No Election Day, ormai una “tradizione” che costa cara e che qualcuno dovrà pur pagare

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Costa almeno 300 milioni di euro il voto disgiunto delle prossime elezioni amministrative e referendum: da dove salteranno fuori i soldi per porre riparo ad uno sperpero economicamente incomprensibile, in un periodo di tagli e vacche magre come quello attuale? Il congelamento di parte del già ridottissimo Fus forse ne è forse una prima conseguenza, ma azzardiamo anche qualche consiglio sparso, e non ci facciamo mancare un accenno a Eduardo De Filippo, fulgido esempio della più vivida cultura del nostro Paese, grandissimo autore ed attore. Un genio che se fosse ancora in mezzo a noi probabilmente non potrebbe evitare di finire anch’esso “tagliato”…

15 Marzo 2011

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Tiziano Marelli

Articolo FPA

Costa almeno 300 milioni di euro il voto disgiunto delle prossime elezioni amministrative e referendum: da dove salteranno fuori i soldi per porre riparo ad uno sperpero economicamente incomprensibile, in un periodo di tagli e vacche magre come quello attuale? Il congelamento di parte del già ridottissimo Fus forse ne è forse una prima conseguenza, ma azzardiamo anche qualche consiglio sparso, e non ci facciamo mancare un accenno a Eduardo De Filippo, fulgido esempio della più vivida cultura del nostro Paese, grandissimo autore ed attore. Un genio che se fosse ancora in mezzo a noi probabilmente non potrebbe evitare di finire anch’esso “tagliato”…

Solo due settimane fa il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha reso noto che le date di svolgimento delle prossime elezioni amministrative e dei referendum saranno diverse. Le prime – che riguardano un migliaio di comuni, e fra i più importanti sono da citare Milano, Torino, Napoli, Bologna e Cagliari – si terranno domenica 15 e lunedì 16 maggio (con eventuali e in molti casi probabilissimi ballottaggi due settimane dopo, il 29 e 30 dello stesso mese); i secondi – conviene ricordarli, che non sono di piccola portata: legittimo impedimento, privatizzazione dell’acqua e riapertura al nucleare – con tutta probabilità slitteranno alla sola domenica 12 giugno, solo due giorni dopo la chiusura delle scuole e giusto tre prima della chiusura definitiva della finestra utile per il voto, quindi all’ultimo momento possibile.

A trionfare, dunque, è stata la linea – fortemente voluta dal Governo – del “No Election Day”, anche se Maroni ha giustificato la decisione dichiarando semplicemente che è stata presa come “da tradizione” per casi di sovrapposizione del genere già capitati in passato, anche se in verità di “tradizionale” ha solo il fatto di rivelarsi vergognosa e suicida. Vergognosa perché così si cerca di evitare – una volta di più – in maniera per niente mascherata, anzi smaccata, il raggiungimento del quorum per i referendum (ricordiamo che a votare dev’essere il 50% più 1 degli aventi diritto al voto, non dei votanti); suicida perché lo sdoppiamento ci costerà almeno (ma forse molto di più, a seconda di stime che sono difficili da fissare in anticipo, soprattutto perché dipendono dal numero di ballottaggi che si dovranno tenere) 300 milioni di euro, che in tempi di tagli e vacche magrissime sono pur sempre un bel tesoretto (vi ricordate quando si sbandierava la bravura nell’accumularlo?). A tal proposito, aggiungo che a me piace sempre rapportare il tutto alle vecchie lire perché le grandezze così mi rendono meglio, e in questo caso il totale secondo la stima più ottimistica fa quasi 600 miliardi di quelle: tutt’altro che noccioline.

La sensazione di profondo fastidio (uso un eufemismo, naturalmente) che ne consegue si accresce vieppiù se si pensa che proprio un esponente dello stesso partito di Maroni, Calderoli, pochi giorni prima della decisione sullo sdoppiamento (anzi: triplicamento) elettorale aveva dichiarato che il nostro Paese non si può permettere un giorno di festività – si riferiva a quello dedicato al 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, che verrà celebrato solo quest’anno, giovedì 17 marzo – perché ne risentirebbe anzitutto l’economia!

Tornando alla spesa inutile conseguente alle imminenti doppie e triple elezioni, risulta evidente che da qualche parte questo salasso deve per forza di cose trovare il modo di essere ripagato. Subito mi è balzato agli occhi il quasi concomitante congelamento (lo hanno chiamato così) di una parte del già esiguo Fus, il Fondo Unico per lo Spettacolo, peraltro recente protagonista passivo di tagli micidiali in occasione dell’ultima Finanziaria, passato in quell’occasione con un sapiente e mirato colpo di bacchetta magica da 410 a 258 milioni di stanziamento, e adesso ridotto – grazie al recentissimo congelamento, appunto – di ulteriori 27 milioni di euro. Mi immagino così del tutto basiti grazie all’ultima e recentissima ibernazione i personaggi di quel mondo  – numerosissimi, qualificatissimi, trasversali a ogni idea personale – che avevano tentato di levare in ogni modo la loro protesta, evidentemente invano, nelle scorse settimane.

Ma siamo ancora lontani dal ripianare i danni economici conseguenti alla “tradizione” che vede il voto disgiunto per elezioni amministrative e referendum, quindi quale sarà la prossima mossa? Viene fin troppo facile un consiglio: scuola, ricerca e università sono così ridotte ai minimi termini che possono ben risultare utili allo scopo, e sparare su di loro può rivelarsi più facile che farlo con gli orsetti al tirassegno dei luna park di antica memoria. Al massimo, qualcuno (magari fra quelli che mandano i figli nelle scuole private, come dice Maria Stella Gelmini, e dev’essere per quello che il numero in poco tempo è bel che raddoppiato) strepiterà e manifesterà senza trovare apparente ascolto nelle stanze giuste, la ministra in questione si appropinquerà a far strage oltre che di insegnanti (ben 20mila i tagli prossimamente previsti) anche di battaglioni di bidelli (ha appena detto in televisione che questi “sono più dei Carabinieri, e lasciano sporche le scuole”: in pratica lo ha già messo in agenda), magari altri contributi alla ricerca verranno scovati dopo ulteriore raschiamento del barile e cancellati in un amen, e pian piano tutto andrà a posto.

Tutta questa storia – assolutamente italiana – meriterebbe di diventare un film o uno spettacolo teatrale se solo ci fossero dei soldi pubblici disponibili, ma abbiamo appena visto che il settore naviga nel ghiaccio, quindi nisba. E pensare che Eduardo De Filippo ne farebbe senz’altro un capolavoro, facendoci ridere per poi magari anche pensare e infine piangere: era una delle sue fantastiche ed indiscusse specialità. Come ebbe modo di dire proprio lui in occasione di un incontro con gli studenti del corso di drammaturgia a “La Sapienza” di Roma poco prima di ritirarsi dalle scene (era il 1981), parlando del suo bellissimo spettacolo ‘Non ti pago’ (che già dal titolo potrebbe valere come risposta corale agli scialacquii di Maroni): “La tragedia di oggi si scrive facendo ridere molto, non superficialmente, ma con (…) degli assurdi palesi. Questa è una delle commedie più tragiche del mio repertorio, eppure fa scoppiare il teatro dalle risate. (…). Io, la tragedia all’Alfieri non mi sento di scriverla (…). La tragedia moderna è quella che fa ridere, affondando il dito nella piaga, nel dramma comune, nella tragedia comune”.

Era un genio assoluto, Eduardo, uno degli esempi più fulgidi della migliore cultura espressa dal nostro Paese. Non ho nessun dubbio che oggi la scure dei tagli si abbatterebbe anche su di lui, senza nessun riguardo né ritegno. Questa sorta di neo tradizionalismo, quando si consolida, finisce per non guardare in faccia proprio a nessuno. 

 

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