Mind in Italy: la Lombardia sostiene la ricerca contro la fuga dei cervelli
Cnr e Regione Lombardia hanno presentato l’iniziativa Mind in Italy, pensata per offrire prospettive di lavoro ai migliori "cervelli" delle Università lombarde, e offrire nuove prospettive di lavoro ai laureati e diplomati di Istituti tecnici o scientifici superiori.
13 Ottobre 2008
Cnr e Regione Lombardia hanno presentato l’iniziativa Mind in Italy, pensata per offrire prospettive di lavoro ai migliori "cervelli" delle Università lombarde, e offrire nuove prospettive di lavoro ai laureati e diplomati di Istituti tecnici o scientifici superiori.
Sono 64 contratti a tempo determinato, 43 assegni di ricerca, 5 dottorati e 30 borse master in Ricerca Industriale. Questi i numeri di Mind in Italy.
L’Accordo Quadro sottoscritto dal Cnr e dalla Regione Lombardia prevede l’attuazione di 4 progetti di ricerca per complessivi 40 milioni di euro, in altrettanti settori:
- nuove tecnologie e strumenti per l’efficienza energetica e l’utilizzo delle fonti rinnovabili negli usi finali civili (34 posti);
- risorse biologiche e tecnologie innovative per lo sviluppo sostenibile del sistema agro-alimentare (21 posti);
- processi high-tech e prodotti orientati al consumatore per la competitività del manifatturiero lombardo (59 posti);
- nanoscienze per materiali e applicazioni biomediche (28 posti).
Nonostante la crescita registrata, l’Italia impiega nel settore della ricerca un numero di risorse umane ancora basso (110.595 unità), con un rapporto, rispetto al totale della forza lavoro, di circa mezzo ricercatore ogni 1.000 unità. Nel contesto internazionale significa che l’Italia occupa il penultimo posto dopo Finlandia (2,229 ricercatori ogni 1.000 unità), Svezia (1,623), Danimarca (1,481) e Giappone (1,349). “I dati mostrano, d’altro canto, che le risorse pro-capite conquistate in Europa dai ricercatori italiani sono decisamente superiori a quelle della media europea – ha affermato Luciano Maiani, presidente dell’ente – e indicano quindi che il problema è nella consistenza numerica dei ricercatori in Italia piuttosto che nella qualità”.