Un anno passato senza una strategia di sistema: manca il Patto per la Sanità Digitale
9 Novembre 2015
Paolo Colli Franzone, Osservatorio Netics
A poco più di otto mesi dalla
pubblicazione del “Piano di Crescita Digitale” proviamo a fare il punto della
situazione rispetto alla sezione dedicata alla Sanità, ambito dove si concentra
una porzione consistente delle aspettative dell’offerta e dove indubbiamente si
annida un forte potenziale di razionalizzazione in uno scenario sempre più
condizionato da ragionamenti sulla sostenibilità futura di un servizio
sanitario nazionale a sua volta messo a dura prova dalla necessità di contenere
il disavanzo a fronte di un considerevole e inarrestabile incremento della
domanda di salute da parte dei cittadini.
Facciamo il punto partendo da una (amara) constatazione: questo 2015 che si sta per chiudere è stato l’anno di Godot: l’abbiamo aspettato, e rischiamo di stappare la bottiglia della notte di San Silvestro continuando ad aspettarlo.
Partiamo dal Patto di Sanità Digitale: non pervenuto .
Quella che a inizio 2014 fu senza dubbio una grande intuizione politica del Ministro Lorenzin rischia di trasformarsi nella Grande Incompiuta, ostaggio di un momento difficilissimo nei rapporti Stato-Regioni in tema di sanità e in assenza di un commitment reale.
Dal “Patto” è sparito qualsiasi riferimento agli investimenti necessari ad attivare quel circuito virtuoso di innovazione tecnologica e di processo capace di produrre una vera razionalizzazione della spesa sanitaria, liberando risorse da reimmettere all’interno del SSN per far fronte all’incremento di domanda (e quindi di spesa) che manifesterà i suoi effetti più macroscopici già a partire dal 2016.
Soprattutto, a 16 mesi dalla data di prima presentazione del “Patto”, non è dato conoscere il punto di vista delle Regioni rispetto alla sua effettiva attuazione.
La sensazione che si percepisce dall’esterno è che molte Regioni vivano il Patto di Sanità Digitale come una discreta occasione per portare a casa fondi europei dando luogo alle ennesime sperimentazioni di telemedicina e/o “arrotondando le entrate” per finanziare lo sviluppo del Fascicolo Sanitario Elettronico.
Nulla di tutto quello che era stato immaginato in sede di prima stesura del “Patto”, che nella sua sostanza era un Master Plan a partire dal quale dar luogo a investimenti (4-5 miliardi in 3 anni) che tutto prevedevano tranne che la sperimentazione: l’idea iniziale – vale la pena ricordarlo – fu proposta al Ministro Lorenzin in termini di una vera e propria “sfida” lanciata dai vendor di tecnologie e da una serie di soggetti fortemente interessati ad una profonda revisione dei processi di erogazione dei servizi socio-sanitari con l’obiettivo di dar vita a un fondo rotativo il quale – agendo su una serie di leve finanziarie – potesse garantire la copertura del fabbisogno per investimenti venendo remunerato dall’efficientamento prodotto.
Nel frattempo, le Regioni che ancora non lo avevano fatto hanno accelerato lo sviluppo dei loro fascicoli sanitari elettronici e dei progetti di dematerializzazione delle ricette, e sono state messe in produzione alcune piattaforme regionali per servizi di e-health (scelta/revoca del medico, prenotazioni e referti online).
In termini rigorosamente quantitativi, migliora quindi il livello di “e-readiness” e non possiamo che esserne molto soddisfatti.
Quella che manca ancora è la consapevolezza, da parte del top management della sanità pubblica, di quanto il digitale possa essere il loro principale alleato nella battaglia per la razionalizzazione complessiva del SSN.
Forse è ora che il Patto per la Sanità Digitale esca dalle stanze degli addetti ai lavori in ambito ICT e che i suoi elementi fondativi entrino nelle priority list dei Direttori Generali e – perché no – degli Assessori alla Salute. Forse è ora che si apra un tavolo politico fra Ministro e Assessori, prima ancora che tanti piccoli tavoli tecnici: perché non può che essere così, se davvero vogliamo che funzioni.