Cara PA, impara a profilarci come fa Google: per offrirci servizi migliori

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Ogni pubblica amministrazione dovrebbe essere in grado di arrivare a conoscere profondamente il cittadino e il contesto in cui lui si muove, al fine di prendere decisioni migliori e di farlo più velocemente. Ciò è possibile grazie anche al Cognitive Computing de al Machine Learning che potranno consentire alla PA di sfruttare gli incalcolabili benefici dei Big Data a livello di efficienza ed efficacia

2 Dicembre 2016

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Paolo Pellegrini, Senior Advisor e Responsabile practice data-driven innovation - P4I

Nel mondo privato, così come in quello pubblico, l’innovazione dei processi e dei modelli di servizio è in continua accelerazione e, nel corso degli ultimi anni, si è riscontrato un notevole fermento a livello di nuove iniziative. In particolare, l’uso strategico dei Dati – attraverso implementazioni Big Data e modelli/algoritmi di Data Science – appare in grado di generare importanti miglioramenti nell’efficacia ed efficienza dei processi, oltre che nella fruibilità e user experience di alcune applicazioni.

Per quanto ancora appaia indietro su queste tematiche, il mondo delle Pubbliche Amministrazioni – siano esse locali o centrali – appare essere uno dei cantieri di lavoro con maggior potenziale. Questa affermazione è dettata, prima di tutto, dall’estensione e dall’impatto dei servizi offerti da queste realtà che, rivolgendosi ai cittadini, intercettano quello che – per un’azienda privata – viene definito il mercato target più ampio possibile. Allo stesso modo, appare assolutamente rilevante la natura stessa dei dati potenzialmente trattabili da queste realtà, che comprendono la declinazione “People to People”, relativa alle informazioni presenti nel mondo Social, “Machine to Machine”, che fa riferimento agli oggetti intelligenti posti nella città e alla loro capacità di dialogo, e, infine, “People to Machine”, relativa agli aspetti di interazione del cittadino con le infrastrutture sopracitate.

Una Pubblica Amministrazione che adottasse un approccio realmente “Data-Driven” potrebbe essere vista come una delle moderne auto che sono state sviluppate per guidare in autonomia. Si tratterebbe quindi di un soggetto che possiede una serie di dati proprietari e che è in grado di raccoglierne altri dall’esterno. Questi Dati – per quanto possano essere “Big”- da soli sono privi di significato a meno di non essere elaborati con un motore che sia in grado di supportare decisioni – siano esse strategiche, tattiche o operative – di chi governa il mezzo e, possibilmente, di automatizzarle. In sostanza, ogni pubblica amministrazione dovrebbe essere in grado di arrivare a conoscere profondamente il cittadino e il contesto in cui lui si muove, al fine di prendere decisioni migliori e di farlo più velocemente, anche grazie ad algoritmi che sostituiscano il lavoro dell’uomo. La sfida maggiore, tuttavia, è insita nel fatto rendere davvero “intima” questa conoscenza, facendo sì che il cittadino stesso – in ottica del tutto Open – possa fruire dei dati della Pubblica Amministrazione e condividerne altri che riguardano le sue esigenze e necessità. Infine, sfruttando il ruolo delle Amministrazioni Centrali e la non concorrenza fra Amministrazioni Locali, i dati raccolti dai cittadini devono essere messi a fattor comune, così che possano essere visionati e utilizzati da tutti e, soprattutto, diventino il fulcro per la costruzione e comunicazione di linee guida per la comunità.

Questo tipo di approccio, almeno oggi, è ancora molto lontano dall’essere concreto. Sulla scia di quanto fatto dai governi inglesi e americani, anche l’Italia si sta muovendo verso il tema degli Open Data, che rappresentano però oggi solo un repository di informazioni, spesso aggregate, che viene reso disponibili in modalità aperta. In pochi casi isolati, si vedono invece città che rendono disponibili ai propri cittadini strumenti tecnologici per raccogliere e arricchire questi dati, come ambienti per la condivisione di idee sulle allocazioni di budget, piuttosto che App Mobile con cui segnalare problematiche legate a servizi collettivi (es. buche nelle strade). Più diffuse invece le progettualità nell’ambito Smart City che, tuttavia, appaiono spesso dei piccoli gioielli – in grado di rendere intelligente l’illuminazione, rendere dinamico il numero di parcheggi per disabili o il senso di marcia di una strada in base al traffico – in un contesto ancora non pronto e, sicuramente, non diffuso.

Sono sicuramente molto lontani gli scenari d’oltreoceano in cui i dati sono realmente trasformati in qualcosa di fruibile e a valore aggiunto. Pensiamo a come sia possibile usare gli Open Data per scegliere il ristorante di New York in cui andare a mangiare guardando ai dati delle ispezioni igenico-sanitarie svolte dall’ente di riferimento negli anni e al tipo di motivi per cui il locale è stato ripreso. Allo stesso modo, pensiamo allo scenario futuristico in cui una delle nostre città, esattamente come fatto da quella di San Francisco, condivida lo storico dei crimini registrati negli anni chiedendo a Kaggle – la più grande community online di Data Scientist nel mondo – di sviluppare un modello predittivo che possa dire in anticipo quando e dove c’è la più elevata probabilità che si verifichi un determinato accadimento, così da ottimizzare il routing delle pattuglie di polizia e pompieri.

In conclusione, la lettura complessiva dello scenario ci porta a dire che c’è ancora tanta strada da fare e che questa, forse, va percorsa sulla scia di quanto svolto dalle aziende private, ancor più che con riferimento ai governi esteri. I servizi delle Pubbliche Amministrazioni dovrebbero essere elencati in modo chiaro ed auto-esplicativo come quelli di una delle tante aziende che quotidianamente ci propongono i loro prodotti in televisione o sul web. Proprio come loro, attraverso le App che troviamo sul nostro telefonino e i siti web, la Pubblica Amministrazione dovrebbe raccogliere dati per profilarci in maniera più intelligente, comprendo le nostre specificità e proponendosi in anticipo per risolvere nostri potenziali problemi, nella via più veloce ed efficace. Il ruolo chiave è quello delle Amministrazioni Centrali che, grazie alla complessità del nostro sistema paese, spesso non sembrano in grado di snellire i processi burocratici ma, al contrario, generano un “effetto caos” in cui i loro stessi operatori non riescono a star dietro ai cambi normativi e a supportare i cittadini nell’espletamento delle loro richieste. Pensiamo quindi a quale sarebbe l’impatto delle tanto nominate tecnologie di Cognitive Computing, in cui un cittadino può dialogare con un operatore virtuale che, in una frazione di secondo, è in grado di interpretare correttamente la richiesta, leggere migliaia di documenti legati a quel contesto e, infine, fornire al cittadino la risposta corretta, un supporto in real-time nella compilazione di un documento o un estratto di tutti i paragrafi rilevanti dei documenti letti, con evidenziate in grassetto le parti chiave per risolvere il quesito. Questo tipo di tecnologia, che per molti appare ancora fantascienza, grazie alle più moderne tecniche di Machine Learning, è assolutamente reale e concreta, tanto da essere utilizzata con successo da diverse aziende private. Compito della PA è di sfruttare la crescita di maturità che gli stessi cittadini otterranno dall’utilizzo commerciale di queste tecnologie per predisporre gli stessi servizi nei propri touchpoint, per poi sfruttarne gli incalcolabili benefici a livello di efficienza ed efficacia.

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