Il giudizio delle Autonomie sulla “bozza Calderoli” sul federalismo fiscale
L’11 settembre scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, lo schema di Disegno di Legge Delega in materia di federalismo fiscale. Un provvedimento che riprende l’iter di una delle due grandi riforme costituzionali in atto nel nostro Paese avviate a partire dalle modifiche del Titolo V: il federalismo istituzionale, e quello fiscale, appunto. Un iter che si era bruscamente interrotto ad aprile scorso con la fine anticipata della passata legislatura e che riprende oggi con i migliori auspici di tutti i livelli istituzionali e di tutte le parti politiche, anche se con i dovuti distinguo.
17 Settembre 2008
Tommaso Del Lungo
L’11 settembre scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, lo schema di Disegno di Legge Delega in materia di federalismo fiscale. Un provvedimento che riprende l’iter di una delle due grandi riforme costituzionali in atto nel nostro Paese avviate a partire dalle modifiche del Titolo V: il federalismo istituzionale, e quello fiscale, appunto. Un iter che si era bruscamente interrotto ad aprile scorso con la fine anticipata della passata legislatura e che riprende oggi con i migliori auspici di tutti i livelli istituzionali e di tutte le parti politiche, anche se con i dovuti distinguo.
Se da una parte, infatti, il Governo è unanime nel salutare con entusiasmo questa bozza come uno dei successi dei primi 100 giorni di legislatura che salvaguarderà tanto la qualità della spesa quanto i criteri di solidarietà interistituzionali, dall’altra, però, i governatori delle Regioni e i rappresentanti delle Autonomie Locali si sono spaccati. Una divisione piuttosto anomala, lungo un asse che non segue né una spaccatura nord-sud, né una centrodestra-centrosinistra.
Tra chi si schiera a difesa del Decreto e lo presenta come un testo equilibrato sul quale fondare un dialogo già a partire dalla Conferenza Unificata Stato Regioni del prossimo 18 settembre, ad esempio, troviamo il Presidente della Lombardia Formigoni e quello della Regione Siciliana Lombardo, passando per il Sindaco di Roma Alemanno, mentre tra coloro che lo ritengono un documento “fumoso” che lascia in sospeso troppi temi e offre un calendario eccessivamente dilatato nel tempo troviamo oltre a Vasco Errani, Presidente dell’Emilia Romagna, e a Leonardo Domenici, Sindaco di Firenze, anche il Governatore del Veneto Galan, che ha definito la bozza: “un passo indietro rispetto ai documenti precedenti”.
Abbiamo chiesto a Loreto del Cimmuto, Direttore di Legautonomie, l’associazione che raggruppa, in un approccio interistituzionale, rappresentanti di Regioni, Province e Comuni, di spiegarci quali sono i punti su cui il Disegno di Legge si mostra più debole e quali, dunque, le proposte che verranno dalle Autonomie Locali a cominciare proprio dalla Conferenza Unificata Stato, Regioni e Autonomie Locali.
Dottor Del Cimmuto, quali sono gli elementi principali della Bozza e quali in particolare i punti su cui pensate che si snoderà il dibattito?
Come Legautonomie abbiamo considerato la Bozza del Ministro Calderoli come una concreta base di discussione per avviare finalmente l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. Siamo, dunque, felici che sia stata messa in cantiere come una tra le primissime iniziative di questo Governo, tuttavia non possiamo non riscontrare che, rispetto alle bozze precedenti, quella varata ora dal Consiglio dei Ministri, rappresenta un preoccupante passo indietro.
Cosa manca rispetto a prima?
I punti sono diversi. A cominciare dai tempi stabiliti per la chiusura dei decreti delegati che sono di 24 mesi. Un arco decisamente troppo lungo, a nostro avviso.
In secondo luogo c’è un sostanziale ritorno indietro per quanto riguarda l’identificazione degli ambiti di imposta dei Comuni e delle Province che, già in passato, erano stati in qualche modo individuati e condivisi dalle Autonomie Locali.
Potrebbe essere più chiaro?
Mi riferisco, in particolare, al fatto che nelle bozze precedenti si era arrivati ad accordi, più o meno espliciti, per l’attribuzione ai Comuni dell’imposizione sugli immobili. Cioè si era pensato di semplificare tutta la fiscalità (tasse ed imposte) relativa agli immobili raggruppandola in un unico tributo da assegnare ai Comuni. Nella bozza attuale non si legge nulla di tutto ciò, così come è sparito il riferimento ad una imposta unica, legata alla circolazione e ai carburanti, destinata alle Province.
La stesura attuale, varata la settimana scorsa dal Consiglio dei Ministri su questi punti mantiene un atteggiamento molto generico.
Elementi portanti del federalismo fiscale sono il patto di stabilità e i meccanismi premiali e punitivi per farlo rispettare. Cosa dice su questo la bozza?
La poca chiarezza a cui prima facevo riferimento permea l’intera bozza del decreto. Quindi, anche in merito ai criteri con cui viene stabilito il patto di stabilità ed il suo impatto sul sistema delle autonomie, i dubbi sono diversi. Non è che sia tutto da buttare, anzi, però non ci sono abbastanza rassicurazioni sul fatto che alcune storture vengano sanate, come ad esempio il fatto che gli attuali meccanismi del patto di stabilità rischiano di penalizzare i Comuni più virtuosi invece di riconoscerne il merito.
Inoltre non si può dimenticare la discussione sulla fiscalità di vantaggio per alcune regioni del Sud. Sicuramente in linea di principio non vi è nulla da eccepire, ma quando si vede che la Regione Siciliana potrà beneficiare di parte del gettito delle accise sugli oli minerali (cioè imposte sui consumi e non sulla produzione) raffinati sul proprio territorio, si capisce che si tratta di una sorta di “pegno” che la maggioranza paga al suo interno.
In che senso i comuni virtuosi sono penalizzati?
Sembra assurdo, però, purtroppo è questo il rischio che intravediamo tirando le somme alla luce della manovra estiva (Decreto legge 112). Il meccanismo dei saldi, su cui si fonda il patto di stabilità, è tale per cui gli enti locali che hanno effettuato più investimenti si trovano in maggiore difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi programmatici affidati, perché gli investimenti concorrono alla determinazione del saldo.
Il fatto che venga istituita una Cabina di regia tra Autonomie, Governo e Regioni e che essa, in qualche modo, sia chiamata a definire in maniera concertata le nuove regole che verranno dettate nell’ambito del federalismo fiscale è senza dubbio positivo, non c’è che dire, però se dobbiamo guardare lo stato attuale delle cose passi avanti sostanziali non si sono visti nemmeno nel campo dei premi e delle punizioni, se così vogliamo chiamarli.
A questo punto quali sono le richieste che le Regioni e le Autonomie presenteranno?
Rispetto a quello che abbiamo appena detto, la richiesta immediata è che siano incentivati gli investimenti effettuati senza aumentare il debito.
Più nel dettaglio, poi, bisognerebbe tornare ad introdurre quello che ci sembrava un elemento di grande chiarezza, cioè la definizione precisa di un livello di imposizione per ogni livello istituzionale. Come dicevamo, quindi, gli immobili per i comuni e gli autoveicoli per le Province. Questo è un primo passo, che sarebbe già da considerarsi un risultato concreto.
Infine manca una norma che consenta allo Stato un intervento sostitutivo qualora venissero meno, o venissero messe in discussione, l’unità giuridico economica del Paese o la tutela dei livelli essenziali. Norma che, per altro, garantirebbe l’attuazione dell’articolo 120 della Costituzione.
Allo stesso modo manca un chiaro riferimento al finanziamento delle funzioni fondamentali dei Comuni e delle Province, cosa che, evidentemente, dovrà essere ripresa in maniera approfondita nel nuovo Codice delle Autonomie Locali, di cui chiediamo venga al più presto resa nota una bozza o anche un documento guida.
Nelle indicazioni del Governo si legge che il 2009 sarà anche l’anno del federalismo istituzionale, quindi bisognerà aspettare poco?
Federalismo fiscale e disegno delle funzioni e delle competenze assegnati agli enti locali devono andare di pari passo, inoltre è indubbio che il vero nocciolo del problema, la vera partita su cui si giocherà tutta la faccenda del Federalismo, sarà la definizione dei costi standard. Una partita che dovrebbe valere circa 15 miliardi di euro. Tra l’altro si tratta ancora una volta di una partita la cui attuazione non ha tempi determinati, dato che, mentre permane il limite massimo 5 anni, fissato in precedenza, per le funzioni non essenziali, il limite per la convergenza sui costi standard delle funzioni essenziali è stato, invece, completamente cancellato. Insomma una partita che sarà anche interessante, per carità, ma i cui contorni sono abbastanza sfumati.
Il 7 e l’8 ottobre Legautonomie organizza un incontro che è stato intitolato “Comporre il puzzle del federalismo”. Potrebbe spiegarci il senso di questo titolo e i contenuti che andrete a trattare?
Questo titolo deriva dal fatto che fino ad oggi non si è mai potuto osservare l’intenzione di realizzare un disegno veramente organico di attuazione del Titolo V. E questo, si intenda, va ben oltre le responsabilità di questo governo.
Al contrario abbiamo sempre visto dei tasselli separati di un disegno assai più complesso che deve essere legato organicamente. Facevo prima l’esempio delle risorse individuate dal federalismo fiscale e delle funzioni che invece verranno definite dal Codice delle Autonomie. Bene, noi poniamo al centro della nostra iniziativa di Viareggio la necessità di pervenire ad un disegno che sia coerente, condiviso da tutti i livelli costituzionali e in quell’occasione ci sarà un confronto, su questi due punti.
Ma non trova che quello che manchi sia proprio un luogo di confronto di tipo decisionale su questi temi?
Non c’è dubbio! Anche questa nuova Cabina di regia che viene prevista dall’attuale DDL rischia di rappresentare l’ennesimo livello di concertazione che elude, però, il nodo vero. Quello di cui si sente, in effetti, la mancanza è un luogo politicamente autorevole per discutere con il Governo dei destini del Federalismo di questo Paese. Un luogo come potrebbe essere, a lungo termine, un Senato delle Regioni e delle Autonomie, oppure, nell’immediato, l’integrazione della Commissione Bicamerale per gli Affari Regionali, aperta ai rappresentanti delle Regioni e delle Autonomie. Tutti gli altri tavoli, o commissioni non possono che diventare dei succedanei, o delle rischiose ripetizioni, di organismi già esistenti come il sistema delle Conferenze che andrebbe, per altro, completamente riformato.
Naturalmente anche le associazioni devono fare la loro parte, concertando maggiormente le loro posizioni, magari attraverso meccanismi confederali di consultazione. Quello che a nostro avviso manca è una visione unitaria che tenga conto del fatto che oggi il principio fondamentale è quello della cooperazione interistituzionale. Una visione che sia in grado di superare, quindi, anche la separatezza che permane tra Comuni, Province e Regioni.
Insomma una serie di cambiamenti anche di mentalità necessari per l’attuazione di un vero federalismo.