formativi multidisciplinari. Inoltre, le università hanno il potenziale di promuovere la ricerca su tematiche emergenti, facilitando lo sviluppo di competenze avanzate e specialistiche.
Tuttavia, i curricoli spesso non riescono a stare al passo con i cambiamenti rapidi della tecnologia. Esiste una forte esigenza di aggiornamento dei programmi, che dovrebbero essere più flessibili e orientati all’integrazione di nuovi strumenti e metodologie. C’è bisogno di un maggiore raccordo tra università, aziende e PA, affinché i percorsi formativi rispondano concretamente alle necessità del mercato del lavoro e della società.
Per rispondere al bisogno di trasformazione, è necessario rafforzare la formazione continua e l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita (lifelong learning), oltre a promuovere l’educazione all’imprenditorialità e al problem solving complesso. L’università deve diventare un laboratorio aperto di innovazione, dove si sperimentano soluzioni reali, e dove le partnership con enti pubblici e privati possano generare un impatto tangibile sul territorio. Infine, l’istruzione scolastica, già dai primi anni, deve investire maggiormente su metodologie didattiche che stimolino il pensiero critico, la creatività e la capacità di collaborazione. È importante puntare sull’integrazione del digitale nelle discipline attraverso metodologie didattiche innovative e inclusive.
Quali azioni a vostro avviso bisognerebbe pensare, spingere o promuovere per favorire l’osmosi tra PA e mondo della scuola e dell’università con riferimento a questo nuovo scenario delle competenze?
Mirta Michilli – È fondamentale sviluppare partenariati trasversali e strutturati tra scuole, università, imprese e Pubblica Amministrazione, proprio come stiamo facendo con i nostri progetti di innovazione sociale alla Fondazione Mondo Digitale. Un esempio concreto è la RomeCup, che funge da piattaforma per diversi progetti congiunti per costruire un ecosistema innovativo centrato su robotica e intelligenza artificiale. Tuttavia, gestire progetti personalizzati e su misura per ciascun partner e territorio risulta complesso e poco scalabile. Ciò di cui abbiamo davvero bisogno è un investimento centralizzato che permetta di implementare su scala nazionale uno o più modelli, già validati, che abbiano dimostrato efficacia e sostenibilità. Solo così potremo realizzare un impatto sistemico e duraturo.
Teniamo presente che stiamo correndo un grosso rischio: ci stiamo concentrando solo sull’intelligenza artificiale generativa, ma ci sono altre tipologie di intelligenze che se non padroneggiate e governate per tempo possono risultare molto più insidiose per il servizio pubblico.
Davide D’Amico – Per promuovere un’effettiva osmosi tra la Pubblica Amministrazione, la scuola e l’università, è necessario costruire un ecosistema collaborativo che superi le barriere istituzionali e favorisca lo scambio bidirezionale di conoscenze e competenze. Alcune azioni concrete che potrebbero essere introdotte includono:
- implementazione di hub e laboratori condivisi: la costituzione di hub di innovazione congiunti, dove PA, università e scuole possano collaborare su progetti concreti. Questi spazi, sia fisici che virtuali, dovrebbero essere focalizzati sulla sperimentazione di nuove tecnologie, sulla co-progettazione di soluzioni digitali e sulla condivisione delle best practices. Laboratori di data analysis, applicazioni IA per la gestione pubblica e piattaforme di apprendimento condivise sono esempi concreti di iniziative che possono generare valore.
- programmi di formazione congiunti e scambi di competenze: introdurre programmi di formazione continua, workshop tematici e scambi di competenze tra PA e università consentirebbe una crescita condivisa. Ad esempio, docenti universitari ed esperti di IA potrebbero offrire corsi specializzati per i dipendenti pubblici, mentre i funzionari della PA potrebbero fornire casi di studio e necessità operative per orientare progetti universitari di ricerca. Questo tipo di collaborazione alimenterebbe una crescita professionale reciproca e un costante aggiornamento delle conoscenze.
- promozione della cultura dell’innovazione e del digitale: per favorire una mentalità di apertura all’innovazione, la PA dovrebbe promuovere una cultura del cambiamento attraverso la comunicazione e la valorizzazione delle buone pratiche. Premi, riconoscimenti e incentivi alla collaborazione tra enti pubblici e mondo accademico possono essere strumenti utili a tale scopo.
Queste azioni potrebbero contribuire ad una interazione più fluida tra PA, istituzioni scolastiche e universitarie favorendo anche le condizioni per uno sviluppo integrato e sostenibile delle competenze per affrontare le sfide future che ci attendono.