Codice Appalti, Aniem: “Quattro soluzioni perché non sia rivoluzione mancata”

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Il nuovo Codice è un significativo passo in avanti verso la strada della trasparenza, della semplificazione, della qualificazione del sistema imprenditoriale e della Pubblica Amministrazione. Occorre tuttavia rafforzare alcuni elementi fondamentali senza i quali la riforma rischia di perdere incisività: ecco quali

24 Ottobre 2016

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Dino Piacentini, presidente Aniem

Il Codice Appalti, dal nostro sistema associativo e durante la lunga discussione in questi anni, è sempre stato percepito come un elemento di innovazione in un sistema che per troppi anni è stato caratterizzato da evidenti elementi distorsivi. Siamo infatti convinti che le innovazioni ed i cambiamenti, più intervengono su elementi strutturali, più richiedano tempi di metabolizzazione. Ed è evidente, nonché prevedibile, che una riforma che ha rotto con il passato, rimuovendo antichi vizi, abbia un impatto forte e richieda tempi di assimilazione da parte degli operatori.

Questo quindi a sgombrare il campo dal fatto che siamo oggi, ancor di più se possibile, convinti che il nuovo Codice rappresenta un significativo passo in avanti verso la strada della trasparenza, della semplificazione, della qualificazione del sistema imprenditoriale e della Pubblica Amministrazione.

Occorre tuttavia rafforzare alcuni elementi fondamentali senza i quali la riforma rischia di perdere incisività.

Riteniamo, in particolare, che il ricorso ai commissari esterni per l’aggiudicazione dei lavori debba essere esteso anche agli appalti sotto soglia che rappresentano circa il 90% del mercato.

Così come occorrerà tradurre in linee applicative coerenti tutti quei principi inseriti nel Codice che sembrano finalmente andare verso una selezione del sistema imprenditoriale attenta a verificare la storia comportamentale delle aziende, la loro affidabilità contrattuale, il loro curriculum, la reale capacità operativa in termini di attrezzature, figure professionali, esperienze maturate, il loro grado di litigiosità nei confronti delle committenti pubbliche.

L’Aniem, infatti, da anni sostiene la necessità di introdurre un sistema che preveda la valorizzazione dell’“ affidabilità contrattuale delle imprese ”, e che consenta alle stazioni appaltanti di poter conoscere i possibili contraenti anche sotto profili diversi da quelli sino ad oggi considerati.

Il Rating di affidabilità contrattuale delle imprese, così come Aniem l’ha proposto anche in audizione all’Anac diviene uno strumento volto a consentire a chi deve affidare i lavori, di sapere chi sta scegliendo davvero, valorizzando il “track-record” delle imprese dal punto di vista del rispetto degli impegni contrattuali assunti in sede di offerta (tempi di esecuzione, prezzo, progetto accettato e quindi senza che vi sia l’introduzione di varianti), sia con riguardo al grado di litigiosità (riserve, contenzioso giudiziale e non).

Seppure allo stato attuale della normativa, è previsto che il Rating di affidabilità contrattuale venga in rilievo solo al momento della qualificazione delle imprese, si ritiene che tale sistema possa trovare migliore applicazione ed ottenere nel tempo un reale miglioramento della gestione dei contratti, applicandolo in sede di valutazione delle offerte.

Aniem pertanto chiede, in sede di decreto correttivo, di rendere i requisiti reputazionali elementi premianti anche in fase di aggiudicazione.

Analogamente, auspichiamo che il nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti favorisca una maggiore capacità progettuale (la progettazione esecutiva è l’ulteriore pilastro sul quale si fonda questa riforma) e di gestione delle procedure di affidamento dei lavori, soprattutto per quegli appalti che per natura dimensionale e complessità operativa richiedono competenze strutturate che non possono essere sostenibili da comuni di piccole dimensioni.

Una riflessione più ampia, al contempo, si impone sulla necessità di incentivare forme di aggregazione strutturata: questa resta una priorità assoluta per il nostro Paese, caratterizzato, come noto, da una diffusa presenza di micro, piccole e medie aziende. Il nuovo Codice introduce elementi potenzialmente stimolanti, ma permangono alcuni limiti che necessitano di interventi chiarificatori ed in grado di liberare ulteriori potenzialità.

Il contratto di rete, in particolare, può costituire uno strumento di forte impatto se messo in condizione di coglierne le opportunità insite nell’istituto. Deve essere uno strumento legittimato ad intervenire nella fase esecutiva dell’appalto, anche quale soggetto contrattualmente legato a operatori affidatari di appalti come i consorzi stabili.

Ciò consentirebbe di creare “sistemi” di aggregazione strutturata disincentivando i subappalti ed i subaffidamenti che forniscono certamente minori garanzie all’ente appaltante oltre a rallentare le potenzialità di crescita del sistema.

Uno strumento, dunque, che realizza la massima flessibilità imprenditoriale, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, nel rispetto di determinati e imprescindibili vincoli imposti dalla normativa sui lavori pubblici; le stazioni appaltanti, naturalmente, sarebbero garantite dalla responsabilità solidale, dall’acquisizione preventiva del contratto di rete e dalla verifica della qualificazione delle imprese coinvolte.

Nel perseguimento dell’obiettivo di promozione delle pmi delineato anche dalle direttive dell’Unione Europea, si evidenzia inoltre la necessità di interventi nella disciplina dei consorzi stabili, che possano consentirne una piena competitività anche in campo internazionale.

In particolare, è necessario far emergere la valenza politico-industriale del consorzio stabile quale figura permanente e strutturata di aggregazione di pmi, per favorirne la competitività in un sistema peculiare come il nostro, fortemente penalizzato nelle sue potenzialità rispetto ad analoghi sistemi imprenditoriali di altri Paesi. A livello internazionale non sempre c’è tale esatta percezione, e i consorzi stabili vengono spesso considerati semplici joint venture, con conseguente penalizzazione nella valutazione dei requisiti di partecipazione alle gare.

Invero, la figura giuridica del consorzio stabile, introdotta con la Legge Merloni, resta tipicizzata e riconosciuta solo nel nostro ordinamento, trovando difficoltà in sede internazionale nel momento in cui deve presentare i propri requisiti che non vengono riconosciuti come riconducibili unitariamente al consorzio, bensì alle singole imprese, equiparandone sostanzialmente gli effetti a quelli dei raggruppamenti temporanei e vanificando le potenzialità dell’aggregazione consortile.

Il tema assume particolare rilevanza per i bilanci aggregati che, allo stato attuale, sono di impossibile riconoscimento sull’estero, e per i quali, esemplificativamente, si potrebbe prevedere l’utilizzo di certificazioni di bilancio appositamente studiate, o strumenti di deposito presso enti accreditati (quantomeno a livello europeo).

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