Collaborative mapping come dispositivo per tecnologie civiche
In Italia si stanno portando avanti diverse sperimentazioni (come confiscatibene.it, terremotocentroitalia.it, ItaliaAFuoco.info) che descrivono un territorio in cui le tecnologie permettono,
attraverso il collaborative mapping, la realizzazione di spazi condivisi
costruiti intorno a valori condivisi che emergono per far fronte a problemi
sentiti come “pubblici”. Il tema della “georeferenziazione come driver del cambiamento dal basso” sarà al centro il 24 ottobre prossimo di un tavolo di lavoro a ICity Lab 2017 (Base Milano, 24-25 ottobre).
21 Settembre 2017
Ilaria Vitellio*, Ceo di Mappina e di CityOpenSource - Collaborative Mapping Platform
La diffusione di tecnologie potenti e di tools open e di facile utilizzo, non solo ha permesso la facile creazione e disseminazione di contenuti in rete, ma ha riposizionato il concetto di democratizzazione delle tecnologie in un campo che emerge da una più vasta sperimentazione di democratizzazione del processo democratico di produzione di beni pubblici. “Civic tech is the use
of technology for the public good”, la definizione proposta da
Matt Stempeck Direttore del “Civic Technology on
Microsoft
’s Technology &
Civic Engagement
”, tra le tante definizioni presenti in rete, può essere
un buon punto di partenza per riflettere su queste pratiche di
democratizzazione. Due termini in essa appaiono problematici
[1]
guardando la sperimentazione in atto: cosa
è civico
e soprattutto cosa è bene
pubblico.
In particolare, quando
si parla di tecnologie civiche ci si riferisce a tecnologie usate dalla
cittadinanza, prodotte da queste, o a strumenti tecnologici per attivare la
cittadinanza e abilitare capacità critica e propositiva? Tecnologie per i
cittadini, con i cittadini o prodotte dai cittadini per ridare senso alla
cittadinanza?
Cercherò di trattare
queste domande riportandole in un campo a me noto, quello del
collaborative mapping.
Da oltre un decennio nuove piattaforme hanno permesso non solo di ordinare le nostre ricerche online sulla superficie terrestre digitalizzata (come Google Map), ma anche di poter costruire e contribuire collettivamente alla cartografia del mondo (come Open Street Map). Abbiamo assistito così ad un primo processo di democratizzazione, via tecnologia, della cartografia che è passata dall’essere strumento di potere al divenire la manifestazione del potere dello strumento. Quella piana raffigurazione del mondo rappresentata dalla figura della mappa geografica è diventata esito dell’attività volontaria di una moltitudine di neocartografi che, attraverso il digitale, hanno immesso nel web competenza e conoscenza disegnando strade, palazzi, fiumi, mari, aree verdi e tutti i componenti di cui sono fatti i territori.
Ai neocartografi si sono poi aggiunti i neogeografi, animati dall’intento non solo di raffigurare i territori collaborando alla cartografia, ma anche di raccontarli attraverso la georeferenziazione di foto, video, audio, testi. Ai dati (lunghezze, andamenti, dimensioni, altezze, civici, etc.) raffigurati nella cartografia di Open Street Map si sono aggiunti così contenuti (foto, video, audio, testi) che ne restituiscono visioni nel mondo, immagini e immaginazione.
L’esplorazione geografica in rete si è così trasformata in una assidua raffigurazione dei territori e in una discreta rappresentazione dell’esperienza quotidiana. Oggi il codice aperto delle città non ci permette solo di leggere la mappa, ma di scriverla aprendo a tutte le dinamiche di attraversamento possibili. Nel collaborative mapping la mappa è infatti il risultato di una varietà di modelli di movimento, di diversi modi di usare ed esperire lo spazio, così come di diverse e implicite visioni del mondo e potenzialità di trasformarlo.
In questo contesto è nata MappiNa – Mappa Alternativa di Napoli , una piattaforma di collaborative mapping volta a realizzare una diversa immagine culturale, un nuovo racconto urbano attraverso la georeferenziazione da parte degli abitanti di foto, video, audio e testi. Mappina ha anche come obiettivo quello di riportare la cultura a un processo di elaborazione collettiva alimentata dalla condivisione della conoscenza e dall ’esperienza, rilasciando i contenuti con licenza aperta e costruendo digital commons. Un progetto che sta evolvendo, creando con cityopensource.it una piattaforma agile per la realizzazione di progetti di collaborative mapping, in grado non solo di georeferenziare contenuti come immagini, video, audio e testi, ma anche di importare e esportare dataset esistenti (come gli open data disponibili in rete) promuovendo l ’interazione tra la competenza esperta contenuta in questi ultimi e la conoscenza e l’esperienza dei cittadini, implementandoli e monitorandoli reciprocamente.
Ampliando lo sguardo, le sperimentazioni in atto in Italia (come confiscatibene.it, terremotocentroitalia.it, ItaliaAFuoco.info ed altri) descrivono un territorio in cui le tecnologie permettono, attraverso il collaborative mapping, la realizzazione di spazi condivisi costruiti intorno a valori condivisi che emergono per far fronte a problemi sentiti come “pubblici”. Sono sperimentazioni che assumono di volta in volta dimensioni diverse e temi differenti. Si va da dimensioni analitiche, investigative, critiche e rivendicative a propositive, monitorative, valutative, deliberative, su temi che spaziano dall’abbandono di immobili pubblici (come i beni confiscati), alla sicurezza e alla salvaguardia dei territori, soprattutto a valle delle emergenze generate da terremoti, inondazioni, incendi.
Si articolano così spazi in cui, attraverso
dinamiche di auto-organizzazione e di
civic
hacking
, si mettono a tema problematiche sentite come pubbliche e si
co-producono beni pubblici. Questi ultimi intesi non come beni prodotti o di
proprietà di una pubblica amministrazione, ma come esito di un processo di
interazione sociale. Le tecnologie qui sono strumenti digitali attraverso cui
si alimentano pratiche sociali di riappropriazione e ridefinizione collettiva
di beni pubblici, materiali e immateriali (tra cui le stesse tecnologie).
Da questo punto di vista il termine civico,
non è riferito a “chi” promuove o “chi” partecipa l’iniziativa e neanche al “chi”
elabora la tecnologia, ma rimanda piuttosto al senso civico che mobilita le
persone intorno a problematiche pubbliche e alle pratiche che tali
mobilitazioni determinano. Persone che si impegnano alla co-produzione di
possibili soluzioni e, spesso, alla realizzazione di tecnologie attraverso cui
definirle o produrle.
Una prospettiva questa che apre a riflessioni
sulle pratiche di partecipazione oggi tanto di moda, soprattutto ora che le
sperimentazioni in atto rendono obsolete le geografie costruite su coordinate “top
down” e “bottom up”.
Il 24
ottobre a ICity Lab 2017 (Base Milano, 24-25 ottobre) si terrà un tavolo di
lavoro sul tema “La georeferenziazione come driver del cambiamento dal
basso”
[1] Oltre a questioni relative alla bontà dell’azione laddove non è detto che l’uso delle tecnologie da/per i cittadini abbia sempre esiti positivi. Si veda R. Wilson in Civic Decision, May 17, 2016
http://www.civicdecisions.com/the_use_of_technolog…
* Ilaria Vitellio. Urban Planner e civic
hacker, con specializzazione, master e PhD in in urbanistica e pianificazione.
Si occupa di strumenti di governo del territorio e di politiche urbane con
particolare attenzione ai temi della costruzione multiattoriale di processi di
rigenerazione urbana attraverso la sperimentazione di approcci quali il
cultural plannig, community mapping, community planning 2.0, neogeografia e
open data. Ha svolto per anni attività di ricerca e docenza presso università italiane
e attività di
consulenza per le pubbliche amministrazioni (piani urbanistici, programmi
complessi, piani strategici). Attualmente è Ceo di Mappina – Mappa Alternativa
della Città e
di CityOpenSource – Collaborative Mapping Platform e
project manager di diversi progetti digitali che intrecciano open data con
pratiche di collaborative mapping.