Domicilio digitale, tre complicazioni inutili nel nuovo CAD

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Tra i dubbi sollevati in merito alla nuova normativa, anche quello che il domicilio speciale di cui all’art. 47 possa essere anche un servizio differente dal domicilio digitale, che non consenta la prova dell’avvenuta ricezione di una comunicazione o del tempo di ricezione

29 Febbraio 2016

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Valentina Carollo, avvocato

Nello schema di Decreto Legislativo di modifica del CAD troviamo alcune previsioni normative che incidono sulle notificazioni e comunicazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale.

Il domicilio digitale sarà, infatti, indicato nell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente, un Pubblico Elenco valido per le notificazioni e comunicazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale al pari del Registro Imprese, del ReGIndE (professionisti iscritti agli albi e non), dell’INI-PEC (dove convogliano gli indirizzi del Registro Imprese e degli Ordini professionali) e del Registro delle PA (Registro PPAA) di cui all’art 16, co. 12 del DL 179/2012 (che ha sostituito l’IPA per le notificazioni e comunicazioni – modifica introdotta dal DL 90/2014, convertito dalla L. 114/2014).

Appare senz’altro inopportuno, a parere di chi scrive, che la novella normativa preveda che il domicilio speciale di cui all’art. 47 c.c. possa essere anche un servizio differente dal domicilio digitale che non consenta la prova dell’avvenuta ricezione di una comunicazione o del tempo di ricezione. L’elezione di domicilio ex art. 47 c.c. consente alle persone fisiche e giuridiche di eleggere un domicilio per un determinato atto/affare (si pensi ai contratti o alla rappresentanza in giudizio) e produce effetti di carattere sostanziale (istituisce il luogo dove devono essere comunicati, notificati ed effettuati gli atti) nonché processuale (variazione della competenza territoriale). Pertanto l’elezione di domicilio ex art. 47 c.c. deve possedere le medesime garanzie del domicilio digitale.

Appare, inoltre, assurda la differenziazione del domicilio digitale prevista per i professionisti. L’attuale formulazione normativa contenuta nello schema di D.Lgs. prevede, infatti, che solo i professionisti che al 31/12/2017 non abbiano provveduto ad indicare un domicilio digitale al proprio Comune di Residenza (che verrà associato al professionista nell’ANPR) vedranno inserito in automatico quale domicilio digitale il proprio indirizzo PEC risultante dal Pubblico Elenco INI-PEC. Questo implica che il professionista che intenda attivare un domicilio digitale entro la data del 31/12/2017 si troverà nella disponibilità di due differenti domicili: il primo derivante dalla propria PEC già posseduta e presente nell’INI-PEC; il secondo dalla attivazione del domicilio digitale da includere nell’ANPR. Si potrebbe, pertanto, realizzare una differenziazione pericolosa (tra persona fisica in quanto cittadino e persona fisica quale professionista) che può incidere sull’ordine dei luoghi della notifica ex art. 139 c.p.c..

Si segnala, inoltre, che l’INI-PEC è un Registro Pubblico la cui consultazione è affidata al Ministero dello Sviluppo Economico che lo gestisce tramite Infocamere S.C.p.A.. Tuttavia tale indirizzario “esclude qualsiasi garanzia in merito alla correttezza e validità temporale degli indirizzi PEC ivi contenuti” come da dicitura riportata dallo stesso sito www.inipec.gov.it. Seguiranno la stessa sorte gli indirizzi presenti nell’ANPR? Appare opportuno definire meglio la validità degli indirizzi presenti nell’INI-PEC eliminando quella dicitura, oppure individuare un registro maggiormente garantito come il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE), gestito dal Ministero della Giustizia ex art. 7 DM 44/2011, il quale contiene l’indirizzo di posta elettronica certificata dei soggetti “abilitati esterni” (tra cui tutti i professionisti iscritti ad un albo e anche quelli che, seppur non iscritti ad un albo, hanno comunicato l’indirizzo al Ministero della Giustizia per interagire col Processo Telematico), con indirizzi PEC costantemente controllati e aggiornati dai relativi Ordini professionali o dal Ministero della Giustizia.

Lo schema di Decreto Legislativo di modifica del CAD prevede, inoltre (all’art. 7, co. 2, che introduce nel CAD il nuovo art. 6 ter), la creazione di un nuovo indice degli indirizzi delle Pubbliche Amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi il quale allo stato attuale, in assenza di apposita normativa, non può essere considerato un Pubblico Elenco ai fini delle comunicazioni e delle notificazioni degli atti. Il registro sarà curato da AgID che potrà popolarlo attingendo da altri indirizzari. Questa novità, se opportunamente modificata, può senz’altro rappresentare un’occasione per un riordino della materia. Qualificare in modo standard e omogeneo i vari indirizzi PEC, attraverso l’obbligo per la PA di dotarsi di un unico indirizzo PEC (come peraltro già avviene per il protocollo), eventualmente differenziato per le notificazioni, supera la problematica del mancato popolamento del Registro PPAA (ad oggi poco più del 50% delle PA ha comunicato un indirizzo PEC per le comunicazioni e notificazioni e mancano anche amministrazioni centrali come l’INPS) e fornisce senz’altro certezza.

Perché allora non comprendere nel nuovo elenco tutti i soggetti e unificare i Pubblici Elenchi? Ciò semplificherebbe moltissimo la materia anche rispetto ad altri adempimenti digitali, come, ad esempio, la fattura elettronica tra privati ex D.Lgs. 127/2015.

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