I cittadini protagonisti delle politiche pubbliche in un’ottica di elaborazione di proposte

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Serve riflettere su scala più ampia sulle inefficienze dell’assistenza sanitaria territoriale. I cittadini si mobilitano per riempire un vuoto lasciato dalle istituzioni e portano un grandissimo contributo in termini di attivismo, monitoraggio, valutazione ed elaborazione di proposte nelle fasi decisionali. Cittadinanzattiva ha avviato un lavoro ad hoc di monitoraggio civico dei servizi sanitari, ce ne parla Tonino Aceti – Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato

6 Settembre 2017

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Patrizia Fortunato

Il tema dell’assistenza socio-sanitaria territoriale è da sempre una delle voci di segnalazione più consistenti che i cittadini indirizzano al Tribunale per i diritti del malato (TDM) di Cittadinanzattiva, capillarmente distribuito su tutto il territorio nazionale con 330 sedi attive dentro le strutture ospedaliere e nei distretti sanitari, costantemente impegnate a offrire assistenza, tutela e orientamento e a raccogliere le indicazioni dei cittadini sulle criticità dei servizi socio-sanitari. Sono circa 22mila le segnalazioni sopraggiunte e compendiate nel Rapporto PiT Salute 2016 del Tribunale per i Diritti del Malato. Serve riflettere su scala più ampia sulle inefficienze dell’assistenza sanitaria territoriale e sulla condizione in cui versa la vita di tutti quei cittadini sui quali ricade l’onere assistenziale per far fronte a malattie croniche, disabilità, demenze, non autosufficienze.

L’annuale Rapporto PiT Salute allarga i confini di intervento, descrivendo le aree sulle quali si concentrano le priorità dei cittadini e per le quali, dunque, il Movimento di partecipazione civica decide di impegnarsi in termini di azioni, strategie e politiche. Le segnalazioni raccolte, oltre a mettere in luce l’inadeguatezza dei sistemi di misurazione e valutazione degli esiti dell’assistenza sanitaria territoriale, hanno creato le basi per impostare un lavoro ad hoc di monitoraggio civico dei servizi sanitari, i cui risultati sono stati restituiti nel Rapporto “Fuori dall’ospedale, dentro le mura domestiche”.

Il monitoraggio civico ha conseguito numeri importanti, sia in termini di servizi monitorati, sia di cittadini attivi coinvolti, e persone che ricevono assistenza domiciliare intervistate.

Coinvolte attivamente 10 regioni, 36 aziende sanitarie locali, 82 distretti sanitari, 14 unità complesse di cure primarie (uccp), 1592 pazienti in cure domiciliari, 207 pazienti affetti da patologia croniche e rare appartenenti alle 106 associazioni che fanno parte del Coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici (CnAMC).
Messi a punto gli strumenti di rilevazione attraverso un tavolo nazionale per l’elaborazione del questionario di indagine al quale hanno partecipato una serie di organizzazioni del mondo medico, infermieristico, professionale e dell’associazionismo dei pazienti[1].
Attivati oltre 100 volontari del Tribunale per i diritti del malato sparsi su tutto il territorio nazionale e adeguatamente formati.
I cittadini, ancora una volta, si mobilitano per riempire un vuoto lasciato dalle istituzioni e portano un grandissimo contributo in termini di attivismo, monitoraggio, valutazione ed elaborazione di proposte nelle fasi decisionali. C’è un impulso ad agire in un’ottica politica, “un’attività del tutto innovativa che mancava nel servizio sanitario nazionale. Di fronte all’immobilismo delle istituzioni – afferma Tonino Aceti, Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato -, i cittadini hanno scattato una fotografia e a questa hanno abbinato una elaborazione puntuale di proposte di politiche pubbliche sanitarie, le quali partono dai principali risultati emersi”.

Il Coordinatore nazionale, in questa intervista, passa in rassegna alcune voci di risultato.

  • Innanzitutto, c’è una grande eterogeneità nella nomenclatura dei servizi che comporta una grande confusione nei cittadini (lo stesso servizio si chiama in 10 modi diversi in 10 regioni). C’è una grande differenza nell’offerta per i centri diurni per Alzheimer, per autistici, di Salute Mentale, per le tossicodipendenze. Sul totale delle risposte affermative, in numeri assoluti, per i centri di Salute mentale si va da un minimo di 3 strutture in Molise a 21 in Puglia e Piemonte, sino a un massimo di 69 in Toscana, con una media di strutture pari al 29,8; in ambito Alzheimer si va da un minimo di 1 in Molise ad un massimo di 109 in Veneto, passando per 4 strutture in Campania, 8 in Puglia e 11 in Umbria, con una media pari al 22,7; per i centri diurni pazienti affetti da autismo solo il 60% delle regioni intervistate informa di averli sul territorio, con una significativa presenza in Veneto e in Emilia Romagna, rispettivamente con 309 e 136 centri.
  • La differenza fra regioni si rivela anche per il tema della diffusione dell’informatizzazione. Nel 90% dei casi è presente un sistema informatizzato regionale, ma solo nel 56% delle regioni è integrato con il sociale. C’è ancora molto da fare per rendere interoperabili tra loro i sistemi informatici all’interno di una stessa regione: ospedali che non dialogano con le Asl, distretti che non dialogano con gli ospedali, distretti che non dialogano con altri distretti. Il territorio è il luogo privilegiato per la presa in carico delle persone con cronicità o non autosufficienti e queste situazioni hanno bisogno di valutazione multidimensionale, di integrazione dei servizi socio-sanitari tra le istituzioni e tutto questo è abilitato se c’è un sistema informatico efficiente, efficace e che parli tra le regioni e tra le Asl di una stessa regione. Perché ciò avvenga bisogna accelerare su questa proposta.
    Nei sistemi interoperabili si riconosce anche il fondamento di un altro tema importante che Cittadinanzattiva ha chiamato “dietro il provvedimento molto spesso il nulla” in termini di servizi. Ci sono dei provvedimenti che riguardano le reti cliniche integrate in un piano di continuità tra la rete ospedaliera e l’assistenza territoriale, ossia i percorsi diagnostici terapeutici – PDTA – che sono delle delibere fatte molto bene dal punto di vista tecnico, ma che mancando delle infrastrutture informatiche non abilitano la soluzione che la delibera prevede.
  • Tra i temi emersi più significativi c’è anche quello dell’outsourcing. Molte Asl, molti distretti, esternalizzano il servizio di assistenza domiciliare integrata, ma poco meno della metà di coloro che la esternalizzano valuta la qualità del servizio erogato. Una delle proposte riguarda la necessità di accelerare e consolidare il sistema istituzionale di misurazione e valutazione degli esiti della cura. Un tema fondamentale in assenza degli indicatori attraverso i quali misurare gli interventi.
  • Altro tema importante è quello dell’assistenza domiciliare integrata. L’esperienza dei cittadini in ADI è complessivamente positiva. C’è una buona soddisfazione da parte dei cittadini per il lavoro svolto dai professionisti; tra di essi i più presenti a casa sono gli infermieri (84.31%). In realtà, la reperibilità dei professionisti sanitari è da migliorare: è più alta nella fascia dalle 7:00 alle 14:00, mentre scende nella fascia pomeridiana e si riduce ancora nella fascia notturna. Oltre agli orari ci sono una serie di bisogni a cui dare risposte facendo di più o meglio. Ad esempio l’eccesso di turn over degli operatori al domicilio crea disagi; l’Assistenza è ancora troppo poco diffusa sul territorio nazionale e rischia di diventare un privilegio per pochi, fatto questo inaccettabile considerato anche che il comparto dei servizi sanitari territoriali riceve un finanziamento piuttosto cospicuo, di circa 50 miliardi di euro, quasi mezzo fondo sanitario nazionale.
  • Serve contrastare le disuguaglianze che oggi esistono attraverso la trasparenza del SSN, garantendo a tutti i cittadini l’effettività dei servizi e dei diritti. Molto spesso si parla di accessi inappropriati in ospedale o in altri servizi sanitari, ma non c’è alcun investimento da parte delle istituzioni pubbliche a tutti i livelli – nazionale, regionale, locale – in attività di informazione, educazione, comunicazione sulla diffusione e presenza dei servizi sanitari, soprattutto di quelli territoriali, dove c’è una frammentazione e confusione derivante da nomenclature che cambiano o riorganizzazioni compiute o in svolgimento: poliambulatori sparsi, con nomi diversi, con una complessità anche di funzionamento. Bisogna ragionare su degli standard nazionali qualitativi, quantitativi, organizzativi, strutturali e tecnologici dell’assistenza sanitaria territoriale, che vanno formalizzati, monitorati e garantiti.
    Oggi abbiamo degli standard nazionali relativi all’assistenza ospedaliera (Decreto Ministeriale n° 70/2015). “Vorremmo – afferma esplicitamente Aceti – fosse formalizzato cosa un cittadino deve aspettarsi in termini di servizi sanitari territoriali. Vorremmo che le istituzioni, il governo, lo Stato centrale e le regioni attivassero subito un gruppo nazionale di lavoro con il coinvolgimento anche delle associazioni dei cittadini e pazienti”.
    Serve un piano di azione per una serie di indirizzi di politica sanitaria, altrimenti tutta una serie di provvedimenti rischiano di rimanere solo sulla carta, come i nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) che elencano una serie di prestazioni garantite, ma non dettagliano in che modo; ugualmente, il Piano Nazionale delle cronicità ha un modello generale di presa in carico delle cronicità, ma senza che siano formalizzati gli standard.

In questa intervista appare evidente il protagonismo esercitato da Cittadinanzattiva su più fronti. Anche alla luce del nuovo Regolamento UE 2016/679, Aceti ha individuato il proprio ruolo di soggetti moltiplicatori dell’informazione, di informatori di prossimità per i cittadini sulle novità che le nuove disposizioni normative comportano, per far sì che i cittadini siano empowerizzati e possano pretenderne l’effettiva applicazione e che la sottoscrizione del modulo per la privacy non coincida con un adempimento di carattere burocratico-amministrativo.

Il Garante ha indicato alle amministrazioni delle priorità: rilevazione, segnalazione e comunicazione al cittadino dell’eventuale violazione del diritto alla privacy al proprio interno; individuazione del responsabile della protezione dei dati personali (RPD) che garantisca l’interfaccia con i cittadini.

Per Cittadinanzattiva la prima prospettiva di questo regolamento è capire meglio la dinamica che si svilupperà tra i cittadini e il RPD e comprendere come si attrezzeranno le Asl per implementare le procedure interne, costruire un ufficio, dotare questo nuovo referente delle risorse umane ed economiche per fronteggiare al meglio la funzione che gli è stata assegnata.

“Su questo – sottolinea Aceti – ci sarà un grande lavoro per organizzazioni come le nostre che sono presenti con attivisti all’interno degli ospedali e delle ASL. Avremo un ruolo nel garantire la tutela del diritto alla privacy dei cittadini e interfacciarci con questo referente all’interno delle Asl”.

“Poi – continua Aceti – c’è un fronte importante che è quello del co-design di servizi di sanità digitale. Ci sarà un ampio spazio di collaborazione tra le istituzioni, i cittadini e i soggetti del mondo privato per sviluppare in modo partecipato e condiviso i Servizi Sanitari digitali che abbiano rispetto di tutti i diritti del malato e soprattutto del diritto della privacy. In questa fase storica c’è una necessità per i cittadini all’interno del SSN, bisogna rimettere in equilibrio due spinte che caratterizzano l’agire quotidiano delle istituzioni sanitarie: economica, caratterizzata dal rigore della spesa, dal pareggio di bilancio, con quella della salvaguardia e garanzia dei diritti e dei servizi”. Queste due dimensioni devono essere in perfetto equilibrio, mentre oggi l’aspetto economico prevale ancora sull’accessibilità, sulla qualità e sicurezza dei servizi sanitari. “Abbiamo deciso – sottolinea Aceti – di raggiungere questo obiettivo avviando la “Scuola Civica di alta formazione diritti e partecipazione in sanità” e offrendo alle istituzioni, ai decisori, 40 anni di esperienza sviluppata dal nostro movimento sul tema della tutela dei diritti”.

Il Coordinatore nazionale chiude illustrando il percorso didattico. Quattro i moduli formativi: il primo sulla letture del concetto di sostenibilità del servizio sanitario nazionale, il secondo sul tema degli acquisti in sanità, il terzo sul linguaggio che si utilizza in sanità e il quarto sul tema della partecipazione dei cittadini e dei pazienti alle politiche in sanità. Ci saranno degli interventi di tipo teorico di alto livello, lezioni sui massimi sistemi ed esperienze pratiche che potrebbero essere reiterate da subito dai decisori, componenti della classe. La particolarità di questa scuola e che è rivolta ai decisori che siano portatori di alcuni valori, primo fra tutti la garanzia e la salvaguardia dei diritti del malato. Un altro obiettivo di questa scuola è creare un ambiente, un luogo dove si possa dibattere, riflettere, elaborare anche nuove idee sul SSN e anche restituire fiducia nel servizio sanitario tra le istituzioni.

“Il Servizio Sanitario Nazionale è un bene comune, un investimento non un costo, uno strumento per garantire coesione sociale e la democrazia nel nostro Paese, nella consapevolezza che va migliorato in alcuni aspetti , salvaguardato, rilanciato e rafforzato”.

[1]AIFI, AIMA, AISLA, AISM, AITO, ANMAR, ANP CIA, ANTEA, ASS. ITAL. PZ. BPCO, AZIONE PARKINSON, CARD, CNOAS, FEDERFARMA, FEDERSANITÀ ANCI, FIASO, FIMMG, FORUM PA, IPASVI, REGIONE VENETO, SIMBA, SIMFER, SPI CGIL, TDM di Cittadinanzattiva, UILDM, UNASAM

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