Nelle aree montane soluzioni da inventare contro il digital divide
La scienza riesce a creare ponti in grado di proiettare il genere umano su orizzonti fino a quel momento tratteggiati solo nelle opere di scrittori o cineasti fantasy che, spesso, proprio dalla scienza attingono le più illuminate ispirazioni. Questi stessi ponti possono rimanere inaccessibili a molti e creare, o acuire, fratture e lacerazioni nel tessuto economico e sociale. Un esempio? La connessione a banda larga che, laddove manca, dà origine al famigerato digital divide, il cui nome rischia di spostare l’attenzione sulle tecnologie laddove un gap digitale, oggi, è soprattutto un divario sociale. E’ di questo che abbiamo parlato con Enrico Borghi, presidente dell’Uncem, portavoce di una delle aree geografiche italiane maggiormente svantaggiate per carenza di infrastrutture di accesso alla rete.
18 Febbraio 2009
La scienza riesce a creare ponti in grado di proiettare il genere umano su orizzonti fino a quel momento tratteggiati solo nelle opere di scrittori o cineasti fantasy che, spesso, proprio dalla scienza attingono le più illuminate ispirazioni. Questi stessi ponti possono rimanere inaccessibili a molti e creare, o acuire, fratture e lacerazioni nel tessuto economico e sociale. Un esempio? La connessione a banda larga che, laddove manca, dà origine al famigerato digital divide, il cui nome rischia di spostare l’attenzione sulle tecnologie laddove un gap digitale, oggi, è soprattutto un divario sociale. E’ di questo che abbiamo parlato con Enrico Borghi, presidente dell’Uncem, portavoce di una delle aree geografiche italiane maggiormente svantaggiate per carenza di infrastrutture di accesso alla rete.
Da anni si discute del digital divide e della necessità di ridurlo per offrire pari diritti ai cittadini italiani a prescindere dal luogo di residenza. Il divario digitale è però ancora lì, con le stesse questioni irrisolte. Quali sono, dal suo punto di vista, i motivi di questa paralisi?
Il primo aspetto da considerare è che la politica ha, ormai da tempo, abdicato a svolgere la sua funzione di ricerca del bene comune diventando il luogo di confronto tra le grandi lobbies economiche. Di conseguenza, i territori che hanno una vasta estensione e una rarefazione di popolazione e di imprese, come le zone montane, sono messe ai margini poiché non appetibili per gli interessi commerciali delle aziende che, non avendo un rapporto costi/benefici ottimale, si concentrano laddove ci sono margini più ampi di redditività. E la politica segue a ruota.
Forse qui, come in altri casi, occorrerebbe ragionare e agire per priorità di bisogni, consapevoli che i soggetti portatori di interessi sono i cittadini italiani. Perché questo non avviene?
Quello che posso dirle è che con il ministro Gentiloni due anni fa, e prima ancora con il ministro Parisi, avevamo avviato un confronto a cui poi ha fatto seguito lo sblocco delle frequenze in uso presso il Ministero della Difesa per far partire il Wi-Max. Da lì si attendeva l’avvio di un piano nazionale di investimenti che andasse ad individuare puntualmente quali erano le zone montane che potevano e dovevano essere coperte attraverso l’introduzione di queste nuove tecnologie. Questo piano non è, però, mai stato realizzato. Si doveva costruire con il precedente governo un tavolo di lavoro presso il Ministero delle Comunicazioni, cosa che non è stata fatta neanche con l’attuale. Per questo motivo ci ritroviamo a mettere toppe man mano che si manifestano i problemi. Allora può accadere che quando c’è una forte pressione da parte di determinate realtà territoriali, gli Enti Locali cercano di attivarsi realizzando, pro quota e pro capite, pezzi di infrastruttura. E’ evidente che con questo modus agendi è impossibile muoversi all’interno di una logica di sistema. Così oltre ad essere impossibile definire veri obiettivi e parametri standard, si lascia l’iniziativa alla volontà dei singoli territori. E’ chiaro che in questo modo non si aiutano né la crescita né la competitività del nostro Paese.
Che senso avrebbe un investimento infrastrutturale di grande portata in territori scarsamente popolati?
Le zone montane occupano il 50% del territorio italiano e producono il 17% del PIL. Per questi due motivi dovrebbe essere un interesse comune e non una gentile concessione realizzare investimenti adeguati. Se questo messaggio non passa, non passa l’idea di uscire dalla crisi. Del resto come De Rita spiegava in un recente editoriale sul corriere delle sera, la fuoriuscita dalla crisi economica non può avvenire attraverso operazioni verticali e centralistiche ma attraverso la valorizzazione delle energie presenti sui territorio. È chiaro se questi territori non sono in rete non possono sfruttare le loro potenziali sinergie.
Ci sono però realtà montane che si sono organizzate per risolvere il problema…
Sì anche se sarebbe più corretto dire che stanno cercando di inventare soluzioni giacché i tagli realizzati in questi ultimi anni hanno circoscritto di molto le loro possibilità di intervento. Ciononostante in realtà come la Toscana, le comunità montane si stanno attivando per ottenere finanziamenti regionali ed intervenire sulle infrastrutture che teoricamente dovrebbero essere realizzate da altri soggetti . La situazione è complessa perché è come andare in guerra, oggi, con le fionde.
Potrebbe però essere che il digital divide non sia percepito come un problema dalla popolazione che ne è affetta?
Altroché! Sono quotidiani i disagi di molte imprese e utenti che attraverso le nostre realtà istituzionali periferiche e di territorio ci fanno pervenire la necessità di infrastrutture a banda larga. Il punto è che manca la volontà reale di affrontare il problema.
Noi riteniamo che questa sia la conseguenza dell’indebolimento che si è creato sotto il profilo istituzionale: quando i poteri centrali sottraggono risorse alle economie locali, le medesime non hanno più la forza di portare avanti le istanze del territorio che rappresentano. Se a questo aggiungiamo un sistema parlamentare completamente sganciato dal territorio, la frittata è fatta.