La governance della politica sanitaria unitaria affidata alla Cabina di Regia: lo scenario italiano

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Abbiamo ragionato su quello che alcune regioni stanno facendo per lo sviluppo di modelli integrati di presa in carico delle cronicità con Renato Botti, coordinatore tecnico della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni. Attuare la cronicità, attuare la presa in carico del paziente e seguirlo longitudinalmente e trasversalmente nei suoi punti di accesso all’interno del SSN significa rivedere completamente tutti i processi, compresi i sistemi e flussi informativi. A FORUM PA LOMBARDIA una tavola rotonda delle regioni che riprenderà questi argomenti

22 Novembre 2017

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Patrizia Fortunato

La Cabina di regia nazionale, prevista nel Piano nazionale della Cronicità 2016 per la diffusione delle buone pratiche, la valutazione dei modelli innovativi di gestione proattiva delle patologie croniche e il confronto di tutte le iniziative assistenziali regionali da portare a sistema, ancora oggi non è attiva.

Eppure è passato più di un anno da quando le priorità del Piano sono state approvate in Conferenza Stato-Regioni in via definitiva; eppure la Cabina di regia è stata pensata per consolidare un approccio nazionale e programmatico sulle modalità di assistenza dei pazienti cronici. Un modello sostenibile a supporto della governance sanitaria, affidato alla Cabina di regia, voluto dal Ministero della Salute.

Qual è lo scenario che abbiamo in Italia? A che punto sono le regioni nel recepimento del piano?

Tutte le regioni in qualche modo si stanno muovendo. Abbiamo ragionato su quello che alcune regioni stanno facendo per lo sviluppo di modelli integrati di presa in carico delle cronicità con Renato Botti, coordinatore tecnico della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e rappresentante della regione Piemonte all’interno della Cabina di regia nazionale. Oltre il Piemonte, le regioni che hanno nominato i loro rappresentanti all’interno della cabina sono Lombardia, Campania e Puglia.

“C’è chi naturalmente – afferma Botti – si è mosso da prima ed è già a un buon punto di attuazione e sono buona parte delle regioni del centro-nord Italia – Emilia, Toscana, Veneto, Lombardia, Marche”. Botti è certo che stanno lavorando specificatamente sul tema anche alcune regioni del sud (vedi Puglia), non ha notizie puntuali delle regioni e province autonome.

Chi ha avviato un modello particolarmente innovativo è la Lombardia col famoso progetto CReG (Chronic Related Group), che rappresenta una modalità di classificazione degli assistiti cronici e di presa in carico onnicomprensiva. “Altre regioni – continua Botti -, pur non avendo creato come la Lombardia un sistema di classificazione delle attività rivolte a determinate categorie di pazienti, stanno lavorando nell’attivazione del Chronic Care Model, cercando di stratificare la popolazione secondo i criteri di rischi o di patologia e favorirne la presa in carica con il coinvolgimento delle attuali organizzazioni, e non di specifici provider come ha previsto la delibera del CReG”.

Renato Botti ci ha permesso di ampliare la nostra conoscenza sul percorso avviato dalla regione Piemonte, con il suo contributo di Direttore generale salute della regione.

“Il Piemonte ha iniziato questo lavoro di presa in carico del paziente quest’anno: rispetto ad altre regioni del centro-nord, non siamo allo stesso livello di sviluppo – sottolinea Botti -, ma stiamo cercando di recuperare un po’ di terreno. La prima questione importante è che siamo di fronte a un cambiamento sistemico dell’approccio alla cura che richiede un lavoro rilevante di verifica delle organizzazioni, verifica degli approcci culturali e un coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti”.

Per “attori coinvolti” Botti intende le istituzioni, gli operatori, i professionisti, gli specialisti, i medici di medicina generale, gli infermieri professionali, gli assistenti sociali, gli psicologi e anche tutta una serie di attori di seconda istituzione, come i rappresentanti dei pazienti e delle farmacie. Il tema implica un ripensamento complessivo della gestione dei processi di tutto il sistema.

“Sistema che – specifica Botti – è stato costruito con logiche che avevano sicuramente una loro ragione, ma che erano logiche settoriali, a sylos: l’acuzia, la post-acuzie, la medicina generale, la farmaceutica. Tutto il sistema organizzativo e regolatorio del Servizio Sanitario Nazionale è uniformato a questa visione a sylos. Tutti i meccanismi, anche normativi – l’autorizzazione, l’accreditamento, i sistemi di remunerazione, le tariffe, gli accordi contrattuali, i sistemi di compensazione dei professionisti – sono legati a questa visione ‘verticale’ e quindi è chiaro che attuare la cronicità, attuare la presa in carico del paziente e seguirlo longitudinalmente e trasversalmente nei suoi punti di accesso all’interno del SSN significa rivedere completamente tutti i processi, compresi i sistemi e flussi informativi. Anche questi – e in Italia sono tanti e di eccellente livello – sono di norma articolati per livello assistenziale – l’ospedaliera, la specialistica, la farmaceutica e così via -, e si fa molta fatica a incrociare i dati”.

L’uso delle nuove tecnologie (vedi telemedicina) e di sistemi, flussi e dati informativi ‘connessi’ alla persona ha un’importanza strategica, ma pone non pochi problemi in termini di privacy. “Sui sistemi informativi – precisa Botti – come è noto c’è la necessità di definire con il Garante della protezione dei dati personali un accordo strategico affinché si possano utilizzare, con logiche di ‘governance istituzionale’ e nel rispetto dell’anonimato, i dati disponibili per classificare effettivamente la popolazione nelle sue categorie di rischio-bisogno; altrimenti, con ogni probabilità faremo fatica ad attuare anche la prima fase prevista dal piano delle cronicità (la c.d. stratificazione)”.

Un ulteriore elemento interessante di questo nuovo orientamento, secondo Botti, è proprio la capacità di utilizzare tecnologie, intendendo per tecnologie tutto il sistema di software, di gestione di dati, e di device collegati: “Dispositivi che facilitano effettivamente il servizio al cittadino, per essere monitorato a distanza e poter rilevare una serie di parametri, che consentono di conoscerne lo stato di salute, prevenire i rischi, favorirlo nell’aderenza alla terapia e nella sua auto-cura quotidiana”.

Uno dei punti del piano è il cosiddetto empowerment, che adesso viene tradotto anche in engagement. “Non c’è dubbio – continua Botti – che questo sia un elemento fondamentale, anche se oggi si stanno costruendo dei dispostivi e delle tecnologie di uso molto semplice per il cittadino; ci sono dei sistemi che consentono, attraverso una semplice misurazione del peso sulla bilancia (così come per altri dispositivi), che il dato venga direttamente “catturato” e inviato a una centrale di elaborazione. Il cittadino non fa altro che usare determinati device, che sono già nativamente collegati a una rete informativa. Su questo le tecnologie ci sono e faciliterebbero molto l’assistenza al cittadino: il problema è che non siamo ancora stati in grado (ma non è solo un problema italiano) di portare queste tecnologie a sistema, di inserirle nell’organizzazione dei nostri servizi, e renderle funzionali, se non in qualche piccola sperimentazione. Bisogna che tutti ne siano consapevoli e che ci siano anche delle regole per cui questi oggetti entrino nella pratica quotidiana, siano accreditati e in qualche modo erogati all’interno del servizio sanitario nazionale”.

Tornado alla necessità di fare un’operazione complessa di coinvolgimento di tutti gli operatori del sistema sanitario, Botti riporta alla memoria un evento significativo di qualche settimana fa durante una riunione di Commissione Salute con gli esperti del OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sul tema dell’integrazione dei percorsi per la cronicità. “Mi ha molto colpito una recente presentazione di un’economista dell’OMS che, proiettando una slide, ha più volte ripetuto la frase “you get what you pay for”, “tu ottieni quello che paghi”. Quindi – afferma Botti – se noi continuiamo a pagare singole prestazioni, otterremo singole prestazioni e faremo fatica a trovare soluzioni per la continuità assistenziale. Dobbiamo avere il coraggio di ripensare anche i sistemi di remunerazione e incentivare così l’integrazione e la presa in carico dell’assistito”.

Altra componente essenziale per la buona riuscita di questo piano è, secondo il Direttore Generale, l’intero coinvolgimento della medicina generale che si augura accolga pienamente la grande sfida, come scritto nel piano nazionale delle cronicità. I medici di medicina generale sono i primi attori responsabili del coordinamento clinico del paziente, salvo quando il paziente è particolarmente grave ed è preso in carico dallo specialista.

Botti chiude augurandosi che venga attivata la cabina di regia, credendo che questo sia il primo punto da porre all’ordine del giorno.

A FORUM PA LOMBARDIA una tavola rotonda delle regioni che riprenderà questi argomenti.

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