Il decreto sui servizi pubblici locali non tocca l’informatica in house
Il decreto “salva infrazioni” del 25 settembre scorso modifica la normativa in tema di gestione dei servizi pubblici e di società a capitale misto. D’ora in poi si potrà fare ricorso all’in-house solo in casi straordinari. Che ne sarà dell’informatica pubblica? Lo abbiamo chiesto a Renzo Rovaris Direttore Generale di Csi Piemonte e Presidente di Assinter.
6 Ottobre 2009
Tommaso Del Lungo
Il decreto “salva infrazioni” del 25 settembre scorso modifica la normativa in tema di gestione dei servizi pubblici e di società a capitale misto. D’ora in poi si potrà fare ricorso all’in-house solo in casi straordinari. Che ne sarà dell’informatica pubblica? Lo abbiamo chiesto a Renzo Rovaris Direttore Generale di Csi Piemonte e Presidente di Assinter.
“Quando si parla di affidamento in house si parla, in realtà di un insieme di cose piuttosto eterogeneo, e si rischia di fare confusione”. Con queste parole inizia la nostra chiacchierata con Renzo Rovaris Direttore Generale di CSI Piemonte, il consorzio che gestisce l’informatica pubblica di quasi tutti gli enti del territorio piemontese e Presidente di decreto del 25 settembre scorso che, tra le altre cose, ridefinisce le regole per l’affidamento di servizi pubblici e per la partecipazione delle amministrazioni al capitale delle società che erogano servizi, influirà sull’assetto delle società di informatica in-house.
“La confusione più grande – spiega Rovaris – è quella tra servizio pubblico locale da una parte e attività a sostegno dell’autorganizzazione dell’amministrazione pubblica dall’altra. L’informatica pubblica, così come la trattano le aziende che fanno capo ad Assinter, fa parte del secondo gruppo”.
Da un punto di vista giuridico, quindi, la differenza è nettissima: un servizio pubblico mira a soddisfare alcuni bisogni della collettività, mentre le società di informatica in-house lavorano per l’efficienza interna dell’amministrazione e sono soggette ad una disciplina differente rispetto a quella che regola i servizi pubblici locali.
Ma allora perché il decreto “salva infrazioni” parla di nuove regole per la gestione dell’in-house?
“Il nodo da cui parte tutta la confusione – spiega Rovaris – è che in entrambi i casi si parla di società in-house, cioè di società che, essendo espressione diretta delle amministrazioni e da esse controllate, possono vedersi assegnare degli affidamenti diretti, senza l’esigenza della gara ad evidenza pubblica.
Tuttavia credo che oltre a questa confusione linguistica si stia diffondendo, in questo particolare momento, anche un secondo livello di confusione derivato da un orientamento culturale che vede nelle società pubbliche enti inefficienti per definizione, pericolosi e clientelari. Un orientamento culturale che non tiene conto, ad esempio, delle punte di eccellenza raggiunte da molte delle aziene di informatica regionale”.
Facciamo chiarezza: cos’è l’in-house
Mentre fino a qualche anno fa si parlava di "affidamento diretto", a partire dal 1992, a seguito della normativa europea sugli appalti pubblici si è iniziato a parlare di "affidamento in-house”. La definizione stessa di “struttura in-house” non è stata chiara immediatamente e si è costruita nel tempo. Oggi per struttura in- house si intende un soggetto totalmente pubblico e sul quale il pubblico esercita un controllo “analogo” a quello che esercita sulle proprie strutture.
La normativa Europea dice che una struttura in-house deve lavorare prevalentemente per i suoi proprietari, mentre la Legge Bersani è ancora più stringente ed impone (articolo 13) che la società in-house lavori esclusivamente per le amministrazioni proprietarie.
La legge 99 del luglio 09 (articolo 48) ritocca, però, l’articolo 13 della Bersani eliminando la parola “esclusivamente” ed inserendo la possibilità di ottenere commesse al di fuori dei confini nazionali.
Un giudizio sul decreto Ronchi
Quando chiediamo un giudizio qualitativo sul decreto salva infrazioni e in particolare sul nuovo ruolo dei privati nei servizi pubblici locali, Rovaris ci risponde che “Il decreto Ronchi non chiama in causa le nostre società, eppure ci interessa moltissimo. La confusione tra questi due ambiti che le ho appena descritto, servizi pubblici da una parte e servizi strumentali all’amministrazione dall’altra, rischia, infatti, di far credere che i principi di concorrenza e di regolazione che sono stati introdotti dal decreto Ronchi per i servizi pubblici locali possano essere validi anche per società che lavorano per l’auto amministrazione”.
“Il vero punto che sfugge è – continua poi – la materia è molto più complicata di come la si tratta. Una recente mozione alla Camera, ad esempio, coglie in pieno la complessità del tema e, per la prima volta, propone che si cominci a parlare dei servizi pubblici non più esclusivamente da un punto di vista giuridico formale, ma con un approccio di tipo industriale e di mercato.”
Rovaris si riferisce alla mozione della deputata del PD Marina Sereni. La mozione sostiene che una vera politica di liberalizzazione dei servizi pubblici locali non può procedere indipendentemente da una politica di regolazione puntuale degli stessi. Se si vuole veramente introdurre una concorrenza virtuosa e non solo burocratica non possiamo pensare di imporre gli stessi vincoli a qualunque tipo di servizio, ma occorre modellare la regolazione sulle specifiche necessità di ciascun settore.
“Così come è deleterio mischiare l’acqua con l’informatica strumentale allo svolgimento della mission amministrativa – chiude Rovaris – è ugualmente deleterio mischiare l’acqua con il trasporto su gomma. La cosa da augurarsi è, quindi, che vada avanti questo ragionamento, e si cominci a dare regole diverse per i diversi settori". In questo modo si potrebbero introdurre elementi di concorrenza continuando a tutelare i diritti di cittadinanza e valorizzando le eccellenze del settore pubblico in grado di fare da traino al mercato.