Spendere meno, spendere meglio: come vincere la sfida della salute

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I processi di innovazione, insieme e parallelamente a quelli di riorganizzazione, sono l’unica soluzione possibile per impedire al sistema sanitario di implodere, e bisogna partire da un’attenzione analitica agli sprechi, da un fondato sistema di valutazione, da un piano strategico. Spendere meno e spendere meglio, questa la sfida che ancora è possibile vincere

14 Aprile 2016

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Enrico Zampedri, direttore del Policlinico Universitario A. Gemelli - Università Cattolica del Sacro Cuore

I trend demografici, i bisogni del Servizio Sanitario nazionale, l’evoluzione tecnologica della scienza medica e la necessità di risposte urgenti, necessarie e in condizione di risorse economiche scarse e sempre minori sono temi da anni allo studio degli organismi accademici, scientifici e di settore nazionali e internazionali. La società, non solo scientifica, ma sempre di più anche quella pubblica e generale, ne stanno prendendo coscienza ed è in aumento la consapevolezza, ormai anche a livello di pubblica opinione, che la crisi economica e di sistema impone nuove soluzioni, in uno scenario in cui l’aumento delle malattie cronico-degenerative, della fragilità, della disabilità, del trasferimento sulle famiglie di quote sempre maggiori di spese sanitarie e di assistenza, costringe senza possibilità di attesa a spendere meno risorse, dati i vincoli restrittivi e obbligati di bilancio e, soprattutto, a spendere meglio.

Perché, allora, innovare? Cioè, allocare risorse in nuove spese per investimenti in processi e tecnologia se si è, appunto, in una condizione critica di risorse finanziarie scarse e sempre più scarse?

Perché sono esattamente i processi di innovazione, insieme e parallelamente a quelli di riorganizzazione, l’unica soluzione possibile, allo stato, per impedire al sistema di implodere e non reggere all’urto concomitante di tante variabili negative e in aumento.

Il primo passo verso una razionalizzazione economica del sistema e verso la sua riorganizzazione è un’attenzione analitica agli sprechi. Secondo le ultime dimostrazioni della Fondazione GIMBE, il 42% degli sprechi in Sanità è dato dal sovrautilizzo di interventi inefficaci e inappropriati e dal sottoutilizzo di interventi sanitari efficaci e appropriati. Nel primo caso, anche a causa del diffondersi della cosiddetta “medicina difensiva”, si è moltiplicata l’offerta di prestazioni diagnostico-terapeutiche che sembrano soddisfare i cittadini-pazienti, ma non migliorano realmente il loro stato di salute. Nel secondo caso, non vengono utilizzati interventi efficaci e appropriati a causa del ritardo nell’applicazione dei risultati delle ricerca scientifica e della loro implementazione nella pratica medica. Naturalmente, il quadro degli sprechi si completa, secondo questi studi, con una percentuale del 20% di frodi, abusi e corruzione, con un 22% dovuto a complessità amministrative e inadeguato coordinamento dell’assistenza e con il restante 16% dovuto all’acquisto a costi eccessivi di tecnologie sanitarie e beni e servizi non sanitari.

Che fare, allora?

Prima di riorganizzare la rete ospedaliera, di programmare strutture per intensità di cure e programmare nuovi investimenti la necessità primaria è, appunto, disinvestire: evitare, cioè, sprechi e inefficienze. E questo è possibile solo se è presente ed efficace un adeguato sistema di valutazione. Tale sistema, presente ed effettivo nel nostro Paese con riguardo alla farmaceutica, è ancora inefficace relativamente ad altre innovazioni: i programmi ICT, i nuovi presidi medici, i prodotti elettromedicali e le nuove procedure diagnostiche e chirurgiche non vengono sottoposti ad un serio sistema di HTA (Health Technology Assessment) che, attraverso lo studio della letteratura e un processo fondato di giudizio tutti gli stakeholder del sistema, porti a decisioni oggettive, condivise e, pertanto, efficaci.

E’ chiaro che questo implica una vera rivoluzione culturale: si tratta, infatti, di ripensare il processo decisionale, di non passare più attraverso il criterio della scelta individuale o di convenienza nel breve periodo e spesso non fondata su basi scientifiche, ma di uniformarla sulla base di dati comprovati e dimostrabili.

Il sistema politico della Salute non può evidentemente più sostenere lo stato delle cose come sempre sono state gestite: è necessario, lo impone e previene la realtà dei bisogni della popolazione, un cambio di paradigma e di orientamento. L’innovazione – tecnologica e organizzativa – non solo si può, ma si deve realizzare. Una volta contenuti ed evitati gli sprechi si potrà lavorare in sinergia fra tutti i protagonisti del sistema (cittadini, operatori, professionisti, decisori) ad introdurre nuove strategie e implementare i comportamenti. Ma certamente bisogna liberare risorse, liberandole dal “virus” della non valutazione, della non oggettiva analisi della funzione, del perpetuarsi di comportamenti e strutture che, se per decenni di migliori condizioni economiche hanno potuto funzionare, ora non sono più applicabili.

Nella lezione magistrale tenuta lo scorso 26 giugno 2015 all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, promossa dall’Alta Scuola di Economia e management dei Servizi Sanitari (ALTEMS) in collaborazione con il centro di Ricerche e Studi in management Sanitario (CERISMAS), il Prof. Gary Pisano (Harvard Business School) si chiedeva “Can science be a business?”, accostando due temi e concetti che, sino a pochi anni fa, sembravano quasi in contraddizione o comunque relativi al mondo dell’industria farmaceutica e dell’iniziativa privata. Il Prof. Pisano, comparando un “modello passivo”, un “modello imprenditoriale accademico” e un “modello di ecosistema” (basato sulla collaborazione di attori e protagonisti multipli e in sinergia) concludeva con preziosi consigli per il contesto sanitario e scientifico italiano: creare un “science based business”, basato sulla sinergia di Università e start up dell’innovazione tecnologica, naturalmente su un fondato sistema di valutazione.

Quindi, da un lato una corretta ed evidence-based valutazione delle tecnologie esistenti e delle innovazioni previste, dall’altro l’implementazione di sistemi di ICT, di applicazione delle tecnologie digitali che rispondono all’esigenza di riorganizzazione del sistema in rete che può contenere gli sprechi, garantire informazione e comunicazione e ottimizzare i tempi di accesso dei cittadini, specialmente i più fragili, alle cure.

Il sistema sanitario è un insieme complesso ove agiscono, contemporaneamente, il mondo della ricerca e dell’Università, il mondo dei cittadini-pazienti sempre più informati e consapevoli, il mondo dell’industria e, non da ultimo, il modo della politica che è chiamato a scrivere e, se necessario modificare, le regole. Bisogna dunque, e non è più tempo di aspettare, che tutti i protagonisti si impegnino in un fondato e razionale “Piano strategico dell’innovazione tecnologica in sanità”. La risposta è univoca ed esigente: tradurre i risultati della ricerca in innovazione, diffondere una cultura della valutazione scientificamente fondata, adottare nuove pratiche da essa derivanti nella pratica sanitaria affinché il risultato finale sia un maggiore e più rapido accesso dei pazienti alle terapie più personalizzate ed efficaci e, nel contempo, economicamente sostenibili.

Spendere meno e spendere meglio: la sfida non è affatto persa. Se si vuole, se tutti gli attori del sistema lavorano razionalmente, su basi di evidenza scientifica e in sinergia, è una sfida che si può sicuramente vincere.

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