Venturi: “La Scuola formi le competenze nuove che ci servono nelle aziende”
Non basta cambiare il modo di fare
scuola, bisogna anche far sì che la scuola adegui gli indirizzi e i contenuti
formativi alle esigenze del nostro sistema sociale ed economico, trasmettendo le conoscenze e le competenze che serviranno per il lavoro e per
l’equilibrio complessivo del sistema
19 Febbraio 2016
Stefano Venturi, Vicepresidente Assinform con Delega alle Competenze Digitali
Con la Riforma della Scuola e con il Piano Nazionale Scuola Digitale è stato fatto un passo importante, ma non basta cambiare il modo di fare scuola. Bisogna anche adeguare programmi e contenuti formativi alle nuove spinte del sistema-paese. E per questo è importante intensificare il dialogo tra mondo dell’istruzione e mondo del lavoro e non viverlo più come un’eccezione.
Il varo della Riforma della Scuola e il successivo lancio del Piano Nazionale Scuola Digitale sono due passi importanti per l’adeguamento del sistema dell’istruzione alle esigenze dei tempi. La prima, per quanto perfettibile e bisognosa di tempi attuazione e metabolizzazione, innova i paradigmi formativi di fondo, gli schemi di funzionamento della “macchina” organizzativa e le logiche di coinvolgimento del corpo docente. Il secondo – il Piano Nazionale per la Scuola Digitale – ne costituisce il necessario complemento, anche nell’ottica dell’integrazione con la Strategia Digitale per l’Italia 2014-2020: connettività broadband diffusa, sviluppo delle dotazioni digitali per l’apprendimento, identità digitale per studenti e docenti, digitalizzazione della sfera amministrativa sino al livello dell’Istituto e così via, sino alla promessa costituzione delle reti dei contenuti digitali, alla formazione specifica per i docenti e i migliaia di animatori- scelti a livello di istituto- per fare da mentor al nuovo corso.
Va però anche detto che le materie trattate da questi provvedimenti e il dibattito che ne è seguito si sono concentrati inevitabilmente sugli aspetti più “universali”. Nel caso della riforma (Buona Scuola), si è guardato a quelli maggiormente connessi alle condizioni per far funzionare meglio il sistema dell’istruzione a programmi dati o quasi, dalla soluzione del precariato alla redistribuzione delle responsabilità fra i vari soggetti. Nel caso del Piano Nazionale per la Scuola Digitale è avvenuto più meno lo stesso, con più accento sugli aspetti tecnico-funzionali e alle potenzialità dell’uso didattico e organizzativo del digitale.
Non conta solo il come, ma anche il cosa
Nulla da eccepire sull’importanza primaria di questi interventi: visto il contesto, bisognava per forza partire da lì, tanto più che nel Piano per la Scuola Digitale gli elementi di novità sono molti. Non basta pero’ cambiare il modo di fare scuola, bisogna anche far sì che la scuola adegui gli indirizzi e i contenuti formativi alle esigenze del nostro sistema sociale ed economico. Si è sempre detto che la scuola deve formare soprattutto cittadini. Questo rimane fondamentale, ma non si può essere cittadini se poi si resta al margine del mondo del lavoro. E’ evidente che solo una scuola che aggiunge alla capacità di formare cittadini, anche quella di trasmettere le conoscenze e le competenze che serviranno per il lavoro e per l’equilibrio complessivo del sistema, può riaffermare e rafforzare il suo ruolo strategico per il Paese. In particolare se queste conoscenze e attitudini riguardano in modo preponderante il digitale.
Il digitale trasforma tutto …
Anche in Italia, infatti, le tecnologie digitali (ICT) sono diventate il più potente fattore d’innovazione e quindi di crescita, con tutti i vantaggi che ne derivano in termini di benessere, opportunità di lavoro e impresa. Danno a imprese e Amministrazioni Pubbliche strumenti sempre più efficaci per interpretare i fabbisogni di consumatori e cittadini, conseguire efficienza, migliorare la capacità di fare business e di erogare servizi pubblici. Questo si realizza solo se si dispone in misura sufficiente di figure professionali qualificate, in grado di misurarsi con gli scenari innescati dai trend più innovativi. Oggi in Italia cio’ non avviene e ci mancano un gran numero di figure professionali qualificate, che alcuni stimano fra le 200 mila e le 300 mila unità. E’ un gap che rischia di inceppare il processo di trasformazione digitale che si è innescato negli ultimi due anni, che è poi quello che più di ogni altra cosa è deputato a rimettere stabilmente il Paese sul sentiero della crescita.
.. e ci si avvantaggia solo se si hanno le competenze
Su questo fronte qualcosa si sta muovendo. Imprese e Amministrazioni, sollecitate dalla rivoluzione digitale, mostrano nuova sensibilità, anche se destinano ancora troppo poche risorse alla formazione. E’ tuttavia evidente che nulla può surrogare il ruolo del sistema nazionale dell’Istruzione e un suo ritrovato ruolo propulsivo verso nuove forme di conoscenza applicata.
Lo confermano anche le principali evidenze emerse dall’Osservatorio delle Competenze Digitali, inziativa lanciata da Agenzia per l’Italia Digitale (Agid), AICA, Assinform, Assintel e Assinter, per far luce sulla situazione attuale delle competenze ICT nelle aziende del settore e nelle organizzioni utilizzatrici e sulle azioni che si stanno mettendo in atto per svilupparle.
Un gap da colmare, proprio sul fronte delle competenze
Fra le principali evidenze dello studio, condotto tramite un’indagine sul campo che ha convolto centinaia di aziende e di amministrazioni pubbliche, si rilevano:
- la consapevolezza diffusa (80-90% dei rispondenti) dell’impatto della “digital transformation” in termini di carenza di competenze ICT, soprattutto negli ambiti più innovativi – Mobile, digitalizzazione di flussi e processi, business analytics, IoT, Cloud computing, evoluzioni Web, pagamenti elettronici;
- l’idea che una cultura digitale di base, ovvero maturata anche a scuola, sia sempre più necessaria in qualsiasi lavoro (quasi totalità dei rispondenti);
- la necessità di un elevato livello di istruzione per chi svolge lavori in ambito ICT: oggi pari a oltre 50% di laureati sia nelle aziende ICT che utenti, così come nella PA Centrale e al 36% nella PA Locale.
- un riconoscimento di preparazione digitale circoscritto ai soggetti formati agli Itis -nel caso dei diplomi e presso le facoltà di Informatica/Scienza dell’Informazione, Ingegneria ed Economia -nel caso delle lauree (aspetto che parrebbe ovvio se non risultasse più marcato che in passato).
- una crescente attenzione alle certificazioni. Nelle aziende ICT la pensa così l’80% dei rispondenti, e, se si considera che in alcuni Itis e molte Facoltà c’è corrispondenza tra corsi e certificazioni europee di competenza, emerge anche l’opportunità di formalizzare in modo sistematico questa corrispondenza. Ciò rafforzerebbe il ruolo della scuola nell’incontro tra domanda e offerta di professionalità digitali..
Servono professionalità nuove
Altre evidenze interessanti riguardano i profili più ricercati. Nelle aziende ICT sono: il Security Specialist, l’Enterprise Architect, il Business Analyst. Nelle aziende utenti e nella PA sono: il CIO, il Security Manager, il Data Scientist, il Database Administrator, il Digital Media Specialist, l’Enterprise Architect, il Business Information Manager, l’ICT Consultant e il Business Analyst. Tutti profili che oggi mancano in misura sufficiente e che dovrebbero essere formati, quanto meno per gli aspetti fondamentali e meno esposti all’obsolescenza, dal sistema dell’Istruzione.
Niente può surrogare il sistema dell’Istruzione, ma molto resta da fare
Se si guarda al riallineamento tra creazione e domanda di competenze e al pieno coivolgimento del sistema dell’Istruzione al riguardo, molto resta ancora da fare. Scuola e Università dovrebbero infatti rivedere e adeguare la propria offerta formativa a un mercato del lavoro che necessita sempre più di nuove professionalità digitali. Non solo: anche Imprese e Amministrazioni dovrebbero concorrere a un dialogo più aperto in tema di creazione di competenze digitali. Che un dialogo più stabile e sistematico tra mondo dell’istruzione e modo del lavoro sia necessario è nuovamente dimostrato dal già citato studio. Infatti:
- anche se il 60% delle aziende (ICT e utenti) e degli Enti pubblici i dichiara di avere rapporti continuativi con il mondo accademico, questi appaiono prevalentemente finalizzati ad assorbire risorse già formate per attività di stage, supporto a tesi di lauree sperimentali. Sono poche infatti le realtà che partecipano ai comitati di indirizzo dei corsi di studio;
- risultano ancora deboli i rapporti con i pur apprezzati Istituti Tecnici/Istituti di Istruzione Secondaria: solo il 27,3% delle aziende ICT e il 22% di aziende utenti ed Enti Pubblici li dichiarano;
- basso risulta il livello di conoscenza dell’offerta di formazione specialistica post-diploma (percorsi formativi ITS- Istituti Tecnici Superiori e IFTS- istituti di formazione tecnica superiore), sia da parte delle aziende del settore ICT, sia da parte delle aziende utenti e degli enti pubblici. Chi fa ricorso a questi strumenti formativi poco sfruttati, tuttavia, li ritiene validi ed efficaci.
Allargare il dialogo con le categorie produttive
Quanto visto conferma come in Italia sia necessario rilanciare l’impegno formativo non solo nello spirito delle riforme già annunciate, ma anche attraverso un dialogo sempre più fattivo tra mondo dell’istruzione e mondo del lavoro. Non conta solo come formare e con quali strumenti e strutture, ma anche a cosa formare, guardando congiuntamente alle necessità del cittadino, del lavoratore e del sistema Paese, oramai non più scindibili.
Abbiamo bisogno di competenze digitali per crescere. Assinform e Confindustria Digitale sono disponibili a intensificare la collaborazione per crearle, nel rispetto dei ruoli di tutti i possibili interlocutori. Già da tempo propongono infatti che i programmi MIUR per l’istruzione e i programmi formativi, nazionali e regionali, che accompagnano le politiche sociali e industriali siano resi più coerenti con le dinamiche dei fabbisogni di competenze digitali, attraverso la collaborazione di tutti gli attori rilevanti.