“È necessaria la programmazione per le smart city oppure la programmazione è un qualche cosa che imbriglia, che mette dei vincoli all’approccio smart city?” È con questo interrogativo che inizia la nostra conversazione con
Renato Galliano, Direttore della Direzione Economia Urbana e Lavoro del Comune di Milano, che il 18 ottobre a ICity Lab 2018 interverrà in un Academy dal titolo
“Smart city e programmazione strategica: il caso di Milano”.Galliano nel comporre un quadro di riferimento delle azioni di governo a livello locale, richiama le differenze che vi sono tra programmazione e pianificazione strategica.
“È necessario avere una pianificazione strategica di orizzonte, partire da obiettivi alti, tipo quelli dell’ONU del Millennium Development Goals che non sono solo legati alla relazione Nord-Sud del mondo o ai paesi in via di sviluppo ma che definiscono i sotto-obiettivi da raggiungere per migliorare le condizioni di vita o di lavoro all’interno delle nostre aree urbane. Occorre quindi che ci sia una filiera verticale che passa dagli obiettivi molto alti, che vengono declinati a livello della Commissione Europea o dell’Unione Europea in indirizzi più strategici rispetto al continente, che vengono ulteriormente declinati a livello nazionale sino ad arrivare sul tavolo delle città”.
Occorre all’interno di uno spazio urbano una certa operatività programmatoria che integri nei progetti e nei processi la filiera strategica. “È necessario – sottolinea Galliano – avere una programmazione che sia molto fluida e che possa adeguarsi ai rapidi cambiamenti che la tecnologia con la società richiedono nel governo delle città, anche dal punto di vista smart city”.Un aspetto che emerge da questa riflessione è la visione integrata, di interdipendenza delle politiche urbane per la smart city, di integrazione di tutte le attività di intervento nella città: mobilità, energia, welfare, housing sociale, inclusione.Date queste premesse, il Direttore Galliano evidenzia
due macro obiettivi che Milano si è data e gli impatti prodotti dai progetti stessi. Il primo obiettivo è la facilitazione della creazione di valore locale; il secondo è l’anticipazione di fenomeni della realtà economico-sociale, in altri termini la facilitazione della transizione verso i nuovi paradigmi del vivere e del produrre in una città.
Facilitare la creazione di lavoro per un ente pubblico locale vuol dire intervenire favorendo l’apertura del mercato e per Milano ha significato intervenire sulla facilitazione della sperimentazione di forme ibride (profit-non profit), sulle filiere economiche attraverso una serie di aggregazione di soggetti come nel caso della sharing cities.Galliano è convinto che anche l’intervento da parte del pubblico nelle aree di fallimento di mercato sia un punto in grado di favorire la creazione di valore. Un esempio è il lavoro che il Comune di Milano sta facendo sulla valorizzazione delle periferie dal punto vista tecnologico, sociale, economico e produttivo.Il secondo assunto, ovvero quello di
facilitare la transizione verso nuovi paradigmi, viene declinato con il ruolo del Comune per facilitare azioni di frontiera. “Questo si riferisce alla filiera della sharing economy, oppure a sperimentazioni che vengono fatte sull’acquisizione di servizi innovativi (senza arrivare al pre-procurement che è quasi del tutto inapplicabile nel contesto italiano). L’altro aspetto che facilita questa transizione – precisa Galliano – è la semplificazione delle regole, la sburocratizzazione anche delle sperimentazioni, come ad esempio il fatto di individuare delle aree geografiche di innovazione all’interno delle città dove si possa dare l’uso degli spazi pubblici a imprese che vogliono presentare nuovi prodotti o servizi”.
Guardando questa esperienza, si rafforza l’obiettivo di considerare la città come piattaforma per la partecipazione degli operatori, sia pubblici che privati, dei gruppi di persone, delle associazioni, delle piccole imprese, delle startup, delle multinazionali e così via.Il
metodo che si sta utilizzando per raggiungere questo obiettivo è quello della partnership pubblico-privato che è un elemento operativo, nel senso che “in una partnership pubblico-privato non solo si definiscono i ruoli dei due soggetti e l’integrazione tra loro, ma a monte di questo c’è un’altra azione che deve essere fatta per far sì che le partnership pubblico privato funzionino, che è quello della co-creazione degli obiettivi”.Viene fuori un altro aspetto che è “la visione partecipata”, ovvero l’ascolto della città, che “a un livello più generale del ragionamento si colloca a metà tra un concetto liberalista dell’economia, dove l’ente pubblico non mette il bastone tra le ruote del mercato, e un’attività pianificatoria molto pesante rispetto ai ruoli e ai compiti che la pubblica amministrazione si dà”.La conclusione di questa riflessione, a conferma delle premesse, è che sia necessario avere una pianificazione che effettivamente sia strategica, molto di visione che poi viene declinata fino a livello delle città e avere degli strumenti di programmazione che siano lasciati alla gestione delle attività “quotidiane” perché queste devono essere assolutamente allineate con gli avanzamenti tecnologici, con i mutamenti sociali, e così via.Galliano fissa due
elementi critici di questo processo:
il primo è quello legato ai tempi, nel senso che i tempi della pianificazione e della programmazione pubblica non coincidono e stridono con i tempi della realtà e dell’evoluzione sociale e tecnologica. Si pensi al percorso per arrivare ad un piano regolatore del Comune che è molto lungo e complesso; si parte con degli assunti che definiscono la situazione e prima che si arrivi ad un approvazione gli assunti iniziali sono già cambiati.
Il secondo è quello legato all’organizzazione interna dei comuni, ad esempio il tema di governo delle smart city è molto spesso a livello organizzativo annegato dentro gli assessorati o le direzioni che si occupano di altro, come nel caso di Milano che si occupa di sviluppo economico o, in altre città, in direzioni che si occupano di progettazione europea o di sistemi informativi . Ed è subito chiaro che si ricade nel concetto dei silos verticali delle pubbliche amministrazioni.La conclusione è che, per dare attuazione a una pianificazione strategica che guarda lontano, è necessario un sistema di regolamentazione o di intervento molto fluido, che possa essere adattato alla realtà a livello locale e che sia, nel contempo, orizzontale, tagliando trasversalmente l’organizzazione delle Amministrazioni.