Realizzare sistemi automatici per la pubblicazione dei dati della PA e accompagnare “culturalmente” la transizione al digitale

Home Open Government Open Data Realizzare sistemi automatici per la pubblicazione dei dati della PA e accompagnare “culturalmente” la transizione al digitale

Un focus sui dati pubblici,
ecco le due raccomandazioni che inserirei all’interno del Libro bianco: per il
rilascio dei dati della PA è necessario passare dal “modello umano” a
quello “automatico”, e questo avviene con l’adozione di
adeguati software dotati di API esposte pubblicamente e documentate; la transizione al digitale deve essere
accompagnata “culturalmente”, non solo da norme e linee guida, e
questo può essere agevolato dalla costituzione di team locali dotati di
competenze

12 Luglio 2018

Ogni applicativo gestionale in uso nelle Pubbliche Amministrazioni centrali e locali deve fare uso di API (Application Programming Interface) al fine di pubblicare, in modalità automatica, dati tematici aggiornati in tempo reale. Il problema dei dati che non sono pubblicati automaticamente dai software finora in uso nella pubblica amministrazione risiede nel fatto che tantissimi di questi software non espongono pubblicamente (nei siti web delle PA) interfacce di (dette API), che sono caldamente raccomandate nel Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione dell’Agenzia per l’Italia Digitale.Se, ad esempio, dispongo di un applicativo gestionale, dotato di API, attraverso il quale gestisco le informazioni sugli incidenti automobilistici che avvengono nella città, nel momento in cui l’operatore della Polizia Municipale inserisce i dati dell’incidente (il giorno, l’ora, la via, la longitudine e latitudine, la dinamica e altri dati), automaticamente il software, senza nessun intervento umano, pubblica online i dati in tempo reale, filtrati di quelli contenenti privacy e dati sensibili (nomi, cognomi, targhe veicoli, ecc.). Le API sono da intendere come una sorta di rubinetto fuori casa, connesso all’impianto idraulico, che permette di “versare fuori” dall’applicativo gestionale i dati in diversi formati, come ad esempio XML, CSV, JSON, GeoJSON, ed accompagnati da adeguate licenze aperte (vedi ad es. le Creative Commons), in modo tale che chiunque (una software house, uno sviluppatore, uno studioso/studente) possa prenderli e generare un’applicazione per dispositivi mobili, creare servizi web, effettuare analisi, realizzare mappe interattive e infografiche. Questa è la vera trasparenza “automatica” della PA, da preferirsi al caricamento manuale di file PDF in un sito web della PA (spesso anche frutto di scansione degli atti su supporto cartaceo).Il periodo di transizione della Pubblica Amministrazione alla modalità digitale, partito in maniera considerevole due anni fa grazie al lavoro del Team per la Trasformazione Digitale, coordinato dal dott. Diego Piacentini, che ha dato un input importante a livello nazionale, durerà inevitabilmente anni. La Pubblica Amministrazione locale e centrale ha cominciato, spinta dall’azione “rivoluzionaria” del Team, ad avvicinarsi a questo nuovo mondo dei servizi digitali e dei processi gestiti non più attraverso l’uso della carta. E anche se si siamo partiti, non siamo ancora del tutto preparati in termini di “competenze digitali” diffuse capillarmente, avendo sempre gestito la parte amministrativa del lavoro e delegato la gestione tecnologica di processi e servizi per lo più a società esterne, con alcuni casi di software house interne.Al comune di Palermo c’è una società in house, la Sispi Spa, che cura esclusivamente i servizi informatici dell’amministrazione, ma questo non è il caso più diffuso in Italia. Altri comuni, regioni, enti pubblici, commissionano la realizzazione dei software a diverse aziende (anche all’interno della stessa Amministrazione): questo è ciò che è avvenuto nel passato e che ha generato un problema di mancata interoperabilità delle banche dati della stessa PA. Si viene così a creare una frammentazione e isolamento degli applicativi gestionali, le cui banche dati non dialogano tra di loro; ogni applicativo gestionale (anagrafe, tributi, sportello unico delle attività produttive, edilizia, polizia municipale, ecc.) ha la propria banca dati e spesso non è progettato/realizzato dalla software house esterna per “dialogare” con altre banche dati della stessa PA. Ciò in quanto nel passato è mancata una regia di programmazione e progettazione degli applicativi nella PA. Oggi nella PA devo poter accedere tramite un’unica piattaforma per consultare tutti gli status di ogni singolo cittadino (tributi, edilizia, sanzioni codice della strada, anagrafe, stato civile, iscrizioni scolastiche dei figli, bonus sociali, ecc), ottimizzando così i flussi di lavoro negli uffici, ed eliminando la richiesta formale di dati tra uffici della stessa PA, che rallenta i tempi di processamento interno e di erogazione dei servizi pubblici. Questo è uno dei grandi problemi della Pubblica Amministrazione, che oggi è chiamata a compiere importanti passi verso la cultura dell’apertura nei confronti dei cittadini (open government), non solo in termini di pubblicazione di dati ma anche di erogazione di nuovi servizi.Il processo di pubblicazione dei dati non può più essere basato solo sul lavoro umano (attività di caricamento del dataset sul portale online), servono inevitabilmente gli automatismi delle API. È necessario che le Pubbliche Amministrazioni comincino a rinnovare e reingegnerizzare i propri software, e questo, ovviamente, dipenderà dalle possibilità finanziarie di ogni Amministrazione. Al Comune di Palermo, come in altre 13 città metropolitane, si utilizzano i fondi del PON Città Metropolitane 2014-2020 per realizzare delle piattaforme tecnologiche (Asse 1 Agenda Digitale) che vadano a sostituire quelle attualmente esistenti, caratterizzate da un’architettura informatica obsoleta, e a crearne di nuove.Le 14 città metropolitane hanno le risorse finanziarie del PON Metro per attuare i servizi di Agenda Digitale e dovranno mettere a disposizione di altre PA le loro piattaforme e i loro software in riuso gratuito, come previsto dal CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale, D. Lgs 7 marzo 2005, n.82 e s.m.i) all’articolo 69, riuso delle soluzioni e standard aperti: “Le pubbliche amministrazioni che siano titolari di soluzioni e programmi informatici realizzati su specifiche indicazioni del committente pubblico, hanno l’obbligo di rendere disponibile il relativo codice sorgente, completo della documentazione e rilasciato in repertorio pubblico sotto licenza aperta, in uso gratuito ad altre pubbliche amministrazioni o ai soggetti giuridici che intendano adattarli alle proprie esigenze, salvo motivate ragioni di ordine e sicurezza pubblica, difesa nazionale e consultazioni elettorali”.La Città Metropolitana, dunque, automaticamente accoglie i comuni dell’area metropolitana nelle piattaforme tecnologiche erogatrici di servizi; Palermo ad esempio ha un impegno di erogare servizi a circa 55 comuni dell’area metropolitana nei prossimi anni. Ma in Sicilia non ci sono soltanto 55 comuni, ce ne sono centinaia nelle aree interne, che non fanno parte delle aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina. In tutta Italia rimangono fuori dalla copertura finanziaria del PON Metro aree interne, unioni di comuni, aree montane, che hanno anche loro fabbisogni di innovazione tecnologica come i grandi comuni. Inoltre, il tempo affinchè i piccoli comuni comprendano questi nuovi software e li riusino, passano anni e questo processo di transizione alla modalità digitale (di gestione di processi ed erogazione di servizi pubblici) richiede un accompagnamento di tipo “culturale”, prima ancora che amministrativo e tecnologico. Ricordiamoci che i dirigenti della PA italiana non sono certo rappresentati da trentenni e quarantenni.Far comprendere a un dirigente che fra uno due anni va in pensione, la necessità di transitare dall’uso della carta al software, di firmare digitalmente con il token anziché con la penna ad inchiostro, non è semplice. Ad aprile, come ufficio di staff del Responsabile della Transizione al Digitale (art. 17 del CAD) abbiamo organizzato un infoday di tre giorni di sensibilizzazione sui servizi digitali, diretti ai dirigenti del comune di Palermo (con un adesione del 60%). Abbiamo detto “questo è quello che prevede il CAD ed il Piano Triennale dell’Informatica per la PA, questo è quello che ha fatto il comune di Palermo ad oggi, e questo è quello che ancora dobbiamo fare; quello che dobbiamo fare dipende anche dalla vostra collaborazione, noi vi aiutiamo se voi siete disponibili a farvi aiutare”. Abbiamo parlato del fatto che in Italia siamo posizionati non male sul digitale, abbiamo aderito a SPID, abbiamo avviato i pagamenti elettronici su PagoPA, tra qualche mese passiamo definitivamente all’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), quindi siamo sulle tre più grandi piattaforme nazionali abilitanti all’erogazione dei servizi locali, abbiamo l’Anello Telematico che è la rete proprietaria in fibra ottica (banda ultra larga) per la connettività degli uffici, però c’è ancora tanta strada da fare, ad esempio nel campo della gestione documentale totalmente digitale. I feedback di molti dirigenti sono stati positivi perché abbiamo parlato di collaborazione, di assistenza, di ascolto, di supporto, di squadra, e non esclusivamente di cosa impone la norma di settore. Alcuni di loro hanno già prenotato l’adesione a PagoPA per il pagamento elettronico di servizi erogati a cittadini/aziende e all’uso del “Libro firma digitale” per la gestione totalmente digitale della posta in uscita (a rigor di CAD). Abbiamo capito che bisogna organizzare momenti di dialogo e confronto sul “digitale”, c’è bisogno di hackathon, di open data day, di riunioni del Team open data, di eventi in cui i dipendenti e dirigenti pubblici incontrano comunità con professionalità sulla cultura digitale (in Sicilia c’è l’attiva OpendataSicilia) per lo scambio e contaminazione culturale.La Pubblica Amministrazione italiana si concentra sul rispetto “amministrativo” delle norme, ma per lo scatto verso il digitale dobbiamo fare un lavoro di tipo “culturale” parallelamente a quello amministrativo e tecnologico. Il governo (Funzione Pubblica, AgID) dovrebbe fare in modo da replicare il lavoro che ha svolto il Team per la Trasformazione Digitale in tutta Italia, sollecitare e accompagnare la creazione, nelle piccole e grandi Pubbliche Amministrazioni, di piccoli Team digitali costituiti da persone competenti e sensibili al digitale (e ci sono!) che guidano e stimolano questo percorso culturale. Solo così è possibile accelerare i tempi di transizione alla modalità digitale.Aggiungerei, quindi, questa doppia raccomandazione all’interno del paragrafo “Dati pubblici” del Libro bianco sull’innovazione della PA:
  • occorre passare dal modello umano a quello automatico per il rilascio dei dati della PA, e questo avviene con l’adozione di adeguati software dotati di API esposte pubblicamente e documentate;
  • la transizione alla modalità digitale della PA deve essere accompagnata “culturalmente”, e non basarsi solo sul rispetto pedissequo di norme e linee guida, e questo può essere agevolato dalla costituzione di team locali dotati di competenze e “credo” nella cultura digitale, supportati da community attive di esperti nella cultura digitale per il codesign dei servizi pubblici digitali da realizzare nei prossimi anni.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!