Cara direttrice Alvaro,
intanto un doveroso e sincero “in bocca al lupo!” per un incarico importante in un’istituzione come l’AgID carica di responsabilità e di aspettative per l’attuazione di un piano di digitalizzazione che schiodi finalmente l’Italia dalle ultime posizioni tra i paesi europei.Ho seguito da vicino l’AgID in tutta la sua storia, sin dalla sua nascita come AIPA venticinque anni fa, e credo di averne potuto sperimentare punti di forza e punti di debolezza. Partendo da questa esperienza, ma anche con molta umiltà, perché della trasformazione digitale sono stato non un attore, ma un comunicatore ed un osservatore, mi permetto di darle, come nuova direttrice, tre consigli non richiesti.Il primo è quasi ovvio ed è quello di non ricominciare da capo, ma di riprendere con nuova energia i progetti che sono sul tavolo e portarli finalmente a compimento, magari utilizzando sino in fondo i (tanti) soldi che la programmazione europea mette a disposizione dell’Agenda Digitale e costruendo ed animando senza tregua momenti di condivisione e di collaborazione con tutte le (troppe) istituzioni italiane che si occupano per un verso e per l’altro di innovazione tecnologica.Il secondo è di tener sempre presente che l’AgID si occupa dell’attuazione dell’Agenda Digitale e che questa Agenda non si identifica con la pur necessaria ed auspicabile trasformazione digitale dell’amministrazione pubblica, ma entra, così come fa il digitale, nella vita di tutti i cittadini: nelle scuole, nelle aziende, nelle organizzazioni del terzo settore, nei centri di ricerca, ecc. In questo senso serve di impegnarsi senza sosta a far crescere una proficua collaborazione tra pubblico e privato che, nel rispetto dei ruoli, riporti al controllo pubblico la responsabilità su visioni, individuazione delle regole del gioco, prerequisiti infrastrutturali e patrimonio di dati e lasci al mercato il compito di fornire servizi e di interpretare e soddisfare i bisogni.Il terzo è per me il più importante e concerne proprio il punto di vista da cui guardare la trasformazione digitale del Paese. Un punto di vista che non può essere centralistico, ma che deve incontrare l’innovazione lì dove si crea, ossia nella maggior parte dei casi nelle realtà territoriali, città e regioni, più avanzate. Un tempo era in voga uno slogan troppo frettolosamente dimenticato: “Pensare globale, agire locale”. Mi rifaccio a quel paradigma per riconoscere che se la frammentazione dei progetti, delle istituzioni, dei centri di spesa e di competenza, degli stessi data center è una iattura per un piano di digitalizzazione coerente ed efficace, questo non vuol dire disconoscere l’enorme lavoro che in questi anni, nonostante tutto, hanno fatto e stanno facendo amministrazioni locali e regionali insieme alle energie vitali, pubbliche e private, di ciascun territorio. Anzi è necessario far crescere la collaborazione per prendere da ciascuno il meglio e portare a sistema le migliori esperienze. Ogni amministrazione ha molto da imparare, ma spesso ha anche molto da insegnare: non utilizzare questo bacino di esperienze, di best practice, di ostacoli superati, ma anche di errori da non ripetere, sarebbe uno spreco che non possiamo permetterci. Un’imposizione centralistica di qualsiasi progetto complesso tenderebbe necessariamente a livellare e, nella falsa idea di far andare avanti tutti con la stessa velocità, abbasserebbe l’asticella dei traguardi da superare.Non lasciare nessuno indietro vuol dire anche far correre chi ha fiato e permettere che le esperienze dei migliori possano facilmente (e penso ai tanti ostacoli che pone invece al riuso il codice degli appalti) essere patrimonio di tutto il Paese.
Gli accordi impostati da AgID, durante la direzione di Antonio Samaritani, con alcune regioni e città metropolitane sono un buon punto di partenza, purché vengano attuati nella reciprocità di uno scambio continuo di saperi, in un moto circolare dell’innovazione che non è mai solo top-down o solo bottom-up. Un reciproco arricchimento che non è quindi un mero tutoraggio che risulterebbe indigesto, o peggio deresponsabilizzante, se venisse solo dal “centro”.Cara direttrice Alvaro, queste sono solo alcune delle considerazioni che nascono dalla mia esperienza e su cui son certo avremo modo di confrontarci, ma sono certo che il lavoro che lei ha fatto e portato avanti fino ad oggi, con grande e riconosciuto successo, le sarà di ispirazione per affrontare al meglio questa sfida, per cui non posso che augurarle buon lavoro. Noi, come sempre nei venticinque anni di vita dell’istituzione che ora dirige, ci saremo con impegno ed entusiasmo per sostenere e stimolare ogni sforzo teso a far sì che, attraverso l’uso intelligente della trasformazione digitale, il nostro Paese si incammini finalmente verso uno sviluppo sostenibile. Uno sviluppo equo e solidale, che apra opportunità per tutti i suoi nuovi e vecchi cittadini, per i nostri figli e, nel mio ruolo di nonno, anche per i nostri nipoti.