Cosa vuol dire “smart”? Sostenibile, partecipata, senziente: ecco la città che vorremmo…
Oggi il termine “smart” è una tendenza, sembra adatto o adattabile ad ogni cosa, troppo inflazionato, troppo usato da politici, vendors, professionisti. Perché si fa presto a dire “smart city”, più difficile è invece capirne il significato e costruire, in un’ottica olistica, processi e progetti integrati. Perché il percorso per diventare una “smart city” non è un percorso facile, anzi è lungo e articolato, richiede lungimiranza ed investimenti sugli strumenti, ma anche sulle risorse, sui processi e sull’organizzazione. Perché la tecnologia e gli strumenti sono pronti ma noi culturalmente non lo siamo. Allora cerchiamo di restituire a questo termine il giusto significato…
23 Luglio 2012
Miriam Ruggiero*
Oggi il termine “smart” è una tendenza, sembra adatto o adattabile ad ogni cosa, troppo inflazionato, troppo usato da politici, vendors, professionisti. Perché si fa presto a dire “smart city”, più difficile è invece capirne il significato e costruire, in un’ottica olistica, processi e progetti integrati. Perché il percorso per diventare una “smart city” non è un percorso facile, anzi è lungo e articolato, richiede lungimiranza ed investimenti sugli strumenti, ma anche sulle risorse, sui processi e sull’organizzazione. Perché la tecnologia e gli strumenti sono pronti ma noi culturalmente non lo siamo. Allora cerchiamo di restituire a questo termine il giusto significato…
Una smart city comprende l’importanza della gestione del processo “smart city” e definisce i suoi obiettivi
Ogni città deve porsi i propri obiettivi strategici e trovare la propria strada, perché le condizioni di partenza sono soggettive. Per fare questo, prima di tutto, è necessaria una profonda conoscenza della realtà locale, dei bisogni della collettività, delle criticità e della situazione che deve essere gestita.
È necessario fare ricerca nei fattori e nelle tecnologie abilitanti, una ricerca interdisciplinare che si basi su forti competenze specifiche tecnologiche, economiche e sociali per arrivare alla definizione di una metodologia che possa sfruttare in modo coordinato tutte le competenze specifiche.
Gli obiettivi devono essere raggiungibili, quantificabili, condivisi tra tutti gli stakeholder e definiti nel tempo.
Si deve poi passare all’elaborazione di un piano strategico e di una road map con una quantificazione degli investimenti e dei possibili ritorni e, infine, si deve costruire un sistema di indicatori per monitorare il progetto, “misurarne” le componenti, le lacune, i progressi, le tendenze positive, quelle negative, e i passi che ancora restano da compiere. La misurabilità deve monitorare performance, efficacia e sostenibilità.
Per fare questo la città deveinvestire su professionalità qualificate e competenti, che siano in grado di gestire processi innovativi, che abbiano capacità relazionali e che sappiano guardare lontano con interventi basati su un approccio complessivo e non occasionale.
Una smart city è un luogo di governance, orientata ai cittadini a ai loro bisogni
La smart city non “risponde” solo al governo della giunta comunale, ma è la governance di soggetti pubblici e privati, che detengono la conoscenza, che condividono processi, che producono innovazione, che non si rispecchiano in un modello gerarchico. Non solo. Il termine governance indica non solo un processo di condivisione, ma anche una capacità di previsione e una volontà di favorire l’innovazione.
In tale ottica è necessario costituire una task force sinergica in cui tutti (enti pubblici, aziende, cittadini, banche, istituti di ricerca, università, ecc.) concorrano a definire un nuovo modello di sostenibilità, basato sia su interventi tecnologici ma anche su buone pratiche e virtuose abitudini di consumo, in cui tutti concorrano ad individuare soluzioni per la città, frutto di partecipazione e intelligenza collettiva.
Come detto, un progetto di smart city, partecipato, richiede prima di tutto l’analisi dei bisogni dei cittadini (dove vivono, dove lavorano, cosa fanno nel tempo libero, ecc) il loro coinvolgimento nel dibattito pubblico, successivamente la consultazione dei portatori di interesse ed infine la definizione di obiettivi e indicatori comuni.
In questa azione sinergica comune ad ognuno spetta il suo ruolo. Progettare “smart city” è uno scenario che richiede infatti alle Pubbliche Amministrazioni grandi capacità di project management, gestione di nuove tecnologie e nuove modalità di relazione con tutti gli attori coinvolti. L’ente locale deve ridefinire il suo ruolo, non è più infatti committente per beni o prodotti, ma deve saper valutare le soluzioni ai problemi in modo trasversale, deve essere elemento di aggregazione di soggetti differenti e facilitatore nella realizzazione degli interventi, condividendo le scelte con la cittadinanza e instaurando una partnership con i soggetti privati. Il coinvolgimento delle aziende deve avvenire in modo mirato, attraverso una prima fase di “mappatura” delle aziende presenti sul territorio e una successiva analisi e profilazione delle loro competenze.
Le aziende (grandi vendors, piccole e medie imprese, ecc.) dal canto loro, non devono solo “fare business”, anzi devono supportare la PA nella co-progettazione di una smart city, nella definizione di un piano di sviluppo e delle priorità di intervento, nella selezione e nel coordinamento di tecnologie, nella definizione di servizi ai cittadini, nel passaggio dei progetti sperimentali in “prodotti industriali” replicabili.
Le università ed i centri di ricerca devono trasferire alla comunità i risultati delle sperimentazioni ed elaborare gli strumenti per la misurazione delle componenti del progetto smart city.
I cittadini, infine, devono imparare ad usare la smart city in tutti i suoi molteplici aspetti.
Una smart city non “corre da sola”
Non esiste un modello “universale” di smart city: si devono elaborare modelli innovativi, trasversali, realizzabili, misurabili, replicabili, flessibili e finanziabili, basati su caratteristiche intrinseche della città, su efficienza, crescita e vivibilità.
È fondamentale bilanciare le due dinamiche – top down e bottom up – in modo da riuscire a ottenere i servizi migliori per tutti noi, per le persone che vivono in città. Quindi è richiesta sia un’elevata capacità di valutare le singole situazioni, mettendo in atto risposte specifiche, sia la capacità di elaborare protocolli, che riescano, successivamente, a prescindere dal particolare.
Inoltre si deve uscire dai sistemi altamente qualificati ma verticali per entrare in un’ottica orizzontale, trasversale, che sappia coinvolgere tutti gli ambiti in modo integrato (IT, pianificazione territoriale, sociale, istruzione, ecc) e che sappia ottimizzare costi e risorse.
I modelli devono essere messi a disposizione di tutti per non ripartire sempre da zero. C’è senza dubbio la possibilità di capitalizzare esperienze di altri e replicare i progetti, adattandoli alle singole specificità urbane, mettendo a fattor comune le best practice già esistenti; ma nella fase successiva è necessario uscire dai progetti pilota, sparsi sul territorio, ed elaborare modelli “industriali”, “customizzati” con le esigenze specifiche della città: il vero elemento ancora debole in Italia è l’incapacità di “fare sistema” e di “fare rete” tra città.
Una smart city è una città senziente
Una città senziente è una città che conosce quello che ha e che prende decisioni sulla base di informazioni aggiornate, certe e condivise.
Nella smart city le banche dati diventano veri e propri sensori, in grado di rilevare quotidianamente le variazioni nella vita degli immobili, dei cittadini, delle aziende, dei consumi, ecc.
La città intelligente è un luogo dove dati cartografici digitalizzati vengono “mesciati” (mashup) e integrati con informazioni provenienti da diversi soggetti pubblici (Comuni, Agenzia del Territorio, Camere di Commercio, Aziende dei servizi, ecc.), con i dati rilevati dai sensori (centraline di raccolta dati meteo, di qualità dell’aria, contatori elettronici, sul traffico, videosorveglianza, ecc), con i commenti su Facebook o taggati su Flickr o Twittati.
La sfida della smart city è nella complessità della gestione di dati eterogenei, che, come visto, possono provenire da una varietà di sorgenti, creando un modello integrato e trasversale.
L’integrazione di tali dati permette di ampliare le conoscenze e di ridurre i tempi di reazione rispetto all’accadere dei fatti sul territorio.
Infatti, utilizzando questo patrimonio di conoscenze dettagliato ed aggiornato, il decisore ha la possibilità di prendere decisioni a ‘grana fine’ , ottimizzando al massimo le risorse disponibili con interventi puntuali e precisi che garantiscono il massimo rapporto prestazioni / costi e garantendo uno sviluppo sostenibile.
In questi tempi di razionalizzazione delle risorse, la via della gestione oculata delle risorse da investire nel welfare e dalla pianificazione accurata di quest’ultimo appare sicuramente più complessa ma certo più efficace, anche in termini di consenso e di qualità di vita dei cittadini.
Una smart city fa circolare la conoscenza
La smart city non deve dotarsi di software e hardware fini a se stessi, la città intelligente è il luogo dove gli essere umani usano consapevolmente software e hardware, attingono alla conoscenza condivisa, generano essi stessa conoscenza.
Da una parte chi prende decisioni deve avere le informazioni pienamente disponibili nel proprio contesto operativo, devono essere sviluppati modelli interpretativi e predittivi per la consultazione dei dati e la simulazione degli effetti delle decisioni per aumentare il valore delle informazioni raccolte.
Dall’altra parte gli strumenti di crowdsourcing e i dati liberi (open data) consentono di far leva sull’intelligenza collettiva: i dati messi a disposizione delle persone che lavorano, studiano, fanno ricerca, visitano, e vivono sul territorio generano innovazione, nuove idee ed evoluzioni infinite.
Una smart city è una città che conosce il suo territorio
Una smart city conosce quello che succede sul proprio territorio: per ottenere tempestività di aggiornamento e certezza di informazione è fondamentale l’integrazione dei sistemi di gestione / sensori della smart city rispetto al territorio nei vari ambiti (popolazione, imprese e commercio, edilizia, patrimonio, strumenti urbanistici, imposte, verde, istruzione, strade e viabilità, ecc).
I dati, in questo modo, diventano maggiormente fruibili e consultabili attraverso la loro rappresentazione cartografica (mappe) e in modo integrato, eliminando le divisioni legate all’organizzazione che li hanno originati (dati di fonte comunale piuttosto che dell’azienda dei servizi, ecc). Inoltre, utilizzando gli strumenti dell’infrastruttura di dati territoriali, i diversi utenti possono eseguire delle semplici consultazioni puntuali (chi abita e quali imprese sono presenti in un determinato fabbricato), rappresentazioni tematiche delle informazioni sul territorio (quali sono le zone della città più popolose o carenti di servizi), fino a complesse analisi spaziali basate sull’incrocio di dati urbanistici, ambientali, demografici ed economici.
In questo senso, una smart city deve conoscere, ad esempio, i servizi a disposizione dei cittadini e lo fa attraverso l’elaborazione del Piano dei servizi, componente essenziale per il successivo aggiornamento del Piano Urbanistico Comunale. Il Piano dei Servizi parte da un confronto fra domanda e offerta: la domanda prende in considerazione informazioni sulla popolazione presente (anagrafe), sulla composizione per fasce di età della popolazione, sulla popolazione futura (pianificazione edilizia e evoluzione demografica attesa), sulle aziende che offrono servizi alle persone o alle famiglie, sullo stato e sulla tipologia degli immobili (sistema immobili), sulla disponibilità di aree, attrezzature, servizi e beni di proprietà comunale (sistema informativo territoriale e patrimonio), sulla domanda di sicurezza del sistema stradale (incidentalità). L’offerta viene letta attraverso l’interpretazione della banca dati del patrimonio, del verde, dell’ambiente, delle reti, dell’accessibilità ai servizi e della strumentazione urbanistica vigente. Attraverso un confronto fra la domanda e l’offerta è possibile determinare, per ciascuna zona urbanistica, una valutazione di criticità: da tale valutazione di criticità deriva l’individuazione delle politiche di intervento (ad esempio incremento dell’offerta per le zone urbanistiche carenti). Dalla quantificazione parametrica degli interventi di riallineamento si può, infine, desumere il costo di massima degli interventi necessari all’attuazione delle politiche individuate.
Una smart city pianifica uno sviluppo sostenibile ed è competitiva
Una smart city è il luogo che cambia il nostro modo di vivere: l’utilizzo dei dati in modo intelligente migliorerà la qualità di vita dei cittadini.
Lo migliorerà attraverso la riqualificazione energetica degli edifici, la decontestualizzazione delle attività (riducendo movimenti e trasporti), l’ottimizzazione dei flussi energetici (smart grids), la gestione e l’aggiornamento “in tempo reale” della pianificazione strategica aggiornata (Piano dei servizi, VALSAT, ecc.)….
Una città smart è una città quindi competitiva perché dà servizi migliori, attira investitori e ceti emergenti, genera valore e offre una migliore qualità di vita.
Una smart city è un sogno
Il sogno di una smart city è una città dove è presente la giusta consapevolezza, dove è avvenuto un cambiamento culturale, dove non si improvvisano processi verticali, ma si pianifica e si gestisce un sistema trasversale con professionalità e coscienza…dove il processo costruttivo non è più solo “una norma di legge” o una professione, ma una convinzione etica, morale e sociale, dove ci si interroga quotidianamente e non solo quando la Terra si muove, dove non si piangono più i morti nei luoghi di lavoro…qui in Emilia come altrove….
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