I civic entrepreneurs e l’open government in formato local
Per una strana sindrome delle parole può succedere che un’espressione, proprio quando prende piede, inizi ad aleggiare nei discorsi fino quasi a rarefarsi…con il risultato che, pur usata da tanti, non si capisce bene dove e come diventi pratica. Mentre l’”open government” comincia a correre il rischio, dalla Gran Bretagna della Big Society arriva un modello che sembra far "atterrare" nei territori questo approccio di governo, sostenendo una figura chiave che per definizione " non è pubblica né privata né sociale". Parliamo dei civic entrepreneurs, dei “Bill Gates e Steve Jobs della Big society”, di quelli che creano interfacce attraverso cui i cittadini possono partecipare, innovare e co-creare con facilità. Ne ha parlato Nat Wei, UK Government Chief Adviser on Big Society, recentemente a Roma.
8 Marzo 2011
Chiara Buongiovanni
Per una strana sindrome delle parole può succedere che un’espressione, proprio quando prende piede, inizi ad aleggiare nei discorsi fino quasi a rarefarsi…con il risultato che, pur usata da tanti, non si capisce bene dove e come diventi pratica. Mentre l’”open government” comincia a correre il rischio, dalla Gran Bretagna della Big Society arriva un modello che sembra far "atterrare" nei territori questo approccio di governo, sostenendo una figura chiave che per definizione " non è pubblica né privata né sociale". Parliamo dei civic entrepreneurs, dei “Bill Gates e Steve Jobs della Big society”, di quelli che creano interfacce attraverso cui i cittadini possono partecipare, innovare e co-creare con facilità. Ne ha parlato Nat Wei, UK Government Chief Adviser on Big Society, recentemente a Roma.
"I civic entrepreneurs (letteralmente imprenditori civici) possono provenire dal settore privato, dal settore pubblico come dal sociale, ma ciò che li accomuna è l’interesse a facilitare la partecipazione degli altri cittadini ai processi di trasformazione e miglioramento delle proprie comunità". In altre parole i civic entreprenuers sono "coloro che creano le interfacce che permettono agli altri di partecipare e impegnarsi con facilità. Se volete, sono i Bill Gates e gli Steve Jobs della Big Society." Così Nat Wei, Consigliere Capo del Governo Cameron in materia di Big Society, ha parlato di questa figura chiave nei processi di costruzione di comunità attive e responsabili. Lo abbiamo "ripreso" nel corso del convegno "Progetto Big Society: una grande opportunità per la società civile", ospitato dalla Fondazione Roma lo scorso 24 febbraio a Roma.
Per contestualizzare, va brevemente riportato che nel suo ricco intervento Wei ha spiegato le fasi e gli elementi del Programma del governo inglese per dare forma alla visione della Big Society promessa da Cameron. In sintesi, spiegava che sono tre i livelli di azione su cui il governo è impegnato: facilitare l’empowerment di cittadini e comunità, attraverso policies e programmi (finanziari e non solo); sostenere gli imprenditori civici (civic entrepreneurs), cioè quelli che, attraverso l’ideazione e la realizzazione di piattaforme tecnologiche e non, rendono più facile per gli altri cittadini impegnarsi nella Big Society; agevolare un cambiamento radicale di cultura attraverso azioni dirette e attraverso i media.
E’ sul secondo punto – il sostegno agli imprenditori civici e le sue motivazioni – che ci soffermiamo, riportando l’estratto video dell’intervento e la sua traduzione.
“In materia di Big society, è stato avviato un vero e proprio programma legislativo e le policy in corso sono molteplici. Ma quello in cui ci stiamo imbarcando ora, precisamente nei prossimi 6 – 12 mesi, è una cosa diversa, è quello che definiamo lo stadio successivo.
Ci rendiamo conto che, in aggiunta agli elementi precedenti, abbiamo bisogno di questa figura che chiamerei “civic entrepreneur”, sviluppando ulteriormente la figura del “social entrepreneur”, che opera appunto nel settore sociale. I civic entrepreneurs possono provenire dal settore privato come da quello pubblico o sociale, ma l’elemento che li caratterizza è quello di cui si interessano, ovvero rendere possibile agli altri cittadini di impegnarsi nella trasformazione di aspetti importanti della loro vita, in campi come l’educazione e la salute. E di farlo con facilità, cogliendo appieno le opportunità messe in campo dalle nuove tecnologie.
Se volete questi saranno i Bill Gates, gli Steve Jobs della Big Society. Coloro che prendono processi e percorsi di elaborazione molto complicati e li trasformano in interfacce che fanno si che sia molto facile per le persone prendere parte attivamente e impegnarsi in maniera diretta, cogliendo le opportunità a disposizione di tutti. Sono quelli che creano Windows, cioè sistemi operativi, quelli che creano l’ipad, l’iphone, cioè mezzi attraverso cui i cittadini possono interagire con efficacia.
Sapete, controllare il proprio quartiere è un processo abbastanza complicato… il punto è: come lo rendiamo più semplice per i cittadini? I civic entrepreneurs hanno la capacità, se li supportiamo, di creare piattaforme che facilitino l’intero processo.
L’imprenditore civico non è per forza un tecnologo, ma queste iniziative possono partire da persone che vengono dal mondo delle aziende così come da organizzatori e animatori di comunità, cioè da quelli che “costruiscono” movimenti on line e off line. La categoria del civic entrepreneur include quanti riescono a immaginare e a implementare uno strumento attraverso cui i cittadini possano passare all’azione. In questo senso l’imprenditoria civica riguarda, per fare un esempio concreto, quei gruppi che prendono il controllo sul parco locale o sull’ufficio postale in dismissione e lo trasformano in un community hub, in cui fanno in modo che il pubblico, i volontari e gli altri servizi siano collocati nello stesso posto. Il nodo cruciale è che i civic entrepreneurs “aprono” le soluzioni che individuano e le mettono on line così che ogni altra comunità che vuole farlo può usare il modello, la piattaforma.
Quello di cui parlo è un fenomeno di natura sociale e culturale e le persone che lo faranno accadere sono i civic entrepreneurs, non i politici.
Voglio fare alcuni piccoli esempi di cosa questo nuovo approccio produca, per capire chi sono i civic entrepreneurs e cosa possono offrire le piattaforme che creano .
Iniziamo con la Good Gym (Goodgym.org – Be good, be fit), una social venture che a Londra (East London) ha sviluppato un modello molto interessante. Sfruttando il potenziale di internet, attraverso un blog e di volta di volta attraverso diversi strumenti, fa si che le persone interagiscano tra loro e prenotino la sessione di ginnastica, a partire dalla condivisione di una proposta di base che in sintesi è la seguente: “invece di fare sport in una palestra, in locale privato-commerciale, fallo nella comunità”. Cosi succede che, due o tre volte a settimana, un gruppo di giovani e meno giovani si incontra in una località stabilita per fare jogging insieme e poi per fare qualche attività a servizio della comunità, che sia, per esempio, di sostegno alle associazioni di volontariato o alle scuole locali. Dal trasporto di materiali ai lavori di manutenzione, fanno attività fisica e al tempo stesso si “mescolano" socialmente. Creano un senso di comunità in un’area locale.
E in più usano la tecnologia. Queste non sono persone che devono iscriversi e andare settimanalmente a fare del volontariato quasi in modalità “religiosa”, ma lo fanno come un assembramento diverso di volta in volta (modalità crowd), come un gruppo di persone che si trovano insieme quando gli conviene.
Questa è una piattaforma che rende più facile per loro fare esercizio fisico e, nel frattempo, trasformare la società in una più grande comunità “in costruzione”. La cosa interessante è che iniziative come Good Gym sono ibridi. Non si può dire che sia un’attività pura di volontariato così come non è un’attività commerciale pura né puramente un’iniziativa del governo: è una formula inventata dal civic entrepreneur che adesso sta mettendo il modello in franchising e lo sta espandendo sul territorio britannico, utilizzando i finanziamenti della Big Bank.
Un’altra iniziativa che voglio segnalare è la piattaforma police.uk, in cui rilasciamo i dati sui crimini commessi nelle diverse località, usando google maps. Come si può vedere navigando, le persone possono caricare video sulle zone di loro interesse e, cosa fondamentale, c’è una sezione dedicata ai dati, dove rendiamo disponibili i dati in formato aperto, per far sì che gli sviluppatori di software possano accedere ai dati e usarli, creando application per iphone, mobile e altri dispositivi. L’intento è far sì che le informazioni possano essere usate e trasformate in visualizzazioni, in application utili su base locale o in qualsiasi altro tipo di invenzione…Il punto impressionante è che non possiamo prevedere quante e quali possibilità ci sono di rendere questi dati, molto complicati e complessi, usabili dai cittadini nelle proprie comunità locali. E naturalmente la possibilità di mettere i cittadini nella condizione di innovare, di accedere ai dati e di farne mash-up esiste in ogni settore: dalla salute all’educazione alla giustizia. Questa, se volete, è una rivoluzione vera e propria nell’utilizzo dell’ICT e, ovviamente, vogliamo fare in modo che chi attualmente non è on line sarà messo in condizione di prendervi parte”.