Servizi pubblici (in)sostenibili. Presentata a FORUMPA17 l’indagine sul pubblico impiego
Fra tre anni l’età media dei lavoratori della PA sarà di 53,6 anni, un terzo dei dipendenti sarà over 60 e in uscita dal mercato del lavoro. Dal 2007 al 2015 tagliato il 5% del personale. Numeri e stipendi dei dipendenti pubblici sono in linea con gli altri paesi europei. Solo il 40% dei lavoratori pubblici ha una laurea e appena una mansione su due di quelle che richiedono un titolo universitario è svolta da laureati. L’indagine sul pubblico impiego realizzata da FPA è stata presentata al convegno di apertura del FORUM PA 2017, durante il quale la ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione Marianna Madia ha presentato il testo unico sul pubblico impiego
23 Maggio 2017
Redazione FPA
I dipendenti della Pubblica Amministrazione italiana sono anziani, sottodimensionati e, in molti casi, non adeguatamente qualificati rispetto alla mansione da svolgere. Nel 2020 l’età media dei lavoratori pubblici sarà di 53,6 anni, un terzo dei dipendenti avrà più di 60 anni e sarà in uscita dal mercato del lavoro, mentre già adesso il 49% delle mansioni che richiedono una laurea è svolta da personale che non è laureato. Lo rivela l’indagine svolta da FPA e presentata al convegno di apertura del FORUM PA 2017, durante il quale la ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione Marianna Madia ha presentato il testo unico sul pubblico impiego.
“La nostra indagine fotografa una Pubblica Amministrazione che già adesso non è più sostenibile – commenta Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA –. L’età media dei dipendenti pubblici supera i 50 anni, soltanto poco più di uno su quattro ha meno di 45 anni e soltanto il 40% è laureato. Nel giro di pochi anni un terzo degli attuali lavoratori pubblici uscirà dal mercato del lavoro e dovrà essere rimpiazzato. Non possiamo più dire che in Italia ci sono troppi dipendenti pubblici e che sono pagati troppo. Nella maggior parte dei paesi europei, in primis Germania e Regno Unito, i lavoratori del pubblico impiego sono più di quelli italiani, sia come valori assoluti sia come percentuale sul totale dei residenti, e la spesa per il monte salari è paragonabile a quella italiana. Per essere più sostenibile, la PA deve prima essere più aperta e più attenta al capitale umano: bisogna investire in formazione e coinvolgere la società civile nel processo di riforma”.
L’età media dei dipendenti pubblici. La Pubblica Amministrazione non è un settore per giovani. Soltanto il 27,7% dei dipendenti pubblici, infatti, ha meno di 45 anni, mentre l’età media dei lavoratori è di 50 anni (dati del conto annuale 2015 della Ragioneria di Stato), e cresce con una media di sei mesi ogni anno. Andando avanti con questa tendenza, dunque, nel 2020 l’età media sarà salita a 53,6 anni, con ben 232mila persone che avranno tra i 65 e i 67 anni e oltre 603mila tra i 60 e i 64 anni; circa un terzo dei lavoratori pubblici italiani fra soli tre anni sarà in uscita dal mercato del lavoro.
I dipendenti pubblici in Italia e all’estero. Al progressivo invecchiamento dei dipendenti della Pa e alla conseguente riduzione del loro numero nei prossimi anni si aggiungono i tagli al personale, che dal 2007 a oggi hanno riguardato il 5% dei lavoratori, vale a dire 237.220 persone. Oggi i dipendenti pubblici italiani sono 3.257.014 (dati 2015). Sono troppi? Dal confronto con gli altri paesi europei emerge che il numero dei lavoratori del pubblico impiego in Italia non si distanzia molto dal numero dei loro omologhi europei. L’incidenza del settore pubblico nel mondo del lavoro in Italia è pari al 14%, un risultato inferiore a quello registrato da Spagna e Regno Unito, dove i dipendenti pubblici rappresentano rispettivamente il 16% e il 17% del totale della forza lavoro. Più bassa, invece, la percentuale di lavoratori pubblici in Germania, dove rappresentano 11% del totale.
Guardando ai valori assoluti, i dipendenti pubblici in Italia sono circa 2/3 di quelli inglesi e 1,3 milioni in meno rispetto a quelli tedeschi. Ma per comprendere quanto siano proporzionati il numero degli occupati ai servizi da erogare è importante il rapporto fra il numero di dipendenti pubblici e il totale dei cittadini residenti: In Italia ci sono 5,5 impiegati pubblici ogni 100 residenti, una cifra leggermente inferiore in Germania (5,7), ancora meno in Spagna (6,4) e molto più distante dal Regno Unito, dove ci sono 7,9 impiegati pubblici ogni 100 cittadini.
I costi. Anche gli stipendi dei lavoratori del pubblico impiego in Italia sono in linea con i salari dei lavoratori pubblici europei. La spesa (lordo stato) per ciascun dipendente pubblico è mediamente di circa 48mila euro, contro i 49mila della Germania e i 46mila dell’Inghilterra. Lo Stivale spende complessivamente per il monte stipendi dei suoi dipendenti pubblici 161,4 miliardi di euro, il 10,4% del PIL nazionale (dati 2015), contro il 228,6 della Germania (8,2% del PIL) e i 240,1 del Regno Unito (10%).
La formazione e le competenze. Un altro problema per la sostenibilità della PA riguarda la formazione e l’adeguatezza delle competenze. In Italia i dipendenti laureati o in possesso di titoli superiori sono circa il 40% del totale, il 41,1% ha un diploma di scuola media superiore, mentre il restante 18,3% si è fermato alla licenza media (dati del conto annuale 2015 della Ragioneria di Stato).
Una carenza formativa che per il 33% delle posizioni professionali del pubblico impiego si traduce in un disallineamento fra domanda e offerta di competenze: nel 19% dei casi il personale non è adeguatamente qualificato per la mansione che svolge, mentre nel 14% il titolo di studio del dipendente è superiore a quello richiesto dalla posizione ricoperta. La situazione più critica è senz’altro rappresentata dal gruppo degli occupati che svolgono lavori per i quali è richiesta la laurea: solo la metà (51%) ha effettivamente la laurea, mentre l’altra metà (49%) è costituita da persone con titolo di studio inferiore.
A fronte di quest’insufficienza di competenze, il ricorso all’aggiornamento professionale appare piuttosto ridotto. Le giornate di formazione erogate nel 2015, infatti, sono state in tutto 2.558.758, meno di una giornata per ciascun dipendente (0,8), con importanti differenze da settore e settore: si passa dalle quasi cinque giornate di cui hanno beneficiato gli impiegati nel settore penitenziario alla quasi inesistente formazione per gli istituti artistico museali e la magistratura (0,1).