Si può fare Customer Satisfaction su Facebook?
Si può fare customer satisfaction su Facebook? Con 21 milioni di italiani su Facebook (dati al 29 febbraio 2012, vincos.it) la domanda, per le amministrazioni impegnate sul fronte del miglioramento dei servizi, si fa legittima per non dire urgente. Con Giovanni Arata, analista internet e freelancer che da tempo monitora la presenza delle amministrazioni italiane sui principali social network, Facebook per l’appunto e Twitter, abbiamo provato a rispondere. In teoria ma soprattutto in pratica.
3 Aprile 2012
Chiara Buongiovanni
Si può fare customer satisfaction su Facebook? Con 21 milioni di italiani su Facebook (dati al 29 febbraio 2012, vincos.it) la domanda, per le amministrazioni impegnate sul fronte del miglioramento dei servizi, si fa legittima per non dire urgente. Con Giovanni Arata, analista internet e freelancer che da tempo monitora la presenza delle amministrazioni italiane sui principali social network, Facebook per l’appunto e Twitter, abbiamo provato a rispondere. In teoria ma soprattutto in pratica.
Con questi numeri
Il dato numerico, sebbene non presenti niente di troppo inaspettato, da una certa consistenza all’argomento. Secondo i dati aggiornati al 29 febbraio 2012, sono infatti 21 milioni gli iscritti a Facebook in Italia, di cui 13 accedono ogni giorno, 7,5 da mobile. E se Facebook sembra essere il social network più amato dagli italiani, non sono da sottovalutare i dati sugli italiani cinguettanti, arrivando a quota 2 milioni gli italiani attivi su Twitter già a fine 2011. Riportando il discorso nell’ambito della nostra riflessione sul Customer Satisfaction Management, abbiamo da un lato i social media, potenti strumenti relazionali capaci di creare ambienti di interazione liberi e fluidi, già massivamente abitati dai cittadini e dall’altro le pubbliche amministrazioni italiane che,per legge e/o per propria volontà, si trovano sempre più a co-disegnare i servizi erogati. L’ambiente creato dai social media, già così popolato, sembra così venire incontro ad una esigenza sempre più diffusa e conclamata delle amministrazioni che dichiarano e lavorano per mettere al centro delle proprie attività il cittadino – utente.
La chiave di volta è il binomio ascolto e interazione. Dunque, non solo l’amministrazione che ascolta il cittadino e risponde, ma anche l’amministrazione che ascolta le conversazioni (ovviamente pubbliche) tra cittadini e “apprende”.
In teoria
Ci conferma Giovanni Arata che “in termini generali i media sociali sono strumenti potenzialmente molto utili rispetto alla citizen satisfaction, secondo un duplice punto di vista”. Spiega infatti che, in primo luogo, i social media sono strumenti che si prestano bene per l’attività di rilevazione, in secondo luogo possono essere altrettanto utili perché di per sé possono diventare strumenti di accountability, permettendo all’ente di rispondere velocemente alle istanze o alle segnalazioni dei cittadini e, dunque, contribuire all’aumento del grado di soddisfazione degli utenti rispetto alla qualità dell’interazione. “I dati empirici – sottolinea Giovanni – ci mostrano che laddove gli enti rispondono c’è talvolta persino sorpresa, ma in tutti i casi si registra un feedback molto positivo da parte dei cittadini”.
Dunque, in linea generale, gli strumenti social si prestano bene alle attività legate alla customer satisfaction. Ma è evidente che questo può avvenire a determinate condizioni, che sono “condizioni d’uso” degli stessi social media da parte delle amministrazioni.
Così ce lo spiega molto chiaramente Giovanni Arata. “La prima condizione è in generale una buona consapevolezza del mezzo e della sua natura social. Se i social media vengono usati in maniera broadcast (ovvero per la sola attività unilaterale di “emissione e diffusione di messaggi”) è evidentemente difficile, per non dire impossibile, impostare e condurre campagne effettive di rilevazione. La seconda condizione, necessaria per condurre attività di rilevazione ma anche per assicurare che la presenza dell’amministrazione sui social media sia di per sé un valore nella relazione con il cittadino, è la continuità del dialogo. La seconda condizione è in realtà parte della prima, nel senso che l’estrema discontinuità rilevata nell’utilizzo dei social media da parte delle amministrazioni altro non è che indice della scarsa consapevolezza del mezzo”. “Concretamente – specifica Giovanni – per fare una campagna di rilevazione strutturata un’amministrazione ha bisogno di essere presente su Facebook in maniera non rapsodica, saltuaria, ma di starci in maniera continuativa e attiva. La condizione per condurre una rilevazione efficace è aver gettato in precedenza le basi per un rapporto fiduciario di community”.
Perché i social media sono utili per fare customer satisfaction
“Se ci soffermiamo sulla rilevazione vera e propria – spiega Giovanni – le ragioni per cui i social media sono potenzialmente utili alle amministrazioni sono molteplici. Intanto, laddove bene impiegati, consentono di avere un polso quotidiano e costante di esigenze, umori, rilevazioni dei cittadini. Poi, qui penso soprattutto a Facebook, consentono di agire su diverse leve: dalla rilevazione puntuale ed episodica, attraverso i post o i commenti, a rilevazioni di qualità superiore, anche se ancora immediata e semplice, attraverso i sondaggi”.
In pratica
Insomma, sulla carta i social media si qualificano molto bene per lo scopo. Ma cosa scopriamo quando andiamo ad analizzare i comportamenti delle nostre amministrazioni? I risultati che ci presenta Giovanni non sono molto incoraggianti, sia rispetto all’attività di rilevazione vera e propria attraverso i social media sia, più genericamente, rispetto al “modo” di essere presenti e comportarsi sui social media da parte delle stesse amministrazioni italiane. Facendo riferimento ai due principali social media – Facebook e Twitter – rileva infatti che “pur usati da molti soggetti, i dati empirici mostrano che vengono usati perlopiù in maniera broadcast quindi non come strumento di dialogo né, tanto meno, come strumento di ascolto e rilevazione delle esigenze dei cittadini. Piuttosto vengono usati come una sorta di continuazione dell’ufficio stampa. Per dare un’idea in numeri, si pensi che l’80% delle antenne rilevate su Twitter fanno comunicazione solo broadcast”. E sottolinea che “dalla rilevazione empirica (completa e aggiornata alla fine del 2011 per Twitter e in via di completamento per Facebook) emerge che pressoché nessuno tra gli enti rilevati ha avviato delle campagne di rilevazione di CS attraverso Twitter o Facebook”. Dunque allo stato attuale nelle amministrazioni italiane mancano le pre-condizioni e, di conseguenza, le pratiche di rilevazione della Customer satisfaction attraverso social media. Ma llora cosa ci fanno le pubbliche amministrazioni italiane su Twitter e Facebook?
Giovanni traccia la la fotografia delle nostre amministrazioni sui principali social network.
Su Twitter. “Su un campione di 160 antenne (tante sono le antenne Twitter rilevate su Comuni, Province, Regioni, Ministeri a fine 2011), le funzioni di dialogo, dunque le cosiddette mention, le risposte vere e proprie a quesiti e segnalazioni dei cittadini vengono usate da una porzione risibile del campione. Solo 9 su 160 impiegano le funzioni di dialogo e le risposte effettive. I pochissimi che rispondono, lo fanno perlopiù in maniera appropriata, riferimento a richieste di informazioni generali, del tipo “che cosa fa il Comune di Milano per le donne lavoratrici l’8 marzo?”. Questo è quello che possiamo definire il grado 0 di interazione. Al grado 1 si trovano gli enti che raccolgono ed inoltrano agli uffici competenti segnalazioni su disservizi, ad esempio è quello che fa il Comune di Desio quando, ricevendo una segnalazione sull’asfalto non funzionale presso una rotonda, risponde al cittadino informandolo che la segnalazione è stata ricevuta ed è stata inoltrata all’ufficio competente. In alcuni casi sporadici (3 – 4) sono stati individuati dei sondaggi. In nessun caso sono state rilevate delle campagne strutturate di rilevazione della CS. In sintesi, in riferimento a Twitter il dato forte è che la stragrande maggioranza degli enti parla da solo e non ascolta e quindi questo esclude la possibilità di fare CS.
Su Facebook. Giovanni Arata conferma che i numeri sono molto più grandi. “Ho rilevato quasi 1200 antenne per i Comuni, 49 per le Province, 9 per le Regioni. Ma anche qui il grado di interazione che gli enti propongono è piuttosto ridotto”. Tradotto in numeri e facendo riferimento ai Comuni, la possibilità di rilasciare post sulle bacheche, (la cd bacheca aperta) sussiste nel 45% del campione, pari a 530 antenne. Dopodiché solo il 24,3% (parliamo di 286 antenne) risponde effettivamente ai commenti ricevuti dai cittadini. Questo significa che in molti casi si lascia aperta la bacheca, dopodiché arriva lì qualsiasi cosa e il Comune non risponde.
Nel momento in cui incrociamo questi due dati e andiamo a vedere chi è che effettivamente lascia la bacheca aperta e risponde, avremo come risultato il dato su chi soddisfa le due precondizioni che, messe insieme, consentirebbero di fare CS attraverso Facebook.
La risposta? "Solo il 15% del campione soddisfa entrambe le condizioni. Anche in questo caso le antenne, ovvero le amministrazioni, che usano le pagine ufficiali per fare dei poll si contano sulle dita di due mani e non si danno casi di campagne di rilevazione strutturate ad ampio spettro”. Su Facebook, inoltre, si introduce un elemento interessante che è quello dei gruppi di cittadini che possono essere per le amministrazioni serbatoi importanti di informazioni. (se ne contano allo stato attuale oltre 200)
In conclusione
In conclusione, “siamo allo stadio in cui gli enti che fanno broadcast in maniera corretta, che (per lo meno) sono continui nell’animazione del canale e che, in molti casi ,corrispondono con quelli che rispondono, sono da considerarsi relativamente avanzati. In questo contesto usare Facebook o Twitter o altri social più adatti ai sondaggi per fare campagne di rilevazione di CS è qualcosa che sta decisamente oltre la realtà attuale dei fatti. Come dire: non abbiamo il pane, figuriamoci il companatico…”