Cogo: “A mancare è lo switch-off normativo burocratico”

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14 Dicembre 2016

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Gianluigi Cogo, responsabile coordinamento azioni regionali in ambito di internet of thing, big data e smartness, Regione Veneto

A che punto siamo sul tema dei dati e delle opportunità indotte?

I dati pubblici, è risaputo, sono una vera miniera d’oro. Fossero usati dalla PA per fare analisi predittiva (benchmarking sulle progettualità, valutazioni ex-ante, analisi su ogni tipo di rischio, mash con dati privati per valutare tendenze e impatto, ecc.) entrerebbero di diritto fra i servizi a valore utili al mercato, quindi in piena ottica Gov2Biz. Purtroppo vengono ancora usati quasi esclusivamente in ottica di trasparenza, che di per se è cosa buona e giusta, ma per nulla appetibile alle aziende. La data economy si nutre invece di Big Data, ovvero di dati raccolti, trattati e gestiti da grosse multinazionali (eCommerce, sharing economy, social network, retail, trasporti, ecc.) decisamente più appetibili e sfruttabili in ottica di business. I dati aperti della Pubblica Amministrazione italiana sono a tutt’oggi di bassissima qualità. Spesso vecchi, mal gestiti, non mantenuti, descritti superficialmente (la metadatazione è quasi assente) e la loro pubblicazione è quasi sempre frutto del lavoro di pochi appassionati che con tenacia si ostinano a diffondere il paradigma di riferimento e le opportunità indotte. In una PA tutta sbilanciata sulla cultura dell’adempimento, manca una norma coercitiva e con sanzioni certe che obblighi tutti i settori dell’apparato pubblico a mettere a disposizione di cittadini e imprese dati di qualità e dunque di utilità certa e accertata preventivamente.

Questo Governo ha prodotto molte riforme e introdotto molte innovazioni: cosa è già “usabile” tra quanto approvato? Cosa ci portiamo a casa?

Questo governo ha iniziato un percorso che, purtroppo, si è concentrato troppo sulla governance e poco sull’execution. Mi spiego meglio. Diversi sono i cosiddetti piani progettuali messi in campo da questo governo anche se, a dire il vero, alcuni sono il completamento di progettualità ereditate. Cito il recente Piano Industry 4.0 o il meno recente, ma molto sentito Piano Nazionale Banda Ultra larga, ma anche il Piano crescita digitale (dove stanno languendo SPID, ANPR e altre progettualità collegate) o il riordino del CAD, ecc. Tutto ciò potrebbe dare una spinta vera alla trasformazione digitale di aziende e istituzioni, ma soffre ancora del male atavico italiano, ovvero la prepotenza della burocrazia che, con le regole del nuovo codice degli appalti, le interminabili liturgie collegate ai controlli e alle istruttorie dei PO regionali e nazionali collegati ai fondi strutturali UE e, soprattutto, dei pareri o vincoli richiesti e concertati con decine di organismi, commissioni, comitati e agenzie che, mai come ai tempi del governo Renzi sono proliferate creando una confusione pressochè totale a livello di governance ma, ahimè, soddisfando gli appetiti di molti cacciatori di incarichi governativi. Troppo tardi il premier si è accorto di questo pantano burocratico e ha nominato Piacentini come commissario al digitale, il quale purtroppo non ha avuto molto tempo a disposizione, ma anche se lo avesse avuto si sarebbe allocato come elemento aggiunto alla complessità di questa assurda governence, piuttosto che semplificarla. Per rispondere alla domanda più specifica sul cosa è usabile, direi senza ombra di dubbio: quello che il mercato offre. Mi spiego meglio. Dobbiamo smetterla di pensare al digitale come elemento innovativo, non lo è. Il digitale è una commodity e va solo usata in tutti gli ambiti dove è applicabile. La PA invece stravolge i prodotti, i servizi e i processi digitali adeguandoli alle sue assurde liturgie. Crea dunque cosmetica ma non valore. L’ho scritto molte volte su Agendadigitale.eu e lo riaffermo oggi: solo la completa e incondizionata adesione a modelli, prodotti e servizi del mondo consumer può salvare la PA. Prendere subito e adottare, senza indugi e senza trasformazioni peggiorative, tutto ciò che di buono la social innovation, la data driven economy, la sharing economy, la digital transformation, l’API economy, l’eParticipation, il co-design, ecc. ecc. già offrono. Tutto questo è a portata di mano e va preso subito così com’è. Va adottato con i rischi annessi che sono chiari e ineludibili, ovvero la consapevolezza che vanno tagliati fuori per sempre quelli che non si adeguano. Principalmente manager vecchi e spenti, ancor oggi ancorati a logiche e processi ormai non più sostenibili.

Molti provvedimenti sono ancora in sospeso, cosa pensa che sarà impossibile raggiungere degli obiettivi che erano posti? A cosa dovremo rinunciare, almeno per ora?

Credo che tutto ciò che è legato al Piano crescita, ahimè, subirà uno stop quasi totale. Non vedo per niente bene SPID e la sua diffusione (basta leggere i numeri di adesione rispetto agli indicatori di risultato enunciati), ma tutto ciò era risaputo da chi conosce bene il settore. Troppi gli interessi industriali, troppi i lock-in tecnologici, troppe le rendite connesse. E dunque anche l’idea (per ora solo un idea) di Italia Login rimarrà un sogno nel cassetto. D’altronde il vero problema del settore è proprio l’eGovernment che invece di semplificare la vita ai cittadini l’ha complicata. Per anni abbiamo enunciato: interoperabilità, riuso, cooperazione applicativa, standard, cloud, single-sign-on, federazione, design omogeneo dei siti, user centric design, ecc. Credo dovremmo dichiarare la resa incondizionata. Non ha funzionato. Rimane invece, e per fortuna, aperto il tema della banda ultra larga e su quello ci dobbiamo concentrare maggiormente perché i fondi ci sono. Più banda significa più servizi, più competitor, più scelta. E vedi mai che alcune PA non inizino a fare quello che il buon senso induce e non quello che i Piani promettono.

Cosa si può fare ora nel campo dell’innovazione digitale che non ha bisogno della politica, ma solo dell’azione fattiva dell’amministrazione

Molto semplice. Adottare quello che già c’è. E non vorrei dilungarmi molto perché lo dico da anni. Qualcuno mi spieghi, ad esempio, perché non si possono progettare i servizi digitali della PA con veri e propri contest dentro i laboratori di innovazione aperta, dove cittadini, ricercatori e hackers possono dare il meglio per la comunità. Vabbè, vi do anche la risposta: bisogna ricorrere al MEPA o a CONSIP o a una gara d’appalto a livello europeo. Lo switch-off al digitale c’è già stato, è inutile rincorrerlo, quello che manca è lo switch-off normativo burocratico. Ma questo compete al nuovo governo, as usual.

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