Città Smart e città verde: una relazione possibile

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Quando parliamo di “città verde” possiamo riferirci alla percezione che se ne ricava sorvolandola con un aereo, grazie ad un’equa distribuzione tra parti grigie (costruito) e parti vegetali (campagna urbana, aree fluviali, spazi verdi pubblici e privati). Partendo da questa semplificazione possiamo poi introdurre diversi concetti: “città ecosistemica”, cioè una città in cui è valutata in termini di ricchezza la biodiversità animale e vegetale presente nel territorio urbano; “città ospitale”, intesa come città a misura d’uomo (su questo criterio gli interrogativi e i parametri di valutazione sono molto diversi e partono da punti di vista molto distanti); “cittadinanza con il verde”, cioè la possibilità di vivere con la necessaria presenza di uno spazio aperto capace di suscitare la memoria di un luogo fertile, agreste, felice. Ma per essere smart una città dev’essere necessariamente verde? Ecco il quesito di fondo. 

1 Febbraio 2013

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Stefano Mengoli*

Quando parliamo di “città verde” possiamo riferirci alla percezione che se ne ricava sorvolandola con un aereo, grazie ad un’equa distribuzione tra parti grigie (costruito) e parti vegetali (campagna urbana, aree fluviali, spazi verdi pubblici e privati). Partendo da questa semplificazione possiamo poi introdurre diversi concetti: “città ecosistemica”, cioè una città in cui è valutata in termini di ricchezza la biodiversità animale e vegetale presente nel territorio urbano; “città ospitale”, intesa come città a misura d’uomo (su questo criterio gli interrogativi e i parametri di valutazione sono molto diversi e partono da punti di vista molto distanti); “cittadinanza con il verde”, cioè la possibilità di vivere con la necessaria presenza di uno spazio aperto capace di suscitare la memoria di un luogo fertile, agreste, felice. Ma per essere smart una città dev’essere necessariamente verde? Ecco il quesito di fondo. 

La città italiana ci ha abituato ad una progressiva e costante crescita della percezione di fattori quali gli inquinanti, l’afa e la calura estive, l’umidità invernale, la cappa di smog, la ridotta o elusa percezione del firmamento stellare. Questo status si deve collegare all’inurbamento attuato senza meccanismi compensatori. Sopratutto negli ultimi venti-trenta anni, la disciplina urbanistica ha consolidato una politica immobiliare incentrata più sulla qualità dell’immobile che sul trattamento dello spazio aperto. Una politica poco attenta, perché non “visionaria”, a quegli scenari e a quei mutamenti che sono stati poi introdotti con la certificazione energetica degli edifici e che stanno profondamente modificando la prospettiva di investimento del mercato immobiliare. In particolare, oggi la qualità ambientale dell’intervento appare anche come una valvola di salvataggio in un contesto di profonda crisi del settore.

E’ difficile capire perché non si sia provveduto prima. Si dovrebbe spiegare ai cittadini confusi quali sono i motivi originari che inducono oggi a chiusure del traffico o a targhe alterne anche in piccole città di provincia o in comuni-sobborghi di aree metropolitane lontani dai capoluoghi (scoprendo de facto che sono divenuti abitanti di un’estesa periferia urbana); e spiegare perché il loro immobile perde progressivamente di valore in parallelo allo scadimento della qualità ambientale del luogo in cui si colloca. 

La cultura della qualità dello spazio aperto in Italia è stata storicamente combinata alle piazze rinascimentali – tanto la campagna era bella e a portata di mano – e si è poi successivamente tradotta ed integrata con la presenza del giardino pubblico. Lungo lo stivale si sono susseguite, in poco più di un secolo, forme diverse e nomenclature diverse (es. la villa comunale, il giardino di quartiere, il giardino scolastico, il parco sportivo). Ma, a differenza della piazza, il giardino pubblico ha sempre sofferto di un isolamento rispetto al tessuto urbano, una sorta di enclave il cui perimetro è stato delimitato con barriere di diverse forme e spessore, quasi a significare che la natura fa paura e perciò è necessario ghettizzarla: il giardino dev’essere chiuso, perimetrato rispetto al resto della città e fruito accedendovi da pochi e ben definiti punti. Questo approccio non tiene conto del concetto di “architettura verde” della città, che andrebbe  ad alimentare una memoria storica e un modo passato di usare lo spazio aperto, saldando e articolando al tessuto urbano forme distinte di verde che ne rappresentano una diversità (anche biologica), Alberature, parterre, pergolati, boschi e boschetti, non sono solo tipi di verde inseriti nella città, ma sono anche beni collettivi, sono memoria del luogo e patrimonio economico della città. 

Pochi amministratori sono consapevoli del fatto che devono amministrare un ingente patrimonio in verde pubblico, la maggior parte di loro ignora che esiste una tradizione architettonica verde della città e che è necessaria una politica gestionale efficace per mantenerla. Assai di rado si riscontrano in Italia le riletture delle politiche di urbanistica verde (in lett. anglosassone, green urbanism) che hanno movimentato le principali città europee oggi rinomate per la qualità della vita e il benessere percepito che esprimono. È vero che il motore del rinnovamento urbano è spesso stato un grande evento storico, ma questo ha rappresentato un viatico che in molti casi non ha subito interruzioni. Così la rivoluzione industriale ha indotto a pianificare la Londra di oggi, città di parchi e giardini, conseguita con lo sviluppo dell’ideologia green cities e delle green belt periferiche. In altri casi la ricostruzione post bellica ha sviluppato il tema dei parchi sportivi a dimensione di quartiere alternati alla valorizzazione del territorio inurbato e ad una fitta trama di verde storico, motore altresì della mobilità urbana in bici (Monaco di Baviera). Gli investimenti per attrezzare la città ad ospitare uno dei più grandi eventi sportivi, le Olimpiadi, hanno favorito altre volte il restyling urbano in una chiave sociale e più vicina ai nuovi modi di spostarsi e usare la città, potenziando la tradizione di passeggiare spostandosi tra gli spazi verdi (Barcellona). L’episodio italiano più significativo è senz’altro quello della città di Torino, dove la crisi industriale della Fiat ha portato alla spettacolare trasformazione, iniziata nel 1991, che vede la città oggi profondamente rinnovata in chiave green, e molto attenta alle contaminazione di azioni promosse da movimenti culturali d’opinione (Slow Food, FAI) solidali al tema del greening urbano e al dispiegarsi del verde di quartiere.

SMART City e verde urbano è un binomio che va quindi costruito secondo determinate modalità, partendo prima di tutto dal saper impostare una politica di conservazione del patrimonio verde della città (pianificazione delle pratiche manutentive, tutela del paesaggio comunale e cioè delle porzioni di verde originarie, affiancandole al verde ornamentale). Ne consegue la necessità di un piano del verde e un piano del paesaggio comunale, a cui far seguito con una politica di valorizzazione introducendo una progettazione del verde a carattere chiaramente ambientale e paesaggistico. 

Se il benessere della città è intellegibile dalla giusta alternanza di colori, di grigio e di verde, in una città smart lo spazio verde dev’essere riabilitato, aggiornato, e connesso al territorio urbano, in pratica messo in condizione di affrontare l’aggressività delle problematiche da cui siamo partiti. Progettare il verde della città significa, insomma, pensare a come ridurre il carico inquinante, come ventilare e ombreggiare gli spazi urbani, come ostacolare l’afa e la calura estiva, come ridurre l’umidità invernale e la cappa di smog, come rendere nuovamente percepibile il firmamento stellare e come garantire la penetrazione di una flora-fauna compatibile con l’area urbana.

Questo si traduce in un concetto molto innovativo, di cui ancora non si è presa piena consapevolezza: il verde urbano non è più un bene voluttuario e costoso per la città, ma una risorsa economica e ambientale strategica per ridurre i costi finanziari e aumentare il benessere urbano. È  una strategia per valorizzare città afflitte da forti contrasti sociali ed economici, ripensandole a misura della propria impronta ecologica.


* Stefano Mengoli è presidente di ONVUS, Osservatorio Nazionale sul Verde Urbano e Storico

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